Porti chiusi, No alle Ong: la politica migratoria dell’Europa

"Al contrario - sostiene la vice presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche - bisognerebbe istituire un corridoio umanitario europeo, per permettere alle persone di viaggiare ed essere accolte in sicurezza”.

“Esserci per gli altri. Tutto quello che accade nel mar Mediterraneo non si risolverà se volteremo la testa dall’altra parte. L’accoglienza si può fare e noi nel nostro piccolo vogliamo dare un esempio concreto”.  Marco Fornerone è il giovane pastore Valdese che l’estate scorsa si è dato da fare, raccogliendo un appello di Riccardo Gatti, capo missione di Open Arms, per aiutare in cantiere per rimettere in acqua la nave che aveva bisogno di riparazioni. Uomo di preghiera, dunque, ma anche di “sostanza”.

Alla conferenza stampa indetta dalla Federazione delle Chiese Evangeliche, con Sea Watch e Open Arms, moderata da Luigi Manconi, presidente di A buon diritto, Fornerone, insieme alla vice presidente della FCEI Christiane Groeben ha sottolineato come “tutto è pronto da parte della Federazione – per accogliere i 15 naufraghi salvati dalla nave Sea Watch che ancora oggi si trovano al centro di identificazione di Malta”.

La vice presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche, Christiane Groeben

Ma la ripartizione tra gli 8 paesi che hanno dato la loro disponibilità evidentemente incontra qualche problema visto che ancora non c’è stata alcuna comunicazione ai valdesi da parte del governo italiano che, nella persona del ministro Salvini, ha tenuto a sottolineare come questa “ospitalità” non costerà 1 euro alle casse dello Stato.

”Non mi è sembrata una sottolineatura di buon gusto da parte del ministro – ha detto Groeben – non sappiamo ancora in che luogo saranno ospitate queste persone perchè dipende dalla loro identità. Uomini, donne, famiglie, a seconda della tipologia di appartenenza, verranno destinati alla situazione più adatta tra tutte quelle che fanno capo alla Federazione. E’ stato emozionante per me – ha aggiunto la vice presidente –  far parte della missione che è salita a bordo della Sea Watch il 4 gennaio – molti dei ragazzi erano libici e ho visto con i miei occhi le cicatrici sui loro corpi. Non credo si debba essere fieri – ha concluso – che siano diminuiti gli sbarchi. Quello che invece bisognerebbe istituire è un corridoio umanitario europeo, attraverso accordi con tutti i ministeri dei paesi Ue per permettere alle persone di viaggiare ed essere accolte in sicurezza”.

Far sparire i testimoni scomodi

La realtà sembra essere ben lontana dallo scenario virtuoso disegnato dagli evangelici. Al contrario – denunciano le ong – il tacito accordo tra i paesi europei sarebbe quello di “far sparire dal mare i testimoni scomodi in modo che il Mediterraneo appaia come una realtà ormai tranquilla, silenziando le necessità di chi sta scappando,ha detto Gatti di Open Arms, e ha annunciato il ricorso contro il governo spagnolo che ha vietato alla nave della ong di lasciare il porto di Barcellona. “Non è un provvedimento contro di noi” ha spiegato Gatti “ma è un’azione politica per denunciare il comportamento  di Italia e Malta che hanno chiuso i loro porti, venendo meno all’obbligo di soccorso, previsto dai trattati europei. Ora aspettiamo una risposta al nostro ricorso, nella speranza di tornare in mare, entro un mese al massimo”.

Il capo missione di Open Arms, Riccardo Gatti

La Spagna nel 2018 è stato il paese che ha accolto più migranti, circa 60 mila, ma l’ alibi che giustifica la decisione delle autorità spagnole è che se Open Arms dovesse andare in soccorso di altre imbarcazioni nel Mediterraneo centrale, non potrebbe sbarcare al più presto le persone nel porto “più vicino e sicuro” come previsto dalle norme internazionali,  ma dovrebbe percorrere molte miglia per mettere in salvo le vite umane. “Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch, rievoca in conferenza stampa i giorni vissuti a bordo della nave con i 49 naufraghi in balia del mare mosso di fronte alle coste maltesi.

Chi era il ragazzo che voleva raggiungere a nuoto la costa maltese

“Perchè non ci fanno sbarcare – mi diceva Fanny una delle ragazze che era a bordo – noi non siamo pesci” Linardi racconta, del ragazzo che si era buttato in mare pensando di raggiungere la costa a nuoto. “Si tratta di un libico che per  4 anni è uscito e entrato dalla prigione. Ha subito torture indicibili, aveva cicatrici sulle gambe e i piedi piagati dalle frustrate. Ha visto uccidere con un colpo di fucile il fratello di 12 anni. A un certo punto non ha più sostenuto la pressione della situazione che si era venuta a creare a bordo e si è buttato. Quando è stato recuperato si è sdraiato in coperta e non ha più parlato con nessuno”.

Da sinistra Lucia Gennari di Mediterranea, Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch Italia, Luigi Manconi, presidente di A Buon Diritto

“Sono queste le persone” è la domanda provocatoria di Manconi “che Salvini vorrebbe “restituire” alla Libia?”  Un paese che è stato definito “non sicuro” da un rapporto recente dell’Onu ma al quale “con una deliberazione del 21 dicembre scorso il ministero dell’Interno” ha riferito il deputato radicale Riccardo Magi, presente alla conferenza stampa, “ha deliberato la fornitura di ulteriori venti imbarcazioni alle autorità libiche”.

“Se questa situazione di chiusura dei porti si prolungherà” domanda uno dei giornalisti presenti alla conferenza stampa “cosa succederà quest’estate quando con la bella stagione i flussi migratori aumenteranno?” “Succederà”  E l’amara risposta di Gatti è “succederà che se non ci saranno le navi delle Ong in mare, aumenterà il numero dei morti, ma non si verrà a sapere.  Occhio non vede cuore non duole”.

Francesca Cusumano
(15 gennaio 2019)

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