Il 2 luglio 1990 il trentenne albanese Ylli Bodinaku sale a bordo di un camion con la sua famiglia e sfonda il muro dell’ambasciata tedesca a Tirana. In questo modo eclatante riesce finalmente a coronare il suo sogno: fuggire dalla dittatura e raggiungere la Germania. “Un eroe dei nostri tempi” lo definì l’allora ministro degli Esteri tedesco Genscher.
Elvis Malaj è un giovane scrittore albanese, venuto in Italia con la famiglia all’età di 15 anni, oggi trentenne come Bodinaku. Venuto a conoscenza del gesto disperato e romantico di quest’ultimo, ne resta colpito tanto da trarne spunto per il suo primo romanzo: Il mare è rotondo. Un romanzo balcanico, che racconta i sogni di una gioventù albanese, sospesa tra i valori tradizionali sempre più sbiaditi e i desideri del nostro mondo occidentale.
L’Italia per questi giovani continua a essere un Paese di forte attrazione e più facile da raggiungere, infatti la maggior parte dei minori stranieri non accompagnati proviene dall’Albania: quasi il 28% del totale, secondo il report di giugno 2020 del Ministero del Lavoro; quella albanese è oggi la terza comunità straniera presente nel nostro Paese.
Realtà e finzione nel romanzo di Malaj
Ujkan, il protagonista del romanzo ambientato in tempi non precisati, forse a cavallo tra il primo e il secondo decennio del nostro secolo, persegue con la stessa ostinazione di Bodinaku il sogno di raggiungere l’Europa, in questo caso l’Italia, e lo realizzerà nello stesso modo surreale, andando a sfondare con un camion il muro dell’ambasciata italiana, insieme alla sua ragazza, Irena.
Il romanzo comincia in mare, su un gommone guidato da uno scafista, che è arrivato a pochi metri dalla costa italiana, dal quale però Ujkan all’ultimo momento si rifiuta di scendere e ritorna indietro. Ma il suo sogno di andare in Italia non viene mai messo in discussione, anche se non è sostenuto da un progetto concreto e definito.
Nei dubbi e nella superficialità di Ujkan dobbiamo leggere una critica al desiderio di emigrare?
“No, nessuna critica – dice Elvis Malaj – perché anch’io 15 anni fa con la mia famiglia ho lasciato il mio Paese per l’Italia. È piuttosto la rappresentazione della realtà dei giovani albanesi animati dallo stesso sogno ma anche pieni di dubbi.
Ujkan è un giovane che non va a fondo delle cose, ha una visione semplice della vita, e la sua l’ha costruita su un sogno: andare in Italia. Non si preoccupa di capire che cosa andrebbe a fare lì, perché ha elevato l’Italia a una dimensione metafisica e l’ha caricata così tanto che gli vengono dei dubbi, senza peraltro riuscire a spiegarseli. Ma è proprio la forza del sogno che anima la sua vita e alla fine, senza porsi troppi problemi, lui se la cava: non raggiunge l’Italia che aveva in testa ma in qualche modo la raggiunge. In fondo lui parte senza arrivare e arriva senza partire, comunque arriva”.
Nelle pagine del romanzo seguiamo il protagonista nella sua vita quotidiana: fa ogni tipo di lavoro per raccogliere i soldi necessari al viaggio; con il suo amico Sulejman – scrittore che dubita di esserlo davvero – avvia un traffico di rottami di ferro; si innamora di Irena, una ragazza piena di contrasti e così via tra vicende surreali e tradizioni di una cultura con tratti violenti, ma saldamente ancorata a valori consolidati. Un caleidoscopio di personaggi, situazioni, vicende che dell’Albania ci restituiscono aspetti della cultura e della società.
Il protagonista è legato ai valori tradizionali, ma questi non sono tali da mettere in discussione la sua volontà di emigrare. Come convivono in Albania tradizione e modernità?
“Ujkan è un personaggio “etico”, ancorato ai valori della besë (la parola d’onore che va mantenuta a tutti i costi, ndr), alla famiglia, all’educazione ricevuta dal nonno. La sua etica è quella tradizionale, che si scontra con la modernità, ma al tempo stesso lo guida, lo protegge e lo salva, perché, nella sua semplicità, lui ha certezze. Gli altri due personaggi principali sono diversi e rispecchiano di più l’Albania di oggi: Sulejman è più realista, disincantato; Irena non sa cosa vuole, cosa può renderla felice, ha una vita interiore ricca e un’anima sofferente e delicata, che si rivela nel suo diario, ma la nasconde dietro una corazza di durezza. Forse lei è il personaggio più moderno dei tre, mentre Ujkan rappresenta il passato, perché nella società albanese oggi quei valori tradizionali non sono più molto sentiti”.
C’è qualcosa, però, che sembra accomunare tutti i personaggi: lo scarto tra realtà quotidiana e desideri. È così? E in questo, lei che conosce le due realtà trova che i giovani albanesi e i nostri si somiglino?
“Penso che i giovani albanesi abbiano un po’ di più la forza di sognare, hanno la possibilità di ‘sognare l’America’, cioè un mondo con cose da raggiungere.
In un sondaggio di Gallup sui desideri di andare all’estero, l’Albania è al quarto posto, dopo Paesi come Sierra Leone o Haiti; mentre la Siria è al settimo. L’Albania non ha guerre o catastrofi, eppure i giovani sognano di andar via. Questo dimostra che l’immaginario muove gli uomini molto più del reale. E l’immaginario albanese è segnato dall’Occidente visto in Tv o raccontato negli ultimi venti, trent’anni. I giovani italiani elaborano diversamente i loro sogni”.
Nel romanzo non ci sono personaggi positivi che accettano e vivono la loro vita con serenità, tranne la moglie di Sulejman, che fa l’infermiera. Sembrano rispecchiare un mondo fermo, incastrato tra tradizione e modernità. È un’interpretazione corretta?
“Io come scrittore non do interpretazioni del mondo né soluzioni, altrimenti rischierei di alterare il materiale e a me interessa la realtà. Però credo che si possa trovare della positività e, come dicevo prima, i miei sono personaggi ‘etici’. La parte etica di Sulejman è rappresentata dalla moglie e dal suo attaccamento alla famiglia”.
Passando allo stile, la sua è una scrittura scarna, asciutta, fatta di cose. Lei scrive in italiano ma la sua lingua qual è?
“Possiedo più l’italiano che l’albanese. I primi 15 anni, quindi quelli del passato, li ho vissuti in Albania e i secondi in Italia, e solo in questa seconda parte della mia vita mi sono avvicinato alla letteratura e mi sono dedicato al lavoro con le parole. Prima non mi piaceva neanche leggere, scrivere, avevo sempre insufficienze a scuola. Invece poi ho cominciato a fare un percorso di vita diverso e la scrittura, che è fortemente intrecciata con la vita, rispecchia questo mio percorso”.
Venendo in Italia ha avuto problemi di ostilità, razzismo?
“Nei racconti, ambientati in parte in Albania in parte in Italia tratto questo tema, ma personalmente non ho mai subito manifestazioni di ostilità. Non penso che gli italiani siano razzisti ed è per questo che non ho mai avuto problemi e nemmeno la mia famiglia. Sono convinto che molto dipenda dall’atteggiamento con cui uno si pone: se ti metti sulla difensiva ti attiri ostilità”.
Luciana Scarcia
(28 luglio 2020)
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