A chi pensa che i migranti puzzino e ci rubino il lavoro e che gli studenti del liceo siano svogliati e senza passione Fernando Battista risponde con Anime migranti sbaragliando entrambi gli stereotipi in un colpo solo.
Insegnante di sostegno, danza movimento terapeuta, counselor e recentemente curatore delle coreografie di Mistero buffo realizzato da Asinitas. Fernando è anche l’ideatore di Anime migranti, progetto che da quattro anni coinvolge studenti dell’istituto tecnico per il turismo Livia Bottardi e i rifugiati politici e richiedenti asilo di Laboratorio 53 Onlus. L’idea nasce in seguito a uno sgombero di stranieri a Tor Sapienza e si avvale delle competenze di un master in peace keeping concluso con una tesi in danzamovimento terapia come inclusione alla pace.
“La sommossa popolare contro gli stranieri del centro a Tor Sapienza con gli annessi pregiudizi mi ha fatto interrogare su come potessi intervenire. Al di là delle parole doveva esistere un progetto con un obiettivo educativo per italiani e migranti. Serviva qualcosa che potesse far conoscere le relative realtà, fare incontrare attraverso la danza e il gioco abbattendo la barriera linguistica” spiega il docente.
Il progetto di quest’anno ha visto 10 incontri, 8 nella sede di Laboratorio 53 e 2 a scuola e ha portato alla realizzazione di un corto di 30 minuti a carattere documentaristico che verrà proiettato il 6 giugno al Teatro dell’angelo, in occasione della rassegna teatro scuola della rete Otis che coinvolge istituti italiani ed esteri.
“La mia attenzione è stata sempre al processo e non al prodotto. Il prodotto è venuto cucendo le proposte vissute durante il percorso, dandogli una sequenza narrativa”.
Le classi interessate sono state le 3, le 4 e le 5 per un discorso di maturità. “Gli incontri richiedevano un’ora di metro e costanza nella presenza per non creare interruzioni per i migranti che già ne hanno avute tante nella vita. I ragazzi sono rimasti anche fino alle nove di sera e si sono dimostrati estremamente responsabili. Si è creato un legame fortissimo, tuttora si vedono e si scrivono”.
A fare aderire i partecipanti è stata la passione con cui il docente ha presentato il suo progetto.
“Ha chiesto se eravamo curiosi non importava se eravamo bravi a scuola o no, gli interessavano le persone che volevano passare il confine e guardare dietro la nebbia. Per questo sono qui ” spiega Davide, ragazzo del Bottardi che ha partecipato al laboratorio.
Attingendo all’area etnoantropologica della danza terapia Fernando ha messo al centro del suo lavoro il corpo, che permette di manifestare all’esterno un simbolo interno. Il corpo nell’adolescenza è importantissimo in un momento nel quale si ha un approccio difficile con il fisico e si ha paura di esprimere il proprio stato, in più per i rifugiati il corpo è stato mortificato e manipolato.
“Il mio corpo era freddo” dice Bubacar del Senegal “dopo due anni di laboratorio con Fernando è ridiventato vivo” e Davide aggiunge in dialetto “te pija, te tocca ballà”.
“E’ un luogo culturale: ancora prima di riuscire ad imparare un vocabolario lessicale impariamo un linguaggio corporale, è il luogo della nostra identità. Se non abbiamo chiara la nostra identità è difficile riconoscere l’altro” spiega Fernando.
Studenti italiani e migranti si sono incontrati nelle linee di confine, nelle regole che valgono per entrambi e la possibilità di entrare in contatto li ha aperti. Gli studenti hanno portato: curiosità del diverso, conoscenza di coetanei, Roma, i migranti, il loro mondo.
Il laboratorio si è avvalso di diverse tecniche artistiche, canto, pittura, narrazione e anche scrittura, quest’ultima solo in un secondo momento, dopo aver aperto gli altri canali attraverso la danza “le parole trovano un significato diverso una volta che il corpo è stato attivato”.
Negli incontri hanno raccontato la vita, l’amore, la relazione, la morte, hanno giocato con le emozioni attraverso il dialogo . “Sono ragazzi come noi, non extraterrestri vogliono fare le nostre stesse cose vedere gli amici, uscire, ma hanno vissuto situazioni molto dure” racconta Davide.
“Il corso mi ha lasciato cultura, nel senso di parlare dopo aver conosciuto” spiega Damiano,“con cognizione di causa” aggiunge Flavia “Questi incontri mi hanno aiutato ad avere più fiducia in me stessa e negli altri. Senti l’energia che passa ma non si tocca quando poi ti abbracci capisci che hai desiderato farlo tutto il tempo. Le emozioni che non hanno limiti e aprirsi è uno dei migliori inviti che una scuola possa fare” spiega Giulia e aggiunge “Semplicità, spesso si pensa che per essere felici bisogna avere delle cose concrete, macchina cellulare, ma lì noi siamo stati felici con niente, solo con la giusta compagnia” .
“Dicono che dobbiamo stare in stanze diverse ma alla fine le emozioni sono sempre le stesse” canta Mwaran Mohamed in un testo composto per il laboratorio “Momenti speciali dal primo all’ultimo” spiega ancora Mwaran, al suo secondo anno “un’attività di questo tipo nella scuola è importante perché la società ci porta ad avere pregiudizi. Bisognerebbe rompere questa cecità estendendo l’esperienza ad altre scuole a partire dalle elementari, perché noi siamo già formati, abbiamo scelto di partecipare, ma loro? Vorrei che questi corsi fossero la normalità non l’eccezione”.
Elena Fratini
24/05/2017
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