“Noi teniamo pulito, ma è tutto rotto. È un macello”, Nasser indica le crepe, numerose e profonde, sulle pareti del palazzo occupato in cui vive in Via Carlo Felice, 69 a Roma. L’edificio rientra tra “gli immobili pericolanti con rischio per l’incolumità degli occupanti” ed è il primo nella lista dei palazzi da sgomberare e su cui intervenire per trovare una soluzione alternativa agli inquilini, come si legge Piano di attuazione del programma regionale per l’emergenza abitativa per Roma Capitale, firmato dall’ex commissario straordinario Francesco Paolo Tronca nell’aprile del 2016.
Via Carlo Felice: l’edificio della Banca d’Italia occupato dal 2004
Dalla strada salta all’occhio il ponteggio di contenimento sulla facciata signorile di fine Ottocento, nel palazzo hanno vissuto fino al 1989 i dipendenti della Banca d’Italia, poi è stato liberato per lavori di consolidamento che non sono mai stati fatti. Davanti a ogni porta ci sono ancora i cognomi degli impiegati di banca, ma dal 2004, anno in cui ACTION ha occupato lo stabile, ogni appartamento ospita più di una famiglia originaria di diverse parti del mondo. “Eritrei, italiani, tunisini, sudamericani, rumeni. Siamo misti”, dice Fabio, che si occupa di fare le pulizie negli spazi comuni. “Ci piace vivere nel pulito. Mi danno un euro a famiglia”. 70 persone, 29 nuclei familiari e 22 minori vivono al civico 69. Il comune ha concluso da poco il censimento utile per verificare la fragilità degli inquilini, da cui dipende il loro diritto alla casa.
Nasser, inquilino fragile
Nasser ha tutte le caratteristiche per essere definito un inquilino fragile: 69 anni, malato di cuore, vive con una pensione minima di 453 euro. “Mi sono operato alla carotide e sono passato dall’ospedale a qua. Questo posto me l’hanno indicato gli assistenti sociali. Come faccio a permettermi una casa? Prima vivevo da un amico, ma poi è partito. Io non voglio tornare in Tunisia, sono collegato con l’ospedale e con il medico, ho speso tutta la mia vita qui”, e mentre parla mostra tutti i documenti e i certificati medici che ha, per avvalorare le sue parole.Assicura che qualcuno tra gli occupanti potrebbe permettersi di pagare un affitto. “Hanno il conto in banca”, dice. È arrivato a Roma nel 1984, dopo aver lavorato in nero a Brescia, Milano, Torino, si è trasferito nella capitale e ha aperto una partita IVA per fare l’idraulico. “Sono venuto qui perché il clima è lo stesso della Tunisia, è il migliore che c’è. Roma negli anni ‘80 era come un fiore”, dice sorridendo, “Ora cercala! Roma è sparita”.La sua stanza contrasta con l’ordine e la pulizia che regna negli spazi comuni. Una brandina, dei vecchi mobili, e un fornellino elettrico poggiato sul pavimento compongono il suo spazio di vita quotidiana, avvizzito e grigio, in cui spiccano i colori di una cartina dell’Africa: “Prima di arrivare in Italia, facevo il meccanico sulle navi della Marina Francese. Ho girato il mondo: India, Inghilterra, Canada. Ora sto studiando l’Africa, voglio vedere da dove vengono ”, dice divertito, si riferisce ai migranti: “Io in 30 anni non ho mai fatto male a un italiano, né un italiano a me. Ma non mi trovo bene con questi stranieri che stanno arrivando, ora è un macello”.“Preferisco stare da solo, anche quando prego. Non vado in moschea, troppa gente”. Nasser ama la tranquillità e in un palazzo occupato non esiste serenità: “Vivo sempre con i vestiti nelle valigie, ho paura che ci mandino via”.
L’occupazione di Via Carlo Felice a un passo dalla soluzione
Ma questa volta per Nasser e gli altri inquilini forse sarà diverso. Negli sgomberi senza soluzione a cui Roma si sta abituando, Via Carlo Felice è un’eccezione: negli ultimi mesi il tavolo interistituzionale sulla questione si è riunito più volte e pare che una soluzione per gli occupanti sia molto vicina. Si parla di 5 appartamenti della Banca d’Italia e 6 della Regione a cui dovranno aggiungersi degli immobili del Comune confiscati alla malavita.Nella documento di bilancio del 2017 della Sidief, che gestisce gli immobili di proprietà della Banca d’Italia, si legge: la Società ha ripetutamente chiesto alle istituzioni interessate l’avvio di un tavolo congiunto per l’individuazione di un percorso condiviso per addivenire in tempi estremamente ravvicinati alla liberazione del proprio immobile, manifestando la propria disponibilità a collaborare nella ricerca di soluzioni alloggiative per i nuclei familiari presenti nello stabile di via Carlo Felice 69.Forse il ruolo della Sidief è stato determinante, ma la società in questo momento preferisce “non rilasciare dichiarazioni” sull’imminente soluzione, una cautela che somiglia a quella degli inquilini. “Dice che ci dovrebbero sistemare entro metà novembre. Ma dal 2013 sento che ci vogliono dare una casa. Ho sentito che ci daranno degli alloggi per due anni e che le famiglie con bambini le lasciano nel quartiere perché vanno a scuola”. Nelle parole di Fabio c’è un misto di ottimismo e scetticismo: “Se ce la danno, è come un vincita!”.
Rosy D’EliaFotografie di gma(29 ottobre 2018)
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