Con la chiusura delle indagini della Procura di Roma che hanno riconosciuto come responsabili dell’assassinio di Giulio Regeni 4 agenti della National Security egiziana, non è più possibile celare la natura dell’Egitto di Al-Sisi, un regime dispotico che perpetra continue violazioni dei diritti umani. Eppure il caso dello studente Patrick Zaki, tuttora recluso nella prigione di Tora con pretestuose accuse di “invocazione di proteste senza permesso”, “diffusione di notizie false” e “incitamento alla violenza e al terrorismo”, sembra evidenziare la difficoltà e l’ostinato silenzio della comunità internazionale a riconoscere una verità che è sotto gli occhi di tutti.
Morti e torture nelle carceri egiziane
L’ultimo report del Committee for Justice (CFJ), associazione indipendente di difensori dei diritti umani a Ginevra focalizzata principalmente sui paesi dell’area MENA (Medio Oriente e Africa del Nord), è intitolato The Giulio Regenis of Egypt e fornisce il quadro drammatico delle continue violazioni dei diritti umani perpetrate nelle prigioni in Egitto. Dalla seconda metà del 2013, anno del golpe del generale Al-Sisi, a ottobre 2020 sono morti nei centri di detenzione egiziani 1.058 prigionieri, principalmente a causa di mancanza di cure mediche e torture. Soltanto nei mesi di ottobre-novembre 2020 si sono verificate nel paese ben 87 esecuzioni di cittadini condannati alla pena di morte.
Il sistema penitenziario egiziano è composto sia da prigioni ufficiali che da centri informali, nelle intenzioni segreti, in cui è possibile perpetrare con più facilità abusi, sparizioni e torture nei confronti dei detenuti. L’articolo 143 del Codice di procedura penale egiziano consente la custodia cautelare a tempo indeterminato per le persone accusate di reati punibili con la reclusione a vita o con la morte, influendo in modo determinante sul sovraffollamento delle carceri.
Da luglio a settembre 2020 CFJ ha documentato ben 557 casi di sparizione forzata nelle prigioni egiziane e ben 20 casi di tortura, di cui 15 nell’ultimo mese. Soltanto nella seconda metà del 2013, primo periodo analizzato nel report, si sono verificate ben 85 morti per mano delle autorità detentive, il 57% delle quali dovuta a torture e il 31% per rifiuto di assistenza medica.
COVID-19 e diritto alla salute dei detenuti
La carenza di cure mediche si riflette per molti detenuti in una condanna a morte certa: rappresenta infatti il 71,9% dei decessi totali registrati nelle prigioni egiziane dal 2013 al 2020. Una volta trasferiti in carcere la possibilità di accedere a cure mediche diventa per molti detenuti impossibile. È il caso Tony Hassan Khalifa Farghali, 44 anni, arrestato senza mandato nel 2017 e condannato a 10 anni di prigione: è morto nel 2020 a causa di una frattura non curata alla gamba sinistra, divorata dalla gangrena. Ma anche di Amr Ali Ali Abu Khalil, morto dopo aver contratto il COVID-19 nella sua cella sovraffollata.
L’emergenza epidemiologica di questi ultimi mesi ha drasticamente aggravato questa situazione, riducendo ulteriormente i diritti dei detenuti. Da marzo 2020, infatti, prendendo a pretesto la pandemia, il governo ha interrotto la possibilità di visita per i parenti dei detenuti nelle carceri egiziane.
Lo scorso 21 giugno Sanaa Serif, sorella di Ama Ahmed Serif detenuto nel complesso carcerario di Tora, è stata aggredita mentre protestava fuori dal carcere per il mancato permesso di visita al fratello. Il giorno successivo è stata prelevata forzosamente da poliziotti in borghese mentre si recava a sporgere denuncia ed è stata trasferita presso la Supreme State Security Prosecution, dove è stata sottoposta a interrogatorio. È ora in corso un processo a suo carico perché accusata di diffusione di notizie false e insulto a un dipendente pubblico sulla sua pagina Facebook.
Violazioni dei diritti umani nell’Egitto di Al-Sisi
Nonostante l’Egitto abbia ratificato le maggiori convenzioni internazionali sui diritti umani – il Patto internazionale sui diritti civili e politici, il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, la Convenzione contro la tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti – la situazione in tale ambito è decisamente preoccupante. “Sparizioni forzate, uccisioni extragiudiziali, privazione arbitraria della libertà sono la realtà quotidiana che spetta agli oppositori politici e ai difensori dei diritti umani in Egitto. A queste violazioni si aggiungono quelle in sede processuale, come mancanza di indipendenza giudiziaria, pratiche di custodia cautelare arbitraria e/o prolungata, nonché le mancate garanzie di un processo equo, come il diritto di ottenere l’accesso immediato a un avvocato a scelta della persona e di comunicare in piena riservatezza.”
L’accusa di terrorismo
È stato sufficiente un post di critica alle violazioni dei diritti umani perpetrate dal governo egiziano per far sì che Bahey El Din Hassan, direttore Center for Human Rights Studies del Cairo, venisse condannato lo scorso agosto in contumacia a 15 anni di carcere. D’altronde basta poco per venire accusati di attività terroristica da parte delle autorità egiziane. Da marzo a luglio dello scorso anno il presidente Al-Sisi ha avviato un colossale progetto di riqualificazione urbanistica, che ha portato alla demolizione di 36.000 edifici abusivi in tutto il paese, costringendo migliaia di persone a vivere per strada in piena pandemia. L’azione ha suscitato un’ondata di proteste in tutto il paese, cui il presidente ha risposto equiparando pubblicamente i manifestanti a terroristi.
Non stupiscono quindi le accuse mosse a Patrick Zaki e ai tanti difensori dei diritti umani incarcerati, uccisi o torturati negli ultimi anni in Egitto. “Le autorità egiziane dispongono di elenchi, si può dire ‘preconfezionati’, di accuse che possono essere mosse contro oppositori, difensori dei diritti umani e giornalisti: adesione e finanziamento di gruppi terroristici, spionaggio, incitamento alla violenza e al terrorismo” spiega Ahmed Mefreh, presidente di CFJ “Sostanzialmente servono da pretesto per poter procedere con la custodia cautelare in carcere, da prolungare poi ad libitum, per sbarazzarsi dei cittadini scomodi”.
Il silenzio della comunità internazionale
Quello di Giulio Regeni non è stato l’unico episodio di violenza perpetrato negli ultimi anni dalle autorità egiziane ai danni di un cittadino straniero. Nel settembre 2013 la polizia egiziana ha arrestato e poi torturato e ucciso il cittadino francese Eric Lang, di 49 anni. Il successivo 13 ottobre a morire in una prigione egiziana è stato il cittadino americano James Henry Lawn, 55 anni, sottoposto a custodia cautelare per 6 settimane per aver violato il coprifuoco. Si sarebbe poi ucciso in cella, 3 giorni dopo essere stato informato della proroga della custodia cautelare a suo carico, a causa della paura inflitta dalle torture cui aveva assistito in carcere.
Tuttavia neanche questi casi sono riusciti a smuovere la comunità internazionale dal colpevole silenzio nei confronti di quanto sta accadendo in Egitto. “Il regime egiziano in questi anni è stato abile nell’utilizzare questioni come gli investimenti europei, il tema dei migranti e dei rifugiati, il terrorismo e il conflitto libico per contrastare tutti i tentativi della comunità internazionale di migliorare le condizioni dei diritti umani nel paese. L’UE e anche la comunità internazionale non hanno fatto altro che rilasciare dichiarazioni e raccomandazioni, ma non hanno preso alcuna posizione ufficiale forte contro il regime egiziano né per il caso di Regeni né di Patrick Zaki né, in generale, per il tema di diritti umani in Egitto. L’Italia, in particolare, ha siglato con Il Cairo accordi commerciali per la vendita di armi e gas. Avrebbe potuto portare in campo il tema del rispetto dei diritti umani ma ha scelto di non farlo.”
Silvia Proietti
(13 gennaio 2021)
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