Le misure previste dalla “mini sanatoria” pubblicata nell’articolo 103 del decreto Rilancio, riguarderanno una platea stimata in circa 200 mila persone, soprattutto colf e badanti, impiegate presso le famiglie italiane senza un regolare contratto, oltre che lavoratori dell’agricoltura. A protestare, fin dal giorno seguente alla pubblicazuione del decreto, è stato proprio quel mondo dell’agricoltura al quale il provvedimento sembrava dovesse rivolgersi per risolvere l’emergenza della raccolta stagionale di frutta e verdura nei campi. Il leader del sindacato dei braccianti Usb, AbouBackar Soumahoro, ha subito indetto per la giornata di giovedì 21 maggio lo sciopero dei lavoratori agricoli perché la misura, troppo restrittiva – a suo giudizio – “riguarda solo i migranti che hanno il permesso di soggiorno scaduto nell’ottobre del 2019, escludendo di fatto tutte quelle vittime dei decreti sicurezza tornate irregolari per la cancellazione della protezione umanitaria. In più il permesso per ricerca lavoro – ha protestato in un video Soumahoro – prende in considerazione i settori della pesca e dell’ agricoltura, le colf e le badanti. Tutti gli altri sono condannati a rimanere dei fantasmi”.Anche Coldiretti, Confagricoltura e Cia hanno confermato la loro delusione per un provvedimento che coinvolgerà solo 2.000 – secondo stime interne – tra i regolarizzati che hanno già lavorato nei campi invece dei 200 mila necessari per fare fronte alle necessità dell’agricoltura “sospesa” per il blocco delle frontiere che non ha consentito il ritorno degli stagionali. “I tempi lunghi burocratici del provvedimento, inoltre – sostengono le confederazioni – non permetteranno di avere questa forza lavoro prima di settembre. Troppo tardi per i raccolti”.A far pensare che quella combattuta dal ministro Bellanova sia stata una battaglia nella giusta direzione, ma con risultati molto inferiori alle aspettative, è anche lo studio della Fondazione Moressa sulle entrate complessive del gettito fiscale per lo Stato, nel caso il provvedimento avesse coinvolto la fetta più ampia della platea degli invisibili presenti sul territorio italiano, stimata prudenzialmente in 600 mila persone.“I lavoratori regolari – dice Enrico Di Pasquale, ricercatore della Fondazione che ha realizzato lo studio – versano allo Stato i contributi assistenziali e previdenziali a cui vanno aggiunte altre imposte, ovvero l’Irpef e le addizionali locali. Gli stranieri trovano collocazione nelle professioni a bassa retribuzione e di conseguenza a bassa tassazione. Per questo, mantenendo sempre un approccio prudenziale, abbiamo deciso di analizzare solo tre classi di reddito (0-10 mila; 10 mila-15 mila; 15 mila-25 mila) e abbiamo ripartito i possibili beneficiari della regolarizzazione in base alla distribuzione dei contribuenti nati all’estero in queste tre classi. Per ogni classe si è individuato il reddito medio, in relazione al quale sono state calcolate l’IRPEF e le relative addizionali. Il valore medio è stato moltiplicato per la numerosità di lavoratori regolarizzati di ogni classe, ottenendo il gettito IRPEF e Addizionali IRPEF di ognuna”.Dai calcoli finali dei ricercatori della Fondazione emerge come il “valore” pro-capite per le casse dello Stato per ogni straniero regolarizzato può variare da 2.800 a 5.250 euro annui, considerando le diverse retribuzioni di ciascun settore. Moltiplicati per una platea di 500 mila persone questi valori singoli danno un gettito fiscale complessivo che va da un minimo di 1,4 miliardi di euro a un massimo di 2,6 miliardi. Molto più ridotte saranno, invece, le entrate erariali a fronte del nuovo provvedimento che secondo le ultime stime dovrebbe interessare circa 200 mila lavoratori soprattutto colf e badanti e una piccola parte di braccianti agricoli “ le fasce più basse – sottolinea Di Pasquale – della contribuzione”.Piuculture ha chiesto al professor Stefano Allievi, autore di numerosi saggi sul fenomeno dell’immigrazione, in libreria con il suo ultimo “La spirale del sottosviluppo“, una valutazione in merito alle proteste del mondo agricolo e sull’operato del governo, alla vigilia dell’esame parlamentare del provvedimento che si preannuncia infuocato, anche per il ruolo che non rinuncerà a esercitare l’opposizione di Lega e Fratelli d’Italia.
Qualunque passo verso la regolarizzazione è meglio di niente
“Penso che sia molto facile criticare un provvedimento dicendo “si poteva fare meglio”. Qualunque cosa fatta in direzione della regolarizzazione è meglio di niente – risponde Allievi – il compromesso che è stato raggiunto tra le forze politiche non risolverà il fenomeno dell’immigrazione, a prescindere dai bisogni dell’agricoltura, ma non era facile arrivare a un risultato più incisivo con uno dei partiti componenti del governo che aveva firmato i Decreti Sicurezza con Salvini e che aveva definito le Ong i taxi del mare”. Certo il rischio – aggiunge il professore – è di aver ingaggiato una battaglia politica impegnativa per ottenere soltanto una“sanatoria” a tempo che poi tra sei mesi ci farà ritrovare al punto di partenza”. Lo studio della Fondazione Moressa dimostra anche la convenienza economica che avrebbe avuto una regolarizzazione più ampia per lo stato italiano in termini di gettito fiscale?“La convenienza è una sana categoria umana: non solo quella economica dimostrata dai numeri, ma anche quella sociale e sanitaria. Converrebbe sapere chi sono queste persone, dove vivono, se pagano un affitto in nero, se sono esposti al contagio da coronavirus. Ma gli stranieri dei ghetti non saranno regolarizzati perché non esistono controlli da parte dello Stato in merito al lavoro nero. Servirebbe fare pressione sulle aziende perché rispettassero i contratti e pagassero i contributi, servirebbe inviare gli ispettori di polizia. Questo finora non è mai stato fatto”.
La regolarizzazione è una risposta emergenziale necessaria ma non sufficiente
Finchè nel nostro paese continueremo a considerare l’immigrazione un’emergenza invece che un settore da gestire istituzionalmente con una pianificazione attraverso un ministero dedicato, non cambierà granchè. Non è che della sanità ci occupiamo solo quando c’è l’emergenza da coronavirus, altrettanto bisognerebbe fare per un fenomeno strutturale qual è quello dell’immigrazione: affrontarlo con una pianificazione di lungo termine e questo non è ancora mai stato fatto.Quale sarebbe stata la sua ricetta come responsabile di un nuovo ministero dedicato all’Immigrazione? Regolarizzare tutti quelli che non avevano precedenti penali e che si trovavano già in Italia con la possibilità di trovare un lavoro. Però poi bisognerebbe anche avere il coraggio di bloccare le frontiere agli ingressi irregolari. Non basta occuparsi di quello che succede nel Mediterraneo, impegnandosi nel salvataggio delle vite, occorre fare accordi con i paesi di provenienza e di transito degli immigrati, aprendo canali legali per chi viene a lavorare nel nostro paese.
Francesca Cusumano(21 maggio 2020)
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