Di “Prime e nuove generazioni a confronto” si è discusso sabato 17 ottobre alle 16, nell’ambito della XVIII edizione del Festival “Ottobre Africano”. Presenta e modera l’incontro tra diversi studiosi Ingy Mubiayi, insegnante ed scrittrice.
Ad aprire il dialogo è Marwa Mahomud, portavoce del Comune Reggio Emilia, che sottolinea come serva fare una distinzione tra prime e seconde generazioni: le prime, sono i migranti economici, che sono partiti alla ricerca di una vita migliore, e non sempre padroneggiano i codici linguistici e culturali del paese di arrivo, di cui invece hanno modo di appropriarsi i loro figli. Le seconde o nuove generazioni sono coloro che nascono, crescono e vivono in Italia, costruttori di ponti, portatori sani di intercultura. Per favorire i processi di inclusione sociale serve valorizzare la cultura del paese di provenienza e allo stesso tempo, rafforzare il legame con la cultura italiana, è importante che le nuove generazioni siano consapevoli. Spesso i figli dei migranti non sono consci del ruolo che hanno sia nel dialogo interculturale che nella promozione del dialogo interreligioso. Sono una risorsa per il territorio in cui nascono e si formano e possono avere un ruolo da protagonisti nei processi politici, rispetto ai loro genitori. Di conseguenza è necessario che le nuove generazioni si vedano riflessi e rappresentati all’interno delle istituzioni.
Qual è stato il percorso tortuoso tra le prime e seconde generazioni?
Aly Baba Faye, Sociologo, esperto di immigrazione, porta la sua testimonianza “sono arrivato dal Senegal in Italia, negli anni ’80, come studente, quando l’Italia non era ancora un paese di immigrazione. L’Italia nasce come paese di immigrazione nel 1986, quando lo stato italiano prende atto del fenomeno e vara la legge, N. 943 Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori immigrati e contro le immigrazioni clandestine. Le prime generazioni, formarono associazioni, indicono manifestazioni, alcuni entrarono a far parte del sindacato, era “l’età del romanticismo italiano”, le seconde generazioni trovarono condizioni di maggiore apertura. Negli anni recenti invece in Italia si è arrivati ad avere paura dello straniero e a una conseguente fase di chiusura. Serve creare un’alleanza tra le prime e seconde generazioni per dare voce a tutti indistintamente”.
Rapporto complesso fra prime e seconde generazioni
Sul filo del percorso tortuoso dell’esperienza politica e dei rapporti tra prime e nuove generazioni interviene Simohamed Kaabour , Presidente CONNGi,
“il lavoro vero da fare, tra le prime e nuove generazioni di migranti è quello del “passaggio del testimone” va ampliato e proseguito con altri approcci, altre modalità. I giovani hanno quasi paura di identificarsi con il percorso che hanno fatto i loro genitori”. Secondo Simohamed Kaabour i giovani subiscono un’ ”effetto perverso della narrazione”, e cioè per essere accettati dai loro coetanei italiani spesso devono rinnegare le loro origini. “Non bisogna avere paura di essere identificati con i propri genitori, anzi il lavoro dei genitori va proseguito. Per esempio nel campo delle leggi, non basta parlare, occorre agire, serve un alleanza di condivisione di un progetto comune tra vecchie e nuove generazioni”.
C’è un punto di arrivo comune nel “passaggio di testimone” tra prime e seconde generazioni ?
A rispondere a questa domanda è Mehret Tewolde, Associazione Le Réseau, “Oggi manca connessione tra scuola, famiglia e figli nell’ambito dei processi di integrazione, non si è mai preso seriamente in considerazione il divario generazionale e culturale all’interno delle famiglie che spesso crea una spaccatura. Succede che i ragazzi non si identifichino con i genitori, anzi quasi se ne vergognino. Spetta agli adulti di prima generazione riuscire a capire in che modo lavorare su questa fragilità familiare, scolastica che spesso porta anche alla dispersione scolastica di molti ragazzi. Obiettivo e riuscire a parlare dei “nuovi italiani”, questo obiettivo è compito della società italiana, che ormai è di fatto multiculturale, che ad oggi per fragilità e mancanza nostra, conclude Mehret Tewolde, non ci vede parte attiva o allo stesso livello.
La scuola nella formazione identitaria influenza il divario tra prime e seconde generazioni all’interno delle famiglie?
Per Susanna Owusu Twumwah, Communication Specialist, le nuove generazioni peccano di presunzione di essere “generazione ponte” e racconta: “La scuola italiana non ci
è mai stata di supporto nel fortificare o valorizzare quello che noi eravamo” prosegue condividendo un’esperienza personale, comune a molti dei relatori presenti
“quando frequentavo le scuole, non ho trovato professori che potessero avere un dialogo con i miei genitori”. Questo rende difficile il percorso di molti giovani figli
di migranti. Il dialogo tra insegnanti e genitori è un momento fondamentale quanto complesso della vita scolastica” É evidente infatti come una comunicazione positiva tra insegnanti e genitori sia benefica per bambini e ragazzi, ed è altrettanto ovvio che una cattiva relazione sia dannosa. Inoltre prosegue evidenziando che“le seconde generazioni hanno subito un “Trauma generazionale” non ci vedevamo rappresentati nei media italiani, negli spazi politici economici, sociali ecc e ce la
siamo presi con le prime generazioni che non ci hanno preparato il terreno per essere visibili”. Tutto questo crea nelle seconde generazioni difficoltà ad emergere,
“ben vengano i confronti tra prime e nuove generazioni, per capire cosa si é fatto? cosa si sta facendo? cosa possiamo/dobbiamo fare?”
Raccontare il passaggio di testimone tra prime e seconde generazioni?
Per Aldara Guinne “è necessario che le seconde generazioni capiscano il percorso, il vissuto dei loro genitori, che cosa abbiano dovuto affrontare al loro arrivo in Italia. Non bisogna darlo per scontato. Questo è possibile attraverso il dialogo, la narrazione e la condivisione delle esperienze, solo cosi si può guardare al futuro insieme”.
Essere Italiani non dimenticando l’Africanità
A concludere l’evento la testimonianza di Eugenia, tra i partecipanti la più anziana, di origine africana da parte di madre, nata nel continente Africano per poi trasferirsi all’età di 4 anni in Italia. Pur avendo vissuto una infanzia facile, a scuola era vista come un caso isolato e strano, nell’Italia di quegli anni non c’erano stranieri, se ne vedevano pochissimi e non se ne parlava affatto. Anche lei, d’accordo con gli altri relatori, pensa che l’unica via da seguire sia parlare. Il confronto, tra prime e seconde generazioni, deve servire a costruire una “Nuova Africa” dove si possa lavorare e vivere la propria “Africanità” pur essendo lontani dai paesi di origine.
Qui il video completo della conferenza
Melany Soto
(21 Ottobre 2020)
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