“L’Africa è davvero il nostro futuro?” Con questo interrogativo si è aperta il 30 novembre a Roma la prima conferenza ufficiale della FeDAI, Federazione delle Diaspore Africane in Italia, una rete di associazioni e comunità africane attive e operanti nel nostro paese. La Federazione, costituitasi nel 2018 “sulla base di un’idea vecchia almeno 25 anni”, precisa il presidente Godwin Chukwu, ad oggi raccoglie 18 associazioni e comunità africane presenti sul territorio nazionale. L’obiettivo è quello di riuscire a rappresentare l’intero panorama dell’associazionismo africano in Italia e di assurgere al ruolo di interlocutore ufficiale delle istituzioni nazionali su questioni di estrema rilevanza per il continente africano, tra cui la gestione del fenomeno migratorio e l’erogazione dei fondi di cooperazione allo sviluppo.
Un continente in movimento
La due questioni, quella dello sviluppo e quella dell’immigrazione, sono intimamente connesse: l’Africa importa capitali e investitori ed “esporta” popolazioni che non possono beneficiarne. La FeDAI rivendica il proprio ruolo nell’ assistenza e nell’inserimento sociale di immigrati e profughi in Italia: “un lavoro che nessuno riconosce”, sostiene l’attivista e mediatrice Marian Mohamed Hassan, ma che è sempre più necessario in un contesto caratterizzato da una gestione emergenziale del fenomeno migratorio e dall’assenza di serie politiche di integrazione. “L’Italia deve darci gli strumenti per poter essere di aiuto”, conclude Marian, “noi vogliamo essere dei ponti verso i nostri paesi, abbiamo competenze e abilità adeguate. L’Italia può fare molto per aiutarci a costruire un futuro per l’Africa, ma per riuscirci deve dialogare con noi”.
La seconda corsa all’Africa
Ma non si può parlare di futuro dell’Africa senza prima aver analizzato la complessa questione del suo passato coloniale. Il colonialismo è infatti un fenomeno tutt’altro che concluso se, a soli 60 anni dall’indipendenza, l’intero continente assiste inerte all’avvio di una vera e propria “seconda corsa all’Africa”, condotta da vecchi e nuovi attori. Tra questi un ruolo di primo piano ricopre senza dubbio la Cina, presente già da tempo in molti paesi africani tra cui l’Angola, seguita a ruota da Russia e Giappone. Le ambizioni coloniali delle nuove potenze si concretizzano in una strategia di investimenti e vincoli commerciali non meno aggressiva e insidiosa del vecchio colonialismo, “perché insieme al denaro i nuovi investitori introducono modelli sociali e produttivi a proprio esclusivo vantaggio”, spiega il giornalista Michele Vollaro. “Ma se questo accade la colpa è anche nostra”, aggiunge Chukwu, “siamo rassegnati, abbiamo paura e ci facciamo comandare a casa nostra”.Il continente africano, infatti, sebbene venga rappresentato mediaticamente come un bacino uniforme e indistinto di povertà, è in realtà ricchissimo di materie prime e di forza lavoro ed è destinato a crescere vertiginosamente nei prossimi decenni.
L’Italia in Africa: aiuti allo sviluppo e rimesse
Anche i numerosi progetti di cooperazione allo sviluppo promossi in Africa dalle potenze occidentali, tra cui l’Italia, risultano a lungo andare scarsamente efficaci, perché concepiti in un’ottica totalmente unilaterale e utilitaristica. “Che cos’è questo sviluppo? I paesi africani che ottengono i soldi veramente poi ne escono sviluppati?” si interroga Teodoro Ndjock, presidente dell’associazione culturale Kel’lam. Se lo scopo è quello di ottenere un effettivo benessere dei paesi africani, aggiunge lo storico Alessandro Triulzi, “è importante interrompere la consuetudine criminale per cui l’erogazione di aiuti allo sviluppo viene vincolata unicamente al freno dell’immigrazione, in un’ottica di esternalizzazione delle frontiere”.In Italia, inoltre, il volume delle rimesse delle diaspore supera di molto quello degli aiuti allo sviluppo effettivamente erogati, i cui fondi risultano spesso di difficile reperibilità. Le rimesse ricoprono un ruolo fondamentale per le economie dei diversi paesi, ma vengono nella maggior parte dei casi impiegate esclusivamente per finanziare attività imprenditoriali private o dare supporto ad amici e famiglie.Rendere gli immigrati delle diaspore effettivi attori per lo sviluppo dell’Africa è dunque una sfida che il nostro paese deve essere pronto ad affrontare, operando sul doppio terreno della politica interna e della politica estera. Siamo pronti?
Silvia Proietti
(4 dicembre 2019)
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