Il Nowruz in Iran al tempo del coronavirus

Martedì, giorno di Chaharshanbe Surì, la festa della vigilia del Nowruz, gli iraniani chiusi in casa  si sono dovuti arrangiare dai balconi o su whatsapp per farsi gli auguri. Niente tradizionali falò da oltrepassare nella notte per strada con agilità e allegria per celebrare la vittoria della luce sulle tenebre. Nessuna riunione negli androni dei palazzi tra coinquilini, aperte anche ad amici esterni, per mangiare insieme la Ash Reshte, tipica zuppa del capodanno persiano, bevendo un tè alle rose di Kashan. E’ il tempo del coronavirus, si deve stare lontani, non ci si può baciare, come da tradizione in Iran quando ci si incontra tra amici, tre volte invece di due sulle guance, non ci si può abbracciare e stare insieme. Tutti i contatti fisici devono essere ridotti ai familiari stretti.Ma ecco che la tecnologia digitale, la vera “svolta”, la soluzione ai metri di distanza che hanno cominciato a tenere separate le persone in buona parte del mondo, viene in soccorso per avvicinarle virtualmente. Su whatsapp, diventato un appuntamento fisso per gli amici che si “videochiamano” a gruppi di quattro, arriva un cartoncino musicale con un link che quando si apre mostra una coppia in costume tradizionale che salta virtualmente  sui fuochi.Su twitter Mohamad posta una foto con un fuoco virtuale che si sviluppa dal suo accendino e augura buon chaharshanbesuri. Neda accende in casa a Tehran una candela simbolica e si alterna nei salti con il figlio Alex, proprio come si fa di solito con il fuoco in strada, per non rinunciare alla formula tradizionale “Zardî-ye man az to, sorkhî-ye to az man” , “il mio giallo (la mia debolezza), a te, il tuo rosso (la tua forza), a me”, in segno di augurio. Anche qui in Italia gli iraniani fanno festa a distanza. Un gruppo di amici che provengono dalla città di Rasht, la più grande sul Mar Caspio, si affacciano da un balcone di Roma per cantare e farsi forza l’un l’altro, proprio come succede da un po’ di tempo agli italiani alle 18.00 puntuali in ogni pomeriggio di quarantena. Chi organizza un gruppo su facebook per mostrarsi reciprocamente le foto dei propri piccoli fuochi e dei salti di buona sorte.“Ma del Nowruz che cade domani 20 marzo, quest’anno non c’è traccia in giro per le strade” – dice Roya che abita nel settore Ovest della capitale. I negozi sono chiusi e non ci sono le vetrine pieni di oggetti da regalare, come succede da noi a Natale. Sparito dalla scena il simbolico Haft-Sin, il tavolo dove sono disposti i sette oggetti che rappresentano salute, ricchezza, rinascita, pazienza e tolleranza, al quale gli iraniani non rinunceranno almeno nelle loro case. Nelle metropolitane pochissime le bancarelle che vendono i pesci rossi nelle bocce di vetro che stanno a significare la vita che scorre, e i germogli (Sabzeh) che simboleggiano la rinascita della natura.

Sabzeh, Samanu, Senjed,Seeb, Somaq, Serkeh, Sir, i sette oggetti che si dispongono intorno al libro di Hafez
Il governo ha raccomandato agli iraniani di evitare gli spostamenti “se non per necessità”. Dunque sono stati annullati i viaggi che tradizionalmente svuotano la capitale nel periodo del Nowruz quando ognuno raggiunge nel paese d’origine la propria famiglia per trascorrere insieme il lungo periodo di festività. A Qom dove è scoppiata l’infezione e a Tehran dove si è diffusa molto rapidamente, non è ancora stata disposta la quarantena obbligatoria. Gli uffici pubblici continuano a essere aperti, molta gente gira ancora per le strade.
Una strada di Tehran ieri, ingorgata dalle macchine
Sono stati però sospesi in tutto l’Iran gli incontri pubblici di ogni tipo, dalle moschee per la preghiera del venerdì, agli spettacoli teatrali e cinematografici, quelli sportivi e ai bazaar. Hanno chiuso le scuole e le università. Controlli della polizia sono stati istituiti sulle strade che portano fuori da Tehran per misurare la temperatura corporea a chi è in macchina e individuare eventuali portatori del “cosiddetto virus” come all’inizio era stato apostrofato il Covid 19 dalla guida suprema Ali Khamenei, con un’evidente quanto grave sottovalutazione.

Le “voci” di chi resta a casa

Nima, un giovane ingegnere che gestisce un’agenzia di viaggi insieme al fratello, di solito in questo periodo raggiungeva con la famiglia la casa della nonna nei dintorni di Isfahan. “Noi siamo chiusi a casa io, Alì, mia madre e mio padre non ci muoviamo per nessuna ragione”, dice. L’agenzia l’abbiamo chiusa per ora e purtroppo non pensiamo ad altro che al coronavirus che ci preoccupa molto perché sta aumentando vertiginosamente il numero dei contagiati”. Anche Aida, studentessa all’Accademia di Belle Arti di Roma conferma: “quest’anno con i miei amici non facciamo nulla per il Nowruz, non ce la sentiamo”. Ma Aida ci tiene a congedarsi al telefono con un doppio augurio: “andrà tutto bene. Forza Italia, forza Iran”.

Francesca Cusumano(18 marzo 2020)

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