Domenica 22 ottobre nel tempio di Geova, a Roma, si sono riuniti più di 1800 fedeli di origine straniera: 500 francofoni provenienti perlopiù da paesi africani e più di 1330 rumeni, moldavi, ungheresi e rom, in totale la comunità conta 3952 testimoni. Nel tempio costruito a piazzale Hegel non ci sono immagini sacre, il credo rifiuta qualsiasi rappresentazione del divino. È un ambiente di marmi grigi e vetrate, curato ma soprattutto funzionale, progettato per accogliere grandi numeri come in questa domenica di fine ottobre.I testimoni di Geova in Italia sono 250.000, nei loro luoghi di culto non ci sono altari nè preti, le uniche figure di riferimento sono gli Anziani. I fedeli studiano attentamente la Bibbia e praticano il cristianesimo del I secolo: non accettano i rapporti prematrimoniali, l’adulterio e l’aborto, così come condannano il fumo, l’alcool e l’uso delle armi. La loro religione è il loro modo di intendere la vita “separati dal mondo”. Nella sala dedicata alla lingua francese i 500 presenti sono solo una parte della comunità francofona che conta 1200 fedeli in tutta Italia. “Alcuni ci contattano tramite il nostro sito e ci conoscono già dall’Africa, altri li intercettiamo in strada. E poi interveniamo anche nei centri di accoglienza, non abbiamo grandi difficoltà ad entrare anche se in alcuni centri ci sono delle limitazioni. Solitamente facciamo un intervento in mensa che dura 10-15 minuti, non ci interessiamo mai alla gestione delle strutture, restiamo un passo indietro. Il nostro obiettivo è sempre quello di avvicinare le persone a Dio”, dice Arnaud, tra gli organizzatori dell’evento. Ma nel caso dei migranti appena arrivati lo spazio per lo spirito si crea risolvendo questioni di vita pratica: “Non ci sostituiamo alla rete statale che è molto ben strutturata in Italia. L’intervento resta sempre sul piano emotivo, ma cerchiamo di creare un equilibrio che permetta alle persone di integrarsi e di lavorare. Li aiutiamo accompagnandoli al CAF o traducendo un documento, ad esempio”.Ed è proprio la lingua un punto di forza della comunità dei testimoni di Geova. Dai centri d’accoglienza ai campi rom, passando per le strade della città cambiano lingua e linguaggi per parlare a tutti, “per comunicare con i rom, ad esempio, spesso utilizziamo i video perché ci siamo resi conto che li preferiscono”, dice Nicolangelo Aldo Gentile. Molti fra i testimoni di Geova seguono corsi di lingua straniera e l’idea che un italiano abbia voluto imparare il rumeno, il tagalog o il cinese crea fiducia e predisposizione all’ascolto.Sia nella sala dedicata ai discorsi in francese che in quella dedicata a quelli in rumeno, sono tutti estremamente composti: sereni nei sorrisi ed eleganti nel vestire. Ma dietro tanto decoro, ci sono storie difficili come quella di Gabriela e Petru che frequentano le adunanze dei testimoni di Geova da circa un anno e si sono battezzati la scorsa estate.Gabriela è arrivata in Italia 15 anni fa: “Già dalla Romania avevo cominciato a leggere la Bibbia da sola perché ero delusa dalla religione ortodossa, non mi convinceva. I preti predicavano una cosa e ne facevano un’altra. Ma in tutti questi anni sono stata molto presa dai problemi materiali”. Ha deciso di venire in Italia perché la sua ditta aveva accumulato troppi debiti. “Ho capito che non ce l’avrei mai fatta a pagare lavorando in Romania, così sono partita. Non è stato facile, non era il mondo a cui ero abituata io. Nel mio paese devi stare sempre attento alle parole che dici e a non dire troppo quello che pensi. Qui è il contrario! E poi abbiamo passato un periodo difficile con mio marito, le cose non andavano bene”. Petru ha deciso di raggiungere sua moglie in Italia dopo 8 anni per salvare il loro rapporto. “Frequentare la comunità ci ha aiutato molto. Ho capito quello che Geova – posso chiamarlo così? – si aspettava da me. L’uomo deve essere la guida in una famiglia, io devo solo aiutare, e invece mi comportavo in tutt’altro modo perché ero io quella che manteneva la famiglia”, conclude lei.E se nel caso di Petru e Gabriela il credo religioso ha messo tutti d’accordo, diversa è l’esperienza di Afrodita, rom rumena. “Mio marito non ha mai voluto che io studiassi la Bibbia perché pensava che la religione cambia le persone. Ed è così. Ho capito che Dio ti chiede di non litigare, di non rubare, di non dire le bugie”. Afrodita ha vissuto a lungo nel campo di Via di Salone, ma da 5 anni lavora come badante presso un’altra testimone di Geova “Da quando è morto mio marito ho il lavoro, ho la casa, ho tutto! Era geloso e non voleva che lavorassi. Lui stava bene così, a me invece piace vivere in un appartamento: tenere tutto pulito e avere spazi privati”. Col tempo Afrodita ha avvicinato anche i suoi figli, che erano scettici.“In mezzo agli altri fedeli mi sento amata e mai giudicata, prima mi sentivo sempre giudicata”, sorride soddisfatta. La dimensione religiosa di Afrodita è il suo riscatto sociale “Ora predico anche io in lingua romanì. Abiti in un campo, in una baracca, in mezzo alla mondezza, ma loro, i testimoni di Geova, ti portano la luce”, conclude. Ma è davvero la luce una religione che parla tutte le lingue ma non ammette la possibilità che un testimone di Geova si innamori di un uomo o di una donna che crede in un altro Dio?
Rosy D’EliaFotografie di Veronica Adriani(25 ottobre 2017)
Leggi anche