Benvenuti a cena: Quando il cibo profuma di integrazione

Chi è? Prego, quarta scala, primo piano. Benvenuto a cena!”, così Tiziana Sforza, la padrona di casa accoglie uno ad uno i partecipanti del progetto “Benvenuti a cena” provenienti da ogni parte del mondo che questa sera si riuniranno intorno al tavolo di casa sua. “Ho avuto l’opportunità di partecipare qualche mese fa a quest’iniziativa presso la sede di “Casa Scalabrini” insieme ad altre trenta persone. È stata un’esperienza bellissima che mi ha dato tanto quindi ho deciso di rifarla, ma questa volta volevo mettere a disposizione non solo il cibo, anche casa mia”, spiega. È la ricetta dell’integrazione di RomAltruista che attraverso il cibo, cerca di facilitare l’incontro tra italiani e stranieri che vivono a Roma mediante la condivisione di una cena. Quattro italiani, quattro stranieri, due facilitatori e tante storie di vita sono gli ingredienti di questa nuova iniziativa che come spiega Diana Radeva, coordinatrice del progetto, “è ispirata all’australiano The Welcome Dinner Project, nato per dare spazio agli incontri tra gli australiani e le persone che si trasferiscono nel paese. Adesso vogliamo fare lo stesso a Roma e offrire ai romani l’opportunità di incontrare gli stranieri, che come me, si sono trasferiti nella capitale”.Diana è nata in Bulgaria ma nel 2012 si è trasferita a Roma per amore, città nella quale ha proseguito a fare volontariato, una delle sue passioni. “Quando ho incontrato RomAltruista ho colto con grande entusiasmo l’occasione di entrare nel suo team, un passo importante che ha segnato anche la mia vita professionale: da ingegnere che realizzava strutture per collegare strade e città, sono passata a costruire ponti fra le persone“, spiega mentre inizia a servire agli altri partecipanti la Banitza, torta rustica bulgara  fatta con le uova, il formaggio e la pasta fillo, che ha preparato per l’occasione.“Molto buona!”, esclama Amadi in un italiano ancora un po’ traballante e con l’aiuto di Paola, una delle facilitatrici, racconta la sua storia. Classe 95, sguardo timido e occhi dolcissimi, Amadi è arrivato in Italia dal Mali tre anni fa e anche se ancora non ha deciso quale lavoro vuole fare da grande assicura che non sarà quello del panettiere. “Attualmente sto svolgendo un tirocinio presso un forno, ma spesso mi sento male perché mi dà fastidio l’odore della farina”, spiega. Per l’occasione, Amadi, ha portato la pizza, uno dei suoi piatti preferiti, “purtroppo ancora non so cucinare”, confessa il giovane.Così come Alì, trentenne del Kurdistan, che per mancanza di tempo anche lui questa sera ha portato la pizza. Alì è arrivato in Italia nel 2004, parla nove lingue e svolge tre lavori contemporaneamente: fa l’istruttore di box in palestra, il traduttore in un centro di accoglienza di Anzio e da pochi mesi ha iniziato a lavorare come pizzaiolo. “Amo la pizza, l’ho mangiata per la prima volta a Napoli, città che mi è rimasta impressa nel cuore,” ripete svariate volte durante la serata.

“Io invece a Napoli non ci sono mai stata”, aggiunge Shivani proveniente dalla California ma con origini indiane che per l’occasione ha deciso di portare il dessert. “Si chiama Kheer ed è un classico dolce indiano che ho preparato seguendo la ricetta di mia nonna: riso, cannella, latte e cardamomo. È molto dolce!”, avverte la giovane ventenne arrivata a Roma due mesi fa ma con un italiano quasi perfetto. “Ho frequentato lezioni di italiano in California due anni fa, mi piace molto studiare le lingue e avevo sempre sognato di venire in Italia per metterla in pratica e conoscere meglio la cultura di questo Paese”, spiega Shivani che attualmente a Roma segue un corso di “Storia e politica italiana” all’università John Cabot. Ma a tavola non mancano i piatti tipici italiani: dalla lasagna di Donatella, unica romana della serata, al timballo di verdure di Paola, una delle facilitatrici del progetto che finita la cena inizia a spiegare come funziona il gioco dello “speech bubbles” attraverso il quale i partecipanti devono cercare una parola con la quale definire la serata.Da “conoscenza” di Diana a “contento” di Amadì, da ”allegria” di Shivani al cuore disegnato di Alì “perché non ci sono parole per descrivere le emozioni che ho sentito questa sera”, spiega mentre lo mostra a tutti i partecipanti.  È quasi mezzanotte, la serata è finita ed è il momento dei saluti: c’è chi si scambia il cellulare, c’è chi va a prendere il tram insieme e c’è chi si augura di rivedersi presto nella prossima cena per ripetere un’esperienza unica nella quale il cibo riesce a parlare mille lingue, abbattendo le barriere e creando ponti tra culture.

Cristina Diaz3 aprile 2018

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