Mentre il Decreto Sicurezza e Immigrazione, è passato ieri 27 novembre con la fiducia alla Camera dei Deputati, con 396 sì e 99 no, cerchiamo di capire le implicazioni che avrà sulla salute dei migranti.Procediamo con ordine.Il 25 ottobre 2018 con una lettera inviata alla Camera dei Deputati e al Senato delle Repubblica, con oggetto “Decreto “Immigrazione e Sicurezza” e sue implicazioni”, il Tavolo Nazionale Asilo aveva espresso preoccupazione per le conseguenze dell’attuazione del decreto, e presentato la proposta di emendamenti che con la fiducia non sono stati presi in considerazione.Quale futuro si prospetta ora? Quali le conseguenze per la salute fisica e mentale dei migranti e non solo? Quali le paure e le alternative?La risposta da chi opera ogni giorno nel mondo dell’accoglienza in prima linea a Roma e direttamente dalla Sicilia nei porti degli sbarchi.
Tavolo Nazionale Asilo: Centro Astalli
“In Italia il diritto alla salute è un diritto costituzionalmente riconosciuto, c’è una legge sanitaria molto avanzata, anche rispetto alle altre in Europa, che garantisce l’assistenza sanitaria a tutti indipendentemente dal permesso di soggiorno. Ora il quadro normativo che esce dal Decreto Sicurezza e Immigrazione crea maggiore precarizzazione delle condizioni di vita dei migranti, in particolare dei richiedenti asilo e delle persone con vulnerabilità, soprattutto per l’indebolimento del sistema SPRAR di accoglienza diffusa che aveva una progettualità molto chiara e definita con una presa in carico importante delle persone che venivano accolte”. Donatella Parisi, responsabile per la comunicazione del Centro Astalli, una delle associazioni del Tavolo Nazionale Asilo, evidenzia da subito la preoccupazione per le implicazioni dell’attuazione del Decreto, che chiude le porte degli SPRAR ai richiedenti asilo, inserendoli in grandi centri “dove le persone portatrici di vulnerabilità o di bisogni sanitari impellenti non potranno essere individuate tempestivamente e ricevere le cure che invece meriterebbero e di cui avrebbero bisogno sia per le loro condizioni psico-fisiche che per un discorso di sicurezza e sanità sociale”Questo è solo uno degli aspetti che preoccupa il Tavolo Nazionale Asilo, c’è poi il discorso della revoca della protezione umanitaria, titolo di soggiorno dato a quelle persone che non rientravano nei requisiti dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria, ma che avevano un profilo di problematicità molto spesso legato alla salute per cui era necessario dare loro una protezione. Questa poteva poi esser convertita in permesso di lavoro permettendo integrazione e inserimento sociale. “Venendo meno la protezione umanitaria, secondo noi si colpisce la possibilità di integrazione sociale e lavorativa di queste persone e neanche tanto indirettamente il diritto alla salute, perché una precarietà di vita comporta anche una precarietà sanitaria per persone già duramente provate”.
Le preoccupazioni degli operatori
“Quello che ci dicono gli operatori sul campo è che rispetto al passato vedono molte più persone che sono passate dalla Libia subendo torture e violenze, mentre prima si registrava e certificava nei laboratori degli enti di tutela una tortura che avveniva prevalentemente nel paese di origine e che spesso rappresentava la causa della migrazione forzata. Ora tutti quelli che passano per la Libia vivono l’esperienza della detenzione e conseguentemente della tortura, siano essi donne, uomini o bambini. Arrivano qui fortemente debilitati, provati nel corpo e nella psiche, molti anche con la necessità di presa in carico importante dal punto di vista psichiatrico e quindi il fatto che la loro vita sarà più precaria, perché la normativa rende tutto più difficile e complicato, e l’accesso al servizio pubblico diventa anch’esso più oneroso, questo preoccupa soprattutto gli operatori” sottolinea la Parisi.
La residenza e la tessera sanitaria
Il Decreto Sicurezza e Immigrazione apre anche una nuova problematica sulla residenza e il conseguente rilascio della Tessera Sanitaria. “Il Tavolo Nazionale Asilo aveva già segnalato il fatto che il codice fiscale numerico che veniva dato ai titolari di protezione richiedenti asilo, e non più un codice alfanumerico, complicava estremamente la vita dei migranti perché in molte ASL, farmacie e luoghi della sanità, questi codici non venivano riconosciuti. Quindi anche persone che avevano e hanno malattie croniche con cure quotidiane necessarie si trovano impossibilitati a seguirle non potendo reperire i medicinali”.Inoltre il venir meno del diritto alla residenza per i richiedenti asilo non solo lede un diritto fondamentale per i migranti ma sottrae uno strumento utile per garantire sicurezza nei territori e nelle città, dove vivono. “Perché se c’è una residenza anche fittizia, come quella in via degli Astalli riconosciuta fino a poco tempo fa, le persone venivano al centro per prendere la posta, i documenti e noi avevamo la possibilità di renderci conto delle loro necessità e bisogni e in che condizioni di vita vivevano. Ora questo non è più possibile e quindi abbiamo un quadro di controllo sociale meno efficacie che rende i territori più insicuri. È importante sottolineare che 1 su 3 dei migranti forzati sono vittime di tortura, quindi spesso con problemi di instabilità psichica o psichiatrica. La mancanza di residenza è un passo indietro, non aiuta nessuno, né gli italiani, né i migranti ma complica la vita di tante persone che hanno dei bisogni urgenti e rende tutti più insicuri”.
Più migranti irregolari, più rischi per la salute
L’applicazione del Decreto Sicurezza amplia la casistica di irregolarità delle persone che per tanto tempo hanno avuto un permesso di soggiorno e rischiano di perderlo e non poterlo più avere. Questa irregolarità aumenta la loro precarietà di vita e quindi le condizioni di salute e sicurezza sociale in generale.“Noi siamo preoccupati e cerchiamo di fare al meglio il nostro lavoro e denunciare tante cose che nel sistema non funzionano: lo facciamo da sempre e continueremo a farlo”.
1 su 3 migranti forzati sono vittime di tortura: incremento dei problemi di salute fisica ma soprattutto mentale.
La mancanza di un domicilio e una residenza concreta si ripercuote anche sulla possibilità di usufruire dei servizi psichiatrici. Giancarlo Santone, medico psichiatra coordinatore del progetto SaMiFo, spiega che “i centri di salute mentale, le comunità, i gruppi appartenenza hanno un territorio di competenza ossia si occupano delle persone che vivono in quel territorio e dove preferibilmente risiedono. In questo nomadismo e fuoriuscita dai centri di accoglienza le persone non hanno più una residenza reale, e anche la residenza fittizia non è più concessa loro. Quindi si determina un vuoto che impedisce il rinnovo del permesso di soggiorno e di conseguenza dell’iscrizione al sistema sanitario, limitando l’acceso alle cure. Paradossalmente potrebbe essere ancora possibile iscriversi come STP, Straniero Temporaneamente Presente, ma poi non avere diritto a cure perché in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno”. Le ricadute sulla salute individuale sono quindi drammatiche, ma investono anche la salute collettiva,” perché quando sta male una persona non sta mai male da sola!”.
Le ripercussioni
“Proprio ieri ci siamo trovati davanti a due situazioni abbastanza difficili: una donna con bambino e una famiglia con la mamma incinta di 6 mesi e un bambino di un anno che, a seguito della chiusura di un CAS di Catanzaro, sono state messe per strada. Sono arrivate per fortuna, non so per quale magia della vita, al SaMiFo“Molte persone con una protezione umanitaria si troveranno per strada o senza un alloggio ben definito. L’impossibilità di accedere all’accoglienza SPRAR dopo l’accoglienza nei CAS determina questa situazione con gravi ripercussioni sulla salute delle persone.
Come cambierà il lavoro sul campo
L’azione quotidiana diventerà più complicata: dovremo attivarci per coinvolgere maggiormente gli enti locali, rafforzare una rete che già esiste e impegnarci di più per compensare le mancanze sugli aspetti sanitari ma anche sull’accoglienza, per un alloggio sicuro.
Psicologi con i migranti: 232 psicologi siciliani scrivono una lettera denuncia contro il decreto
“Quel che vediamo come professionisti è il segno delle torture non solo sul corpo ma nell’anima, causa di sindromi post-traumatiche dovute a traumi estremi, ma anche una serie di disturbi che vanno dalla depressione fino ai casi più gravi di dissociazione. Tutti questi pazienti necessitano di un sostegno professionale psicologico a volte anche farmacologico”, testimonia Stefania Pagliazzo, psicologa siciliana firmataria del comunicato “Psicologi con i migranti”.“A causa del decreto sicurezza e immigrazione tutto quello che in questi anni siamo riusciti a creare con il sistema di accoglienza verrà distrutto. Porto l’esempio concreto di un centro dove erano state accolte da poco delle donne con dei bambini, appena la prefettura ha messo in atto il decreto è arrivata comunicazione che diceva che i migranti beneficiari di protezione umanitaria dovevano immediatamente uscire, nonostante fossero donne con bambini. Una delle donne è affetta da un disturbo post-traumatico con dissociazione ed era in attesa di passare in uno SPRAR. Naturalmente non sono state messe alla porta”.
L’importanza della figura dello psicologo, primo amico con cui aprirsi.
La possibilità di avere uno psicologo all’interno dei centri di accoglienza è fondamentale. “Da sempre si parla dell’importanza dell’individuazione precoce, che è stata la bandiera per noi psicologi dell’accoglienza, e ci siamo battuti volendola applicare anche negli sbarchi perché il tempo, in situazioni come le vittime di tratta o con disturbi post-traumatici, è fondamentale. Ritardare la presa in carico del problema ritarderà ancora di più la soluzione. Questo modo di operare porterà a un’invisibilità della sofferenza, senza risolverne le cause, con conseguente peggioramento degli effetti, perché un sintomo non individuato diventa malattia, diventa disagio”.
Quanto e come tutto quello che sta accadendo è percepito dagli ospiti dei centri
“Si avverte una sensazione di instabilità e precarietà, i ragazzi ci chiedono cosa stia succedendo, sono spaventati e quel senso di sospensione che già vivevano prima di poter entrare nel mondo lavorativo, sta diventando il loro nuovo status, quasi indeterminato. Ci fanno tante domande, ma noi purtroppo non abbiamo risposte concrete se non quelle umane”.
Pericoli più imminenti e alternative
Agli aspetti preoccupanti evidenziati dal Centro Astalli, da Giancarlo Santone e Stefania Pagliazzo, si uniscono le criticità sottolineate da INTERSOS e MEDU in Sicilia.“Circa duemila minori qui in Sicilia compiranno 18 anni il 1 gennaio 2019. Questo decreto mette in strada i neo-diciottenni senza alcuna tutela dicendogli “siete invisibili, cercate di sopravvivere”. E sappiamo tutti cosa accadrà: aumento del lavoro nero nei campi, dello spaccio, della prostituzione, queste sono le vie per sopravvivere”. Questi sono i dati allarmanti riportati da Diego Pandiscia di INTERSOS Sicilia. L’applicazione del decreto, come più volte testimoniato, porta indietro il lavoro fatto in tanti anni per l’accoglienza “Abbiamo iniziato nel 2016 con problemi di sovraffollamento, di disorientamento, di lesione dei diritti, di mancata chiarezza per i MSNA su dove dovessero andare. Ora dopo quasi 3 anni di lavoro, questo decreto smantella tutto riportandoci nell’incertezza, seppellisce la legge Zampa e crea una schiera di persone invisibili per la strada. Ha distrutto tutti gli investimenti fatti nel sociale negli ultimi 2-3 anni”Il decreto come più volte evidenziato impoverisce il sistema di accoglienza aumentando le vulnerabilità e non garantendo gli aiuti e la tutela. “All’aumentare del periodo di permanenza nei cosiddetti CPR non è ancora conseguito un accordo bilaterale per il rimpatrio, quindi teoricamente finito il periodo andranno tutti per strada con il foglio di via. Si creeranno delle sacche di degrado all’interno dei conglomerati urbani, persone senza alternative e invisibili”. Samuele Cavallone di MEDU Sicilia, sottolinea uno dei bachi fondamentali del decreto e che già sta generando conseguenze tra gli ospiti dei centri “sono estremamente preoccupati, percepiscono il clima di poca tolleranza nei loro confronti. Sono molto agitati e prendono decisioni spesso sull’onda della paura, si allontanano dai centri prima di esser mandati via, perché vogliono trovare immediatamente un’alternativa. Prendono e partono su consiglio di amici verso grandi città e poi chiamano perché rimangono per strada o alla stazione. Per noi che ci occupiamo spesso di migranti che stanno seguendo un percorso di psicoterapia questa condizione peggiora il loro stato e ancora più se partendo, sospendono la cura”.
Strategia alternativa
La risposta è corale: fare rete e creare un coordinamento fra tutti gli attori che si sono occupati di accoglienza al di fuori del circuito istituzionale, con progetti finanziati da enti non statali e coinvolgendo anche i comuni, per attivare un tipo di accoglienza diffusa.
Silvia Costantini(28 novembre 2018)
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