L’area antistante l’ingresso della Grande Moschea mostra subito la sua vitalità ospitando un mercato, profumato dagli aromi del kebab e dei falafel. Ci si sofferma volentieri lì fin quando una voce profonda riecheggia nell’aria: il muezzin chiama a raccolta i fedeli.I credenti vengono da paesi lontani tra loro. Si vede dal loro aspetto e dall’abbigliamento, che trasforma la grande sala in un crogiolo di etnie e di colori. Alcuni sono residenti in Italia da molti anni, altri da poco. L’integrazione sociale non è un fattore scontato da sottovalutare, bensì una variabile molto delicata.Tra questa folla, prima dell’inizio della preghiera, c’è una signora musulmana che sta per raggiungere le altre donne nella parte alta dell’edificio. Si chiama Farida, è originaria del Marocco ed è in Italia da 28 anni. È felicemente sposata e fa la casalinga, provvedendo alla famiglia con grande dedizione specialmente durante il Ramadan. Vive bene nella nostra città ma non sopporta la mancanza di rispetto mostrata da alcuni cittadini: “è capitato che mi invitassero a togliermi dalla testa quello straccio” spiega indicando il suo hijab, il velo islamico.Farida adora la fontana di Trevi, il Pantheon e il Colosseo e apprezza molto la cucina italiana che le piace preparare in famiglia, in particolare la pasta con il sugo o con il pesto alla genovese. “A casa cucino solo italiano. Mio marito mi chiede sempre la pasta” ammette con un sorriso. È ben integrata ma a volte soffre per la mancanza di rispetto e la poca”libertà di vestirmi come desidero”, dichiara con una punta di amarezza.Farida ha accettato la cultura italiana. Ma noi siamo pronti ad accettare la sua?
Francesco Ferrucci(27 giugno 2017)
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