La fame di libertà, le giornate sempre uguali davanti alla tv o alla playstation, le preghiere del Ramadan in solitudine, con la Grande Moschea chiusa, ma anche la scoperta della scuola a distanza, il miglioramento nella scrittura dell’italiano e la voglia di riprendere la propria vita da dove era rimasta “in sospeso”. Nei loro video, veri e propri “diari della quarantena”, filmati con la supervisione del videomaker, Lucio Perotta, i ragazzi del corso di comunicazione sociale audio, video e fotografia “Niente Paura”, realizzato dalla redazione di Piuculture grazie al finanziamento dell’8×1000 della Chiesa Valdese, ci parlano in prima persona delle emozioni vissute durante il periodo del lockdown. I video sono pubblicati sulla pagina Youtube di Piuculture.
Maurizio, 18 anni appena compiuti, di origine bosniaca ma nato a Roma, dice di essersi sentito come in una “cella”, chiuso nella stanza dove vive in una casa famiglia: “dormivo tutto il giorno – racconta – e poi magari mi svegliavo a mezzanotte e con il mio compagno di stanza ci mettevamo a cucinare per mangiare qualcosa. Avevamo invertito le ore del giorno con quelle della notte”. Ora ha l’appuntamento con l’esame per prendere la patente “che mi serve per il lavoro” e non vede l’ora di poter riabbracciare lo zio. La sua parola chiave è cambiamento.Mohamed che viene dal Mali e ha 19 anni e per il suo talento nel disegnare fumetti potrebbe essere lo “Zerocalcare nero”, ha scandito il tempo infinito delle giornate della quarantena, da passare a distanza dagli altri 50 ospiti del Siproimi dove vive, disegnando, la sua passione. Ma anche pregando da solo nella sua stanza, durante il Ramadan e ballando, quando il mese sacro dei musulmani è terminato. “Durante la quarantena – dice – ho imparato che difendere la salute è molto importante. Prevenire è meglio che curare è la mia parola chiave”.
A sua madre e a tutte le madri Mohamed ha dedicato una serie di schizzi, in occasione della festa della mamma l’8 maggio. “Non so dove sei mamma – ha scritto sotto a uno dei disegni – ma tu sei la mia forza, il mio coraggio, quello che mi rende una brava persona in questo mondo”.Anita, irachena, 19 anni, il sogno di diventare una fotoreporter, è l’unica ragazza del laboratorio, iniziato a novembre nella sede della redazione di Piuculture e proseguite fino a sabato scorso in collegamento “a distanza” sulla piattaforma Zoom.
Nel suo diario Anita parla delle strade vuote di Roma e delle videolezioni che ha trovato molto “differenti” dalla scuola abituale. Il rumore di fondo che associa alla quarantena è quello del mixer in cucina dove “mia mamma ha passato tutto il tempo”. Scopre di essersi avvicinata molto di più alla sua famiglia “perché ho avuto la paura di perdere qualcuno di loro a causa della pandemia. La parola più importante per me durante la quarantena è proprio famiglia“. Quella dove vive Anita è una piccola struttura di accoglienza realizzata in un appartamento dove vivono in 14 persone, 3 nuclei familiari, cercando di mantenersi a distanza di sicurezza. Ma nel video la sua immagine è allegra, i capelli ormai lunghissimi fino alla vita, la vediamo mentre porta a spasso il cane barboncino o fa un giro in bicicletta.Reda e il bisogno della libertà nei diari della quarantena: a Reda che è uno dei più giovani del gruppo, 16 anni, come Ali, entrambi marocchini di seconda generazione, è mancata la libertà. “La gente non si rende conto di che cosa voglia dire essere liberi di muoversi e andare dove uno desidera”. Lui, prima, andava tutti i giorni a Villa Torlonia che è il suo posto preferito a Roma, ma in cima alla priorità ora c’è il desiderio di andare a trovare la nonna. “Mi è mancata troppo la voglio riabbracciare”.
Ali, che durante la quarantena ha imparato a fare la pizza, vuole riprendere ad allenarsi nella palestra di muay thai, la boxe thailandese, che frequentava prima che il Covid 19 costringesse “il mondo” a rinchiudersi. “Non avrei mai pensato – dice – che la scuola sarebbero state le videolezioni, con il ticchettio della tastiera presente tante ore al giorno nella mia vita”. E poi c’è Yacouba 20 anni, che di cognome fa Coulibaly, come il calciatore senegalese. Lui viene dal Mali ed è arrivato a Bari con un gommone. È talmente alto che lo hanno messo all’estremità dell’imbarcazione perché non ingombrasse troppo e racconta di aver avuto tanta paura di morire annegato, perché durante tutto il tragitto aveva già il sedere immerso nell’acqua.
Yacouba nel video ci fa sentire una delle preghiere che recita a voce alta cinque volte al giorno, soprattutto in tempi di Ramadan. Dice che vuole diventare “un buon padre di famiglia e che il suo sogno è quello di trasferirsi in Francia per lavorare”. Ma per ora resta in attesa di sapere se il tribunale accoglierà il suo ricorso per il riconoscimento della protezione internazionale.Anche Daby, 18 anni, e un talento da rapper, è maliano e vive nello stesso centro di Yacouba insieme a Mouctar che ne ha 20. Sono grandi amici e il video di Mouctar finisce “in bellezza” con il ritorno di entrambi in un campo di calcio, finalmente liberi di respirare all’aria aperta e di sfogare l’energia e la voglia di vivere della loro età.
I video, insieme alle foto realizzate dai ragazzi durante le uscite organizzate all’interno di “Niente Paura” e agli audio registrati in sede, raccolti ne “i diari della quarantena”, comporranno una sorta di “racconto a più voci” che starà a testimoniare il percorso intrapreso e l’obbiettivo raggiunto dal progetto. Superare la paura e la diffidenza, sia di chi arriva da solo in un paese tanto diverso dal suo per cultura e tradizioni, sia di chi vive l’immigrazione come una minaccia alla serenità del proprio vivere quotidiano. Come? Attraverso la conoscenza e il rispetto delle diverse culture di appartenenza.
Francesca Cusumano(17 giugno 2020)
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