Domenica 3 dicembre la Sala Congressi di via dei Frentani ha ospitato il Forum “Per cambiare l’ordine delle cose” promosso dal regista Andrea Segre insieme ad Amnesty International Italia, Medici Senza Frontiere Italia, Banca Etica, Naga, Medu, ZaLab e JoleFilm. Un evento partecipato, che ha impegnato l’intera giornata di domenica e che ha visto all’opera cinquecento persone provenienti da tutta Italia, impegnate in tre gruppi di lavoro: “Vie regolari e canali umanitari”, “Dall’accoglienza al nuovo welfare solidale”, “Comunicare e agire nell’era delle migrazioni”.
“Il cambiamento profondo che vogliamo ha bisogno di orizzonti ampi, di tempi adeguati e di incontri tra persone”, con queste parole Andrea Segre ha sintetizzato gli intenti che animano le molte persone che non tollerano più di vedere il fenomeno migratorio rappresentato in termini sbagliati e secondo ottiche distorte, che amplificano e rendono sempre più prolifica la “fabbrica della paura”.
Analizzare le cause della pericolosa contrapposizione “noi contro immigrati” mette in gioco una serie di attori politici, istituzionali e mediatici che deliberatamente dirottano l’opinione pubblica verso sentimenti di inquietudine, paura e insicurezza. Il ruolo della politica, delle istituzioni e dei media è stato ampiamente discusso dai relatori che hanno aperto i lavori: la tematica dell’immigrazione è sempre più presente nel dibattito pubblico, ma questo cambia effettivamente le cose? Quello a cui associazioni e singoli cittadini assistono è una mancanza di volontà di cambiamento, ma anche una strumentalizzazione del fenomeno migratorio.
Campagne elettorali subdole, diritti negati, articoli di giornale che dipingono l’immigrato come capro espiatorio o che lo polarizzano nella divisione manichea di vittima o carnefice. Il Forum parte innanzitutto da una necessità di conoscere i dati certi della migrazione e lo fa con le testimonianze di Francesca Mannocchi sui centri di detenzione illegali in Libia, di Dagmawi Yimer, che riporta i dati sulle migrazioni interne in Africa ridimensionando la paventata “invasione”, di Annalisa Camilli, che mette in luce le riflessioni sul ruolo che i giornalisti oggi hanno nel narrare la migrazione “come ha detto Domenico Quirico, il nostro ruolo non è quello di giudicare le politiche dei governi, ma piuttosto quello di denunciare le conseguenze che queste politiche hanno sulle vite delle persone”.
Alla fine della mattinata i tre gruppi di lavoro si sono confrontati e hanno formulato proposte. Il tavolo “Comunicare e agire nell’era delle migrazioni”, ha contato 27 interventi, si è soffermato su tre nodi concettuali: la comunicazione, la rete e l’azione. Il ruolo del giornalismo nel farsi portavoce dei migranti, nel raccontare i loro pensieri, il loro passato, ma anche il l’idea che hanno del futuro, carico di sogni, aspettative e incertezze è stato posto al centro della riflessione. La composizione del tavolo ha lanciato un segnale: ha visto la partecipazione attiva di giornalisti indipendenti, ma anche di membri delle associazioni impegnati nell’area comunicazione. Assenti i giornalisti “istituzionali”. Piuculture ha partecipato al tavolo di lavoro, testimoniando la propria esperienza di giornalismo di strada: “oggi non è più sufficiente soltanto raccontare per vincere la paura ma bisogna creare occasioni ed eventi di incontro e confronto per riuscire a esplicitare le reciproche paure, ascoltarle, superarle attraverso la conoscenza e poi tornare a raccontare. Il giornalista o il comunicatore che si occupa dell’immigrazione deve essere una sorta di mediatore della comunicazione“. Come sottolineato da Annalisa Camilli di Internazionale, è necessario
avere accesso diretto alle fonti ufficiali, contrastando così la disinformazione e il fenomeno virale delle fake news. Il giornalista deve farsi promotore di verità, rivendicando il diritto alla libertà di stampa e deve essere in grado di denunciare chi opera male. Per fare questo, non bisogna mai perdere di vista il binomio di incontro-confronto che serve a costruire una conoscenza diretta dei migranti. Fondamentale l’uso di un linguaggio appropriato e l’esigenza di creare un nuovo glossario per raccontare i migranti, i richiedenti asilo, gli stranieri che vivono da anni in Italia, i profughi, confermando che “le parole sono importanti”.
Solo con un’ottica nuova i media potranno descrivere questo fenomeno, complesso nella sua dinamicità e diversità, iniziando così a guardare l’ordine delle cose in un’ottica inclusiva: Minna, rappresentante del centro sociale e di recente centro SPRAR “Ex Canapificio” di Caserta ha parlato di “inclusione collaterale”, per evitare una sempre più profonda scissione tra realtà urbana e realtà migrante, che porterebbe a un inevitabile inasprimento delle divisioni. Riqualificare i quartieri, promuovere un dialogo, vincere l’isolamento in cui realtà come i centri di accoglienza versano, è una sfida collettiva per una società solidale e cooperativa incoraggiata attraverso una rinarrazione da parte dei media.
Questi intenti e quelli degli altri tavoli di lavoro, hanno portato a fine giornata i partecipanti a stilare un Manifesto che il 31 gennaio 2018 verrà presentato a Bruxelles.
Un primo passo per cambiare, uniti, l’attuale ordine delle cose.
Elisabetta Rossi
Silvia Costantini
(06 dicembre 2017)
Leggi anche: Cinque anni di PiucultureLe piccole grandi storie che fanno il fotogiornalismoInfomigranti: il giornalismo che non conosce stranieriUn libro sull’immigrazione per conoscere e guardare con fiducia al futuro