Mezzo secolo di accoglienza: Albanesi contro gli stereotipi

Sogni e speranze hanno contraddistinto gli emigrati d’Albania in Italia. Spinti dalla ricerca di un futuro migliore, lasciata la famiglia e la terra natia giungono in un paese, l’Italia, che non sempre ha saputo accogliere adeguatamente chi fuggiva dalla repressione. Ma il dover ricominciare da capo, le difficoltà d’inserimento lavorativo, i pregiudizi e gli stereotipi non hanno scoraggiato la loro ricerca di integrazione.

Il “sogno” di Armando Xhomo

Armando Xhomo, pittore e scenografo, ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Tirana. Vincitore di prestigiosi premi artistici, fra i quali il Premio Italia organizzato da “Eco d’arte Moderna” e il premio Arturo Puliti “Proposta 2011”, espone in varie mostre nazionali e internazionali, tra cui il Museo della civiltà romana, l’Ambasciata albanese a Roma, il Ministero dell’arte e Cultura di Tirana, oltre che nella sua galleria a Firenze.Appena ho ricevuto la notizia che un mercantile partiva non ho esitato – racconta Xhomo – mi sono messo in moto verso il porto di Durazzo. Tutto si annebbiava in me e l’unico miraggio che rimaneva era quello di essere lì in tempo. Sarebbe stata un’altra vita. Quando sono arrivato – continua – ho sentito gli spari dei soldati e ho visto uno scenario dalle dimensioni bibliche. La nave salpava ed io ero ancora a terra. La situazione ormai sembrava senza soluzione. Dovevo fare una scelta, quindi ho raccolto tutte le mie forze per raggiungere l’imbarcazione, mi sono tuffato in acqua e ho nuotato per una ventina di metri. La notte del tragitto me la ricorderò per sempre. Eravamo in 20mila stipati in una nave lunga 150 metri. Sdraiati su dei sacchi pieni di zucchero, stretti l’uno all’altro. Il buio del mare era diverso da quello della terraferma, e le stelle parevano una magra consolazione”. All’arrivo al porto di Bari, “dopo essere sceso sono finito con gli altri migranti nello stadio della città. Le notti erano fredde mentre durante il giorno il sole feroce di agosto spaccava le pietre. Sopra di noi gli elicotteri ronzavano di continuo, buttando cibo ed acqua: la nostra manna dal cielo”.Secondo Xhomo “le motivazioni della partenza degli albanesi sono state le stesse di quelle degli italiani che, un secolo prima, sono migrati in America: la sfiducia verso un presente incerto, oltre alla voglia di migliorare le proprie condizioni di vita”. Ma, per Xhomo le motivazioni erano più profonde. “Ho voluto inseguire un sogno. L’Italia, però, non era quella che avevamo visto in TV durante i programmi RAI che guardavamo con l’avidità dei 20enni, anche se, nei primi tempi, ho avuto testimonianze di grande solidarietà da parte degli Italiani i quali si sono mostrati altruisti e gentili. Come tanti giovani di allora, – prosegue – avevo voglia di accedere ad una realtà che mi era stata negata da sempre. Ho voluto liberarmi dalle catene di un sistema fallito, che aveva come unico scopo quello di tenerci schiavi. Volevo visitare i musei d’arte, vivere nell’arte. Ma se non fossimo stati presi dall’onda dei cambiamenti degli anni ‘90 avremmo potuto essere più razionali, attendere ed aspettare il miglioramento nel nostro Paese, per poter così costruire lì il nostro futuro. Invece siamo stati spinti ad andare via”.Su come sia cambiata la sua vita dall’arrivo in Italia Xhomo risponde che “per comprendere appieno questa domanda bisognerebbe vivere due vite. Perché, in fondo, ogni vita cambia sempre. Durante il regime la vita era miserabile, ma adesso è molto diversa. Io e un mio coetaneo oggi avremmo le stesse possibilità economiche, e questo mi porta a riflettere. I cambiamenti nella vita, quando possibile, non vanno cercati in clandestinità, perché l’autenticità di un cambiamento consiste, in primo luogo, nel cancellare un sistema vecchio per lasciarne il posto ad uno nuovo, più libero, umano e civile”.

Esmeralda Tyli e l’Italia della convivenza

Esmeralda Tyli, assistente d’ufficio di Presidenza presso la Fondazione NILDE IOTTI, risiede da diversi anni in Italia ed è impegnata nel Forum Immigrazione del Partito Democratico.“Sono arrivata in Italia – ricorda Esmeralda Tyli – esattamente 30 anni fa, nel luglio del 1990. L’emozione fu grande quando scesi dalla nave traghetto su cui avevo viaggiato: Trieste, la prima città che mi accolse. Sono partita dall’Albania ancora sotto la morsa della più feroce dittatura europea del dopoguerra. Lasciavo la mia casa, i miei genitori, la mia terra per vivere la democrazia. Ma l’Italia non mi era sconosciuta, grazie ai miei nonni che avevano vissuto e studiato a Roma. L’Italia, per me, era la finestra sul mondo in quegli anni bui della dittatura. E da quella finestra entrava un’aria che riusciva a stracciare persino la fitta rete della feroce censura”.Dopo la laurea in Letteratura contemporanea italiana all’Università Statale di Tirana Esmeralda, per un anno insegna in due licei vicino Tirana. Poi il viaggio in Italia. “Quando arrivi da una dittatura, porti con te paure, terrore e insicurezze indescrivibili. Per anni non ti fidi di nessuno e ti nascondi dietro il silenzio. Non è facile imparare a vivere appieno la democrazia quando scappi da una dittatura. Non è facile vivere pienamente la libertà di pensiero, la libertà delle proprie idee. Lo impari giorno per giorno. Ma occorrono anni”.“La mia vita in Italia – racconta – è stata come quella della maggior parte dei cittadini di origine straniera. Per quasi 23 anni ho lavorato nelle case, in agricoltura, nei ristoranti e negli alberghi come tuttofare. Per la maggior parte del tempo ho lavorato in nero, senza orario, senza contratti e senza difese. Spesso avevo la sensazione di diventare invisibile nel tempo libero. Ma, strada facendo, ho conosciuto tante persone alle quali devo molto. In primis l’amicizia sincera. Persone che mi hanno sostenuta e non mi hanno mai lasciata sola. E mi sono resa conto che la vera Italia è quella moltitudine di persone con il cuore grande e la mente aperta. In vari dialetti, in varie parti di questo Paese, ho trovato l’affetto, la naturalezza di essere trattata alla pari e non da forestiera. Con grande semplicità”.“In questi anni – prosegue – ho avuto la sensazione che l’Italia sia come divisa in due. Da una parte l’Italia reale, laboriosa e accogliente, che non ti lascia cadere ma cerca di tenerti per mano per camminare insieme, l’Italia che salva le persone in mare, che ti asciuga il sudore del duro lavoro o le lacrime del dolore, che convive con grande naturalezza con chi arriva da lontano, senza badare alla provenienza, alla religione o al colore della pelle. L’Italia che, se sbagli lungo il cammino, ti rimprovera e nel frattempo ti tende la mano per farti rialzare e ti indica la strada giusta. L’Italia della condivisione, della collaborazione, della convivenza. E dall’altra parte l’Italia che urla contro lo straniero nei talk show, che tiene in mare chi scappa dalle guerre e dalle carestie, che trova il capro espiatorio nell’ultimo arrivato. Ma ci si rende conto che l’Italia della convivenza è molto più grande, ed io orgogliosamente sento di farne parte. Non mi sento una straniera, anche se spesso qualcuno prova ancora oggi a dirmi «Questa non è casa tua, tu sei ospite». Ma io sono a casa mia ed è stato questo il primo traguardo nella crescita della mia consapevolezza. Qui vivo, qui lavoro, qui sono arrivata giovanissima e nel frattempo sono cresciuta. Qui sono caduta e mi sono rialzata, ho imparato a essere indipendente e a lottare per i diritti. Qui ho approfondito la mia consapevolezza sociale e politica, ho preso coscienza degli insegnamenti che mi sono dati dalla mia famiglia e ho capito da che parte stare”.Secondo Tyli “è indispensabile la preparazione di una vera classe dirigente interculturale, iniziando dalla politica. Bisognerebbe – aggiunge – smettere di definire i figli dei cittadini di origine straniera come ‘seconda generazione di immigrati’. Non sono immigrati. Sono figli di questa terra, dove nascono, crescono e diventano grandi come tutti i loro coetanei. Molti di loro sono ricercatori, ingegneri, architetti, sociologi, psicologi e dottori. Abbiamo applaudito i medici e gli infermieri che da vari Paesi sono venuti a sostenere la battaglia dell’Italia contro il Coronavirus, solo dall’Albania ne sono arrivati una novantina. Questo è commuovente e rende orgogliosi. Ma – conclude – non dimentichiamo che nelle corsie ci sono già medici, infermieri e operatori sanitari di origine straniera. Sono in prima linea dal primo momento. Con i loro colleghi italiani condividono i loro sforzi per sconfiggere la ‘bestia invisibile’. L’Italia reale è anche dietro quelle tute e mascherine nelle corsie degli ospedali o sui mezzi di soccorso. Quell’Italia splendida, laboriosa, che mi commuove ogni giorno da trent’anni e che mi ha insegnato, giorno per giorno, ad amare sempre di più questo Paese. E mi fa sentire a casa”.

L’impegno di Shqiponja Dosti

Dopo la Laurea in Economia a Tirana nel giugno del 1990, Shqiponja Dosti comincia a lavorare come economista presso un’azienda statale e, due anni più tardi, ottiene diventa dirigente. Nel frattempo si sposa a Tirana con Antonio e, per questo motivo, lascia l’incarico per raggiungerlo a Roma. Nel 1994, all’età di 25 anni, con un volo Alitalia arriva a Roma Fiumicino.La comunità albanese, negli anni ‘90, ha sofferto molto del pregiudizio” fa presente Shqiponja  “ma, nonostante tutto, ha lavorato duramente, a testa bassa, cercando di crescere ed istruire i figli. “Quei figli oggi compongono la seconda generazione albanese nata e/o cresciuta in Italia e della quale come comunità siamo molto orgogliosi. Oggi, le cose sono cambiate: sono numerosi gli italiani che studiano o lavorano in Albania. Questo aiuta la conoscenza reciproca e il miglioramento dei rapporti tra le due sponde. Noi albanesi sentiamo affetto per entrambi i Paesi. Del resto sono evidenti i legami storici, che risalgono fin dall’epoca romana. Non è casuale che ci aiutiamo reciprocamente nei momenti difficili. Gli ultimi scambi in ordine cronologico: gli aiuti dall’Italia per il terremoto del mese di novembre 2019 e gli aiuti dall’Albania in questo momento di emergenza sanitaria”.“Per quanto mi riguarda” prosegue Shqiponja “con l’arrivo in Italia, come tutti gli immigrati, ho avuto delle difficoltà d’inserimento lavorativo per il mancato riconoscimento del titolo di studio.  Quindi, ho riniziato tutto da capo, affrontando tanti sacrifici e dovendo ricominciare a fare la “gavetta”. All’inizio ho seguito dei corsi di formazione professionale, in seguito mi sono iscritta all’Università a Roma. La prima occupazione è stata come contabile grazie ad una borsa lavoro. Tra gli impegni di lavoro e la nascita di 2 figli, ci sono voluti 10 anni per avere una seconda laurea in Economia. Ho poi seguito vari corsi, master e perfezionamenti nell’ambito sociale, economico e di politica sindacale”.Oggi, Shqiponja è socia volontaria di diverse associazioni impegnate nell’ambito sociale ed ambientale. Fin dal 1995 ha cominciato l’attività di volontariato per il C.I.CA.R, Coordinamento Immigrazione Castelli Romani. Ha svolto diverse missioni di accoglienza e mediazione interculturale in Puglia durante l’emergenza in Kosovo. Quest’esperienza ha segnato il suo futuro impegno personale. Quindi, nel 2000, insieme a 10 persone provenienti da tutti i continenti ha fondato l’associazione PHILOXENIA ONLUS con l’obiettivo di tutelare i diritti umani, dedicandosi all’ambito dell’immigrazione e dell’intercultura. È stata Presidente, direttore, formatore e, soprattutto, operatore in prima linea per la tutela degli immigrati, degli ultimi e dei fragili. “Ho visto tante storie e affrontato molte questioni e ho cercato di fare il meglio per trovare delle soluzioni. Parallelamente a questo ho portato nelle istituzioni scolastiche dei laboratori interculturali, non solo per combattere il pregiudizio verso gli immigrati ma anche per far conoscere ‘altre’ culture”.In questi anni Shqiponja si è occupata anche della tutela sindacale dei migranti come lavoratori e come cittadini, promuovendone la tutela individuale e collettiva. “Credo fortemente nel nesso tra migrazioni e co-sviluppo”. Attualmente coordina il dipartimento immigrazione della CGIL di Roma e Lazio e ha partecipato a diversi eventi europei e internazionali sul ruolo attivo delle diaspore e sulla possibilità di co-sviluppo nei paesi di origine degli immigrati. È impegnata nella promozione del ruolo della diaspora albanese e per questo è spesso relatrice in conferenze e incontri e lavora in sinergia con l’Ambasciata Albanese a Roma. Ha collaborato per lo sviluppo della Piattaforma “Albania domani” dedicato alla diaspora albanese in Italia. “Ho avuto l’onore” conclude “di svolgere l’incarico di Assessore alla Pubblica Istruzione, alle Politiche Sociali e alla Sanità nel Comune di Genzano di Roma, la città che mi ha cresciuta e dove ho acquisito la cittadinanza italiana nel 1997”.

Vincenzo Lombardo(22 aprile 2020)

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