Teatro dell’Arcobaleno, in scena uniti oltre le divisioni

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Teatro dell’Arcobaleno
Quattordici ragazzi, dai quindici ai diciotto anni, tutti israeliani provenienti dalla Galilea: ebrei, drusi e mussulmani, scaldano la voce, sciolgono i muscoli, pronti a calcare la scena. Manca poco all’inizio dello spettacolo e l’emozione è tanta, anche perché reciteranno in una lingua che non è la loro: l’italiano. E allora piccolo esercizio scioglilingua con parole buffe come “pagnottella”. Si ride, si scherza, ci siamo “Mamma perché noi non possiamo entrare?”, inizia!

Il Teatro dell’Arcobaleno e Beresheet LaShalom

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Angelica Edna Calo Livne
“Sono ebrea nata a Roma. Quarant’anni fa sono andata a vivere in Israele, in Galilea, in un kibbutz di frontiera al confine con il Libano. Insegno teatro e ho un dottorato in Pirandello sul teatro come spinta per cambiare la società”. Edna Angelica Calo Livne è la madrina e ideatrice di un bel progetto iniziato anni fa, il Teatro dell’Arcobaleno, che in questi giorni in tournée a Roma presenta uno spettacolo unico. “La nostra storia inizia così: quando è scoppiata la seconda intifada ogni giorno avevamo due o tre attentati, io insegnavo già in tante scuole e all’università a Scienze della Formazione. Mi sono detta che dovevo fare qualcosa per unire le persone attraverso il teatro, l’arte e così ho creato questo teatro di ragazzi ebrei e arabi della Galilea in piena intifada basandomi sulla metodologia di mostrare il volto senza maschera.  Dopo qualche anno è nata la fondazione Beresheet LaShalom, ”בראשית לשלום”,  che vuol dire “un inizio per la pace”. Ho iniziato a lavorare con tutte le persone che avevano bisogno di esprimersi ma non sapevano come, dalle donne maltrattare agli anziani”. Il progetto ha avuto subito risonanza e sono stati chiamati a esibirsi in varie parti del mondo, dalla Svizzera dall’Azerbaijan al Festival della tolleranza. “Due anni fa ci hanno invitati a partecipare al Cartoons on the Bay, un festival sui cartoni animati, e ci hanno chiesto se potevamo preparare con i nostri ragazzi uno spettacolo in occasione degli 80 anni della promulgazione delle leggi razzial (1938). Io sono stata contenta perché i miei genitori sono cresciuti qui in Italia. Nel 1938 mamma aveva sei anni e babbo undici, così ho messo insieme le loro storie con quelle di tanti altri ed è nato lo spettacolo “Mamma perché noi non possiamo entrare?”.Per i giovani attori è stata una vera sfida, soprattutto per lo sforzo di recitare in italiano “Hanno provato sei mesi per riuscirci, ma poi il risultato ha superato ogni aspettativa. Siamo già saliti sul palcoscenico davanti a 700 alunni a Milano e poi a Torino e vedere recitare insieme coetanei di diverse religioni, ha provocato una reazione stupenda e spontanea”.

“Per me non c’è nessuna differenza, perché le persone di qualunque lingua, colore e religione, sono esseri umani”.

Il gruppo è composto da ragazzi e ragazze dai 15 fino ai 18 anni “dopo sia i maschi che le femmine si devono arruolare. La ferma dura due anni e otto mesi e nessun giovane può sottrarsi”. Tra loro c’è Shiraz, accenna qualche parola in italiano, ormai è la decima volta che viene in Italia. Chiederle come vive quest’unione di diverse religioni in un periodo in cui nel mondo sono spesso causa di divisioni, viene spontaneo: “Per me non c’è nessuna differenza perché le persone di qualunque lingua, colore e religione sono esseri umani. Conta soltanto questo per me.  Sarà il mio ultimo anno con il gruppo, fra poco compirò diciotto anni e dovrò arruolarmi, dopo vorrei diventare un medico”. Baar, anche lei ebrea, ha solo quindici anni, viene da un piccolo villaggio dal nome incantato “il villaggio delle rose”. Girare il mondo suscitando suggestioni positive nelle persone che assistono agli spettacoli, è il suo desiderio più grande.” Mi piacerebbe tantissimo studiare recitazione da grande, quando avrò finito il periodo nell’esercito, tornare e continuare a girare il mondo trasmettendo messaggi positivi”. Altissimo e un po’ introverso Rani che ha diciotto anni ed è druso. È arrivato nella compagnia insieme ai suoi cugini e fratelli “All’inizio mi sembrava un mondo stranissimo, tutti così aperti che ballavano e si conoscevano. Io ero piccolo e timido, adesso mi sento parte del tutto. Salire sul palcoscenico ha consolidato la sicurezza in me stesso”. “Danza meravigliosamente” aggiunge Angelica e anche lui è prossimo a partire per il servizio militare, sta facendo tutti gli esami per entrare nell’intelligence.L’entusiasmo di Angelica è contagioso: vicino a lei suo marito, sono insieme da 36 anni e hanno quattro figli maschi. Al rientro in Galilea, nel kibbutz dove tutto è iniziato, si realizzeranno nuove idee e organizzeranno nuovi viaggi per abbattere le divisioni.Per concludere un assaggio dello spettacolo:

Silvia Costantini(18 aprile 2018)

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