Da Majakovskji ad Enea: il teatro diventa migrarte

Enea in viaggio

Una nuova forma di integrazione si sta diffondendo a Roma grazie all’iniziativa di associazioni come Asinitas e Liberi Nantes: è il teatro dei migranti. Sul palcoscenico si assiste alla collaborazione di attori, volontari e rifugiati in quella che è l’arte che da sempre ha portato le emozioni e il movimento a parlare e ad unire lì, dove la ragione non riesce.Grazie alla vittoria del bando Migrarti 2017 è stato possibile realizzare due laboratori teatrali: Mistero buffo di Majakovskji  cominciato a gennaio da Asinitas, in collaborazione con Postop, diretto da Alessio Bergamo, in scena al teatro India il 26 e il 27 aprile ed Enea in viaggio, progetto del teatro di Roma che ha partecipato in partenariato con Amref e Liberi Nantes, avvalendosi anche dell’aiuto di Italia che cambia, di Kalma e del comitato di Pietralata.Quest’ultimo non vedrà uno spettacolo finale ma si propone solo “il laboratorio per il laboratorio” spiega Noemi, coordinatrice del progetto.Enea in viaggio prevede, infatti, una fase iniziale laboratoriale, fino a giugno, in cui 14 attori della Scuola di Teatro e Perfezionamento Professionale del Teatro Argentina – Teatro di Roma si affiancheranno a 15 migranti di Liberi Nantes, sotto la direzione della regista Emanuela Giordano e il coordinamento di 2 formatori.Il percorso parte da uno studio della regista sul personaggio di Enea, il suo sbarco in Italia, ponendo l’attenzione sul fatto che “in fondo anche noi siamo stati fondati da un migrante” dice Noemi e prende spunto proprio da Il viaggio di Enea di Olivier Kemeid, che la regista porterà in scena al teatro Argentina il 26 aprile. Il drammaturgo canadese di origine egiziana si è focalizzato sul percorso a ritroso e ha approfondito il tema del viaggio virgiliano, attualizzandolo.Lo spettacolo sarà offerto ai ragazzi del laboratorio e a questo seguirà il loro terzo incontro.Fino ad ora il gruppo, partendo da un disegno delle loro case d’origine, ha lavorato sullo spazio e sull’incontro con l’altro.“Mi piace il laboratorio teatrale. Sto andando sempre perché è un’iniziativa molto importante” dice Bakary, che viene dal Mali ed è in Italia da un anno e mezzo- “abbiamo parlato di immigrazione, della storia di Enea e degli africani che vengono in Europa e di cosa faremmo noi se gli europei venissero in Africa. Ci sono anche due signore che insegnano a parlare l’italiano ai ragazzi con più difficoltà”.Nel gruppo le nazionalità sono varie: ci sono gambiani, malesi, nigeriani anche cinesi “sono simpatici, è come se fossimo una stessa famiglia” dice Bakary.Victor è nigeriano è in Italia da otto mesi e a lui invece il laboratorio piace perché lo fa “uscire da sè” e poi c’è Keita, che ha venticinque anni e viene dal Mali che si vergogna perché “è la prima volta che faccio una cosa del genere, però mi piace molto”.

Mistero Buffo

La referente del progetto per Liberi Nantes è Angela che ha creato, insieme a Noemi, una rubrica in cui annota alla fine di ogni incontro quello che emerge dai ragazzi.Alla fase iniziale ne seguirà una seconda, tra fine giugno e inizio luglio, in cui il teatro andrà in città. Riprendendo una tecnica sperimentale degli anni ’70, la quarta parete si romperà per scendere in strada e parlare con la gente. Un camion di dodici metri girerà per tre diverse periferie romane, Pietralata, Tor Bella Monaca, Quarticciolo fermandosi in ciascuna per tre giorni, per un lavoro di teatro integrato tra residenti, migranti e attori. Ci saranno performance, musiche e laboratori sul mito di Enea. L’idea nasce dalla volontà di lavoro doppio: “spesso i migranti vivono nelle periferie e non sono ben accolti dai residenti e allora bisogna fare un lavoro sul margine del margine” spiega Noemi e aggiunge “la regista ha fatto già qualcosa di simile due anni fa e l’anno scorso”.Nella terza fase sarà invece la città ad andare in teatro, secondo un modello francese: Atelier dei 200 che aprirà le sue porte all’intera città. La regista lavorerà in un solo giorno con 200 partecipanti che a fine giornata andranno in scena partendo dallo convinzione che “quando ho 200 persone in scena qualcosa deve accadere”.“All’inizio per me non era facile guardare in faccia le persone, ora con il teatro sono più aperto”– dice Bakary sorridendo.Proprio questo è l’obiettivo del progetto in fondo: vincere le vergogne da una parte e i pregiudizi dall’altra e guardarsi negli occhi, finalmente.

Elena Fratini

(27/04/2017)

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