Giovani e futuro: tre soluzioni per diventare protagonisti

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L’attuale crisi coronavirus ci ha fatto riscoprire l’importanza di pensare al futuro. Ma quali prospettive si aprono per i giovani che dovrebbero esserne i protagonisti?
Non si tratta soltanto di mancanza o precarizzazione del lavoro. Neanche di abbassamento di salari e progressiva riduzione di tutele. Neppure di danni prodotti da questa nuova crisi mondiale, scoppiata nell’arco di poco più di un decennio dall’ultima.
Da anni la vera emergenza del nostro paese riguarda il drastico freno della mobilità sociale. In Italia lo status dei genitori influenza ancora in modo determinante il futuro di figli e figlie, la scuola sembra non svolgere più la funzione di ascensore sociale. Ed è su questo quadro già di per sé poco lusinghiero che la crisi coronavirus ha potuto produrre i propri effetti. Basti citare, a titolo di esempio, i dati ISTAT, INPS e Ministero del Lavoro relativi al II trimestre 2020: l’occupazione dei giovani fra i 15 e i 34 ha subito una riduzione del -8% rispetto allo stesso periodo del 2019, a fronte del -4.4% dei lavoratori fra 35- e 49 anni e a una sostanziale tenuta dell’occupazione della fascia over-50. Il tasso di occupazione giovanile si attesta oggi al 39.1%.
Proprio dall’analisi di questi dati il 23 settembre si è aperto il webinar “Protagonisti di Futuro. Voci, storie e proposte di giovani”, promosso dal ForumDD all’interno del Festival dello sviluppo sostenibile di ASviS. Il Festival, in programma dal 22 settembre all’8 ottobre, celebra il quinto anniversario dell’Agenda 2030, il programma ONU contenente i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile che ognuno dei 193 paesi firmatari si impegna a perseguire entro il 2030.

La proposta di un’eredità universale

La scarsa mobilità sociale è il dato che più caratterizza le nuove generazioni. Ciò significa che in Italia la posizione socioeconomica dei figli tende sempre più a identificarsi con quella dei genitori, fenomeno particolarmente rilevante nei ceti medio-bassi. La precarietà del lavoro e l’abbassamento progressivo dei salari in entrata rendono ancor più scarse le possibilità di ascesa sociale.
Per affrontare questa crisi generazionale risulta quindi fondamentale ridurre le disuguaglianze di opportunità di partenza dei giovani, in particolare nella fase di passaggio all’età adulta e nell’accesso al mondo del lavoro.
Da qui la proposta del ForumDD dell’istituzione della cosiddetta eredità universale: una dotazione di 15 000 ad ogni 18enne, senza limiti di reddito e senza condizionalità di utilizzo, accompagnata da un percorso abilitante per il lavoro.
Si tratterebbe di un’operazione da 9 miliardi di euro, finanziabile attraverso l’istituzione di un’imposta progressiva sulla somma dei trasferimenti di ricchezza superiore ai 500 000, ricevuti dal singolo cittadino nel corso della vita.
“Perché questa scelta?”, spiega Salvatore Morelli del ForumDD, “Semplicemente perché in Italia assistiamo da tempo ad un sostanziale blocco di passaggio di ricchezza tra le generazioni. Un fenomeno legato all’altissimo tasso di patrimonializzazione della ricchezza, a sua volta favorito da misure di progressiva riduzione delle imposte di successione da almeno 20 anni, in Italia intorno al 4% che è il dato più basso tra i paesi dell’area OCSE. Aumentare la mobilità socio-economica significa promuovere una visione di giustizia sociale”.

Povertà materiale e povertà educativa

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Uno dei più efficienti motori di mobilità sociale è, senza dubbio, la scuola. L’obiettivo 4 dell’Agenda 2030, non a caso, riguarda la riduzione delle disuguaglianze sul piano dell’istruzione.
Nel nostro paese – sottolinea Marco Rossi-Doria, maestro elementare dal 1975 ed esperto di politiche educative – l’ambiente di provenienza continua ad influenzare potentemente l’accesso a un’istruzione di qualità e a posizioni “di potere”. Povertà materiale e povertà educativa risultano ancora strettamente correlate: una casa decorosa, un’alimentazione sana, cure mediche, frequentazione di spazi verdi sono fattori indispensabili per un corretto sviluppo cognitivo del bambino nei primi 1000 giorni di vita, e quindi dello studente di domani.
Eppure il modello scolastico italiano appare un esempio virtuoso in termini di inclusività: l’Italia spende 4 miliardi l’anno per l’inclusione scolastica degli alunni disabili e in 20 anni ha accolto circa 800 000 stranieri.
“Una grande prova di equità che tuttavia non riesce a sortire i risultati sperati. Per far questo sarebbe necessario uno sforzo politico che sappia promuovere l’apertura della scuola alle realtà locali e al mondo del terzo settore, sostenuto da un investimento annuo di almeno il 5% del PIL per un periodo costante. Colmare squilibri e riduzioni di investimento decennali richiede, infatti, tempo e soprattutto volontà”.

Giovani e lavoro

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Il Rapporto Giovani 2020 dell’Istituto Toniolo registra un aumento degli squilibri intergenerazionali a danno della fascia 15-34 anni e una generale sfiducia e preoccupazione in relazione all’impatto del coronavirus sul proprio futuro. “In un’indagine condotta al livello europeo la scorsa primavera” spiega Alessandro Rosina, ordinario di Demografia e Statistica sociale alla Cattolica di Milano e coordinatore scientifico del Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo, “il 62% dei giovani italiani si dichiara preoccupato in merito all’impatto del COVID-19 sulle proprie prospettive future. È il dato più alto in Europa, ma non stupisce più di tanto: sono anni che gli indicatori della condizione giovanile in Italia risultano i più bassi, soprattutto per quanto riguarda la transizione scuola-lavoro, sostenuta per lo più dalle famiglie con un investimento pubblico praticamente nullo”.
Si tratta inoltre di dati non uniformi in una prospettiva di genere: soltanto il 49% delle donne laureate a cinque anni dal conseguimento del titolo magistrale svolge una professione ad alta specializzazione, contro il 59% maschile. Il divario salariale delle lavoratrici italiane rispetto agli uomini raggiunge inoltre il 24%.
“Se è vero che già dagli anni ‘70 il divario di genere in Italia ha cominciato a ridursi nell’ambito dell’istruzione”, precisa Chiara Saraceno, sociologa e membro onorario del Collegio Carlo Alberto di Torino “lo stesso non si può dire sul piano lavorativo. Il nostro paese registra tassi di occupazione femminile decisamente non in linea con quelli di altri paesi europei. Ogni anno circa il 25% delle donne esce dal mondo del lavoro, mentre il 70% delle richieste di dismissione del lavoro ogni anno proviene dalle lavoratrici, fenomeno legato alla carenza di servizi per la prima infanzia. Permangono inoltre forti squilibri tra Nord e Sud Italia in merito a tasso di istruzione femminile e accesso al mondo del lavoro”.
Le soluzioni per affrontare questa crisi generazionale, tuttavia, non possono calare dall’alto senza coinvolgere i diretti interessati. In altre parole, occorre mettere in atto un passaggio di potere alle nuove generazioni. “D’altronde è questo che ci sta suggerendo l’UE con il piano Next Generation EU”, chiosa Enrico Giovannini di ASviS, “che non a caso, soltanto qui in Italia, ci ostiniamo a chiamare Recovery fund”.

Silvia Proietti
(30 settembre 2020)

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