Da manicomio a hotspot: Leros, l’accoglienza che non c’è

Incontro di Piuculture alla Biblioteca Europea: approfondimento su accoglienza migranti e Europa e presentazione di La prima verità di S. Vinci

Il tema delle migrazioni e dell’accoglienza è complesso e richiede conoscenze e riflessione. Per questo Piuculture dedica spazi appositi per approfondirlo. Uno di questi è stato l’incontro Leros, l’isola degli invisibili. Da ospedale psichiatrico e campo di prigionia a hotspot, organizzato nella Biblioteca europea il 14 febbraio. In questa occasione è stato presentato il libro di Simona Vinci La prima verità, ambientato nell’isola.

Incontro Piuculture - da sn: C. Peri, A. D'Elia, A. Ghisani, S. Vinci
Incontro Piuculture – da sn: C. Peri, A. D’Elia, A. Ghisani, S. Vinci

L’isola greca di Leros – ha detto Amalia Ghisani, presidente di Piuculture, aprendo l’incontro – sembra avere lo stigma dell’esclusione: già base militare italiana durante l’occupazione del Dodecaneso, fu la sede di un manicomio, in cui venivano “deportati” gli internati considerati irrecuperabili, poi di un carcere per detenuti politici durante la dittatura dei colonnelli, infine di un hotspot per migranti. Cosa accade nella psiche delle persone che vivono isolate dal mondo e perdono riferimenti, affetti e legami con la realtà? Su cosa puntare per contrastare una politica sull’immigrazione guidata dal criterio dell’esclusione e del respingimento? Questo il filo che ha attraversato gli interventi dei partecipanti.

Leros e la logica della segregazione 

Le isole – scrive Simona Vinci nel suo libro La prima verità, Einaudi, – “sono forse i luoghi della terra che più somigliano agli esseri umani: … la loro vita è soggetta a mutamenti che arrivano dall’esterno, imprevedibili e impossibili da evitare”. Ed è questo che accomuna le storie delle persone passate e presenti nell’isola di Leros: malati psichiatrici, detenuti, migranti, ognuno con la sua storia, ognuno con la sua verità. Qui, in quest’isola di dolore, continua ad accadere qualcosa di già vissuto, che al di là delle vicende e dei tempi diversi rimanda a una verità che riguarda tutti: la poesia come possibilità di salvezza (il titolo del libro riecheggia il primo verso di una poesia di Ghiannis Ritsos, che fu detenuto politico a Leros).

Per Antonello D’Elia, Psichiatria Democratica, l’archivio che la protagonista del romanzo trova nella sua ricerca di verità è una metafora del lavoro di deistituzionalizzazione avviato dalla riforma di Basaglia per restituire ai corpi le loro storie e farli ridiventare persone. Ma questo lavoro si ripropone anche oggi con i progetti che cercano di contrastare la scelta di rinchiudere migliaia di persone negli hotspot. Oggi a Leros, dopo i trasferimenti nella terraferma, continuano a vivere 1.100 migranti; la logica è sempre la stessa dei vecchi manicomi: deportare, concentrare, segregare. Invece se si vuole davvero gestire l’accoglienza la prospettiva è quella della mediazione, tra persone e tra gruppi, cioè creare situazioni umane in cui favorire l’incontro.

I grandi hotspot: una politica disumana e fallimentare

Chiara Peri, Servizio per Rifugiati Centro Astalli, ha auspicato che gli orientamenti democratici dei cittadini possano condizionare le scelte politiche dei governi europei e cambiarle. Perché questo si verifichi è necessario far conoscere gli effetti reali di queste politiche e prospettare alternative. Respingere e tenere lontani dai propri confini i migranti è stata la linea guida dell’attuale strategia europea, attraverso gli accordi UE-Turchia del 2016 e Italia-Libia del 2017. Ma questa politica, oltre a produrre effetti disumani come documenta un report del JRS, è fallimentare: di 160.000 migranti solo 34.000 in due anni sono stati respinti o distribuiti, e altri continuano ad arrivare. Inoltre, col blocco dei soccorsi i morti in mare e via terra aumentano: 1 persona morta ogni 51 arrivati nel 2018, contro 1 ogni 71 nel 2015.
L’alternativa alla politica dei grandi hotspot, come quelli greci o dei lager libici, è quella dell’integrazione e creazione di occasioni di incontro tra persone immigrate e popolazione locale. Bisogna far capire che una politica di apertura non è solo funzionale a esigenze di lavoro e di contrasto al decremento demografico, ma è anche una visione lungimirante del futuro di noi europei, che nell’incontro possiamo aprirci al loro mondo e arricchire il nostro che sta invecchiando.

Foto di L. Barthélémy dalla mostra Leros, l'isola degli invisibili
Foto di L. Barthélémy dalla mostra Leros, l’isola degli invisibili

Nell’incontro è stata anche inaugurata la mostra di fotografie su Leros di Lysa Barthélémy, giovane francese, volontaria nel centro di accoglienza.

 

Luciana Scarcia
(18 febbraio 2019)

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