Blessing Okoedion: la tratta mi ha uccisa dentro. Ma ora sono libera

Una storia di coraggio come quella di Blessing, vittima di tratta, è difficile da raccontare, perché dietro questa forza si nasconde un dramma, quello di un inganno e di un’umiliazione, che hanno lasciato dentro questa giovane donna una ferita profonda, ferita che però si sta pian piano rimarginando. Così il dolore ha fatto spazio a una rinnovata speranza, ad una agognata liberazione. La paura di Blessing Okoedion, trenta anni, nigeriana, è stata quella di gettare la sua intera vita nelle mani dei trafficanti. Oggi, parla della propria esperienza e nelle sue parole lente, cadenzate, il suo racconto diventa un atto rivoluzionario, perché “per cambiare le cose, si deve trovare la forza di parlare”.

"Il coraggio della libertà. Una donna uscita dall'inferno della tratta" (ed. Paoline, 2017)
“Il coraggio della libertà. Una donna uscita dall’inferno della tratta” (ed. Paoline, 2017)

Blessing, che la sua vita l’ha cambiata, ora vuole condividerla, regalando la sua storia a tutti: “ai giovani, agli uomini e alle donne, alle vittime della tratta e agli stessi trafficanti, agli italiani e ai nigeriani”. La regala attraverso un libro, che è la sua autobiografia scritta a quattro mani con la giornalista e scrittrice Anna Pozzi, dal titolo “Il coraggio della libertà”, presentato lunedì 12 giugno  dalla stessa autrice alla Camera dei Deputati, in un evento organizzato dalla Fondazione Nilde Iotti e dall’Associazione Slaves No More. Il libro, pubblicato lo scorso 8 febbraio, “è la storia di un terribile inganno”, dice Blessing. Ed è il frutto di una ricostruzione dolorosa, ma allo stesso tempo liberatoria, della propria esperienza di vittima di tratta.

“Ho iniziato a scrivere la mia storia nel 2015. Nel 2013, ero in Nigeria, quando la mia vita è stata sconvolta da una donna che mi propose di andare a lavorare in Italia nel negozio di suo fratello. Io, laureata in informatica, in quel periodo mi occupavo di riparare i computer. Avevo studiato a Benin City, una grande città, dove ho anche svolto il Servizio Civile, obbligatorio nel mio paese. Questa donna diceva di apprezzarmi, era cristiana e pregava sempre per me. Riposi in lei tutta la mia fiducia, ero convinta che partire per l’Italia sarebbe stata l’occasione della vita. E così, senza troppi dubbi, ho deciso di lasciare tutto, la mia terra, la mia famiglia, il mio lavoro. La preparazione dei documenti ha richiesto nove mesi, e alla fine ho ottenuto il visto lavorativo per due anni. La partenza non mi spaventava, ero sicura che questa donna volesse il mio bene. Neanche un dubbio o un timore. Ma una volta arrivata in Italia, a Caserta, non riuscivo a credere a quello che mi stava per succedere”.

Blessing, all’epoca ventisei anni, con l’ottimismo in tasca e una valigia piena di sogni e speranze per il futuro, arriva a Castel Volturno e invece del lavoro promesso, trova davanti a sé un debito di 65.000 euro e la strada: la sua vita era scivolata nelle mani dei trafficanti.

Dopo tre giorni, ho avuto la forza di andare alla polizia per sporgere denuncia e sono stata portata in una casa, una comunità di suore orsoline, dove ho iniziato di nuovo a camminare, a ricostruire la mia vita distrutta”. La casa di cui Blessing parla è Casa Rut, fondata più di venti anni fa da Suor Rita Giaretta, che fino ad oggi ha dato accoglienza e prestato soccorso a circa 370 donne vittime di tratta, in un contesto tra i più drammatici in Italia, dove il racket della prostituzione conta un ingente giro di affari. Casa Rut non si occupa solo di fornire a queste donne un’assistenza emergenziale: “Abbiamo un sogno“, dice suor Rita Giaretta in un’intervista,”liberare le donne sensibilizzando la società al rispetto, e dobbiamo farlo partendo dalle scuole. L’obiettivo è che posti come Casa Rut un giorno scompaiano, segno che avremo costruito una società migliore”.

Suor Rita Giaretta, fondatrice di Casa Rut, Caserta.

“Perché l’ha fatto? Perché questa donna ha rovinato la mia vita? Perché sono stata così stupida?”. Blessing non ha mai smesso di farsi queste domande, che per lungo tempo l’hanno tormentata. Finché queste non sono diventate la spinta per il suo riscatto e per la sua liberazione. “Oggi che sono libera e che Dio mi ha aiutata a riprendermi la mia dignità, voglio assistere le tante ragazze nigeriane che già dai 13-14 anni finiscono nella tratta degli esseri umani”.

In alcune zone della Nigeria, cadere nelle mani di queste persone purtroppo è più facile di quanto si pensi: nelle grandi città, dove è possibile avere accesso all’istruzione, le associazioni svolgono un ruolo importante nella sensibilizzazione alla piaga della tratta. Ma nei villaggi più poveri, dove le persone non hanno accesso all’acqua così come all’educazione, le ragazze vengono ingannate dai trafficanti con estrema facilità, sono comprate con pochi soldi e la promessa di una vita migliore. In quei posti dimenticati, i trafficanti appaiono come “salvatori”. Una volta cadute nel racket, non riescono più a uscirne, troppa è la paura dei ricatti e delle ripercussioni sui propri familiari”. Inoltre, molte di loro sono vincolate ai trafficanti da una sorta di rito vodoo, una catena psicologica, come un giuramento. “Stare nella strada, anche solo per tre giorni, mi ha fatto sentire un prodotto da comprare e consumare. Dentro ero morta. E quante sono le ragazze che muoiono dentro… Io in quel momento avrei preferito la morte del corpo. In un solo minuto era scomparsa la dignità che avevo costruito in tanti anni di studio e di sacrifici”.

Oggi Bessing, che lavora come mediatrice culturale e vive a Caserta, è  una giovane donna di trent’anni, libera e fiera, che con suor Rita Giaretta e le altre suore della comunità, combatte per ridare dignità e libertà alle donne vittime di tratta. Non solo qui in Italia, ma anche in Nigeria, dove purtroppo c’è ancora molto da fare. “Ho ricevuto da Dio una seconda possibilità, una mano tesa”. E ora è Blessing a tendere la sua mano.

 

 

Elisabetta Rossi

(09 giugno 2017)

Leggi anche:

Rimpatrio ragazze nigeriane: molte delle 66 partite da Roma

Ritorno alla “tragica normalità”: nel CIE di Ponte Galeria con Be Free

Nuove schiavitù: tratta e traffico di migranti. Incontro con Paola Scevi