
Dal 1° gennaio al 23 dicembre 2020 sono 12 816 gli harragas, cioè i tunisini sbarcati illegalmente in Italia, il 38% del totale degli sbarchi. L’anno precedente, da gennaio a novembre 2019, erano stati soltanto 3 560, facendo registrare quindi un incremento del 391%. Eppure dopo il suicidio di Mohamed Bouazizi, che ha segnato l’avvio delle Primavere arabe, la Tunisia figura come uno dei pochi paesi che sono riusciti ad avviare un positivo processo di transizione democratica. La cosiddetta “Rivoluzione dei Gelsomini”, che il 14 gennaio 2011 ha portato alla fuga del dittatore Ben Ali, ha determinato un cambiamento politico-istituzionale che tuttavia non ha modificato positivamente il contesto socio-economico, che costringe anche oggi molti tunisini a migrare.
ULTIM’ORA: giovedì 24 dicembre un naufragio al largo della costa tunisina ha causato la morte di 19 donne, 4 delle quali incinte, e di un uomo.
Italia-Tunisia: l’intesa ignota
Lo scorso 17 agosto il ministro dell’Interno Lamorgese e il ministro degli Esteri Di Maio, accompagnati dai Commissari europei Ylva Johansson e Olivér Varhelyi, si sono recati in trasferta a Tunisi per cercare un’intesa con il governo tunisino sulla gestione dei flussi migratori. Non si tratta di un caso isolato: a partire dal 1998, passando per il 2009, il 2011 e il 2017 l’Italia ha siglato numerosi accordi bilaterali con la Tunisia sul tema immigrazione, tutti mai direttamente resi pubblici dalle autorità italiane. La Tunisia è stata inclusa, ai sensi del decreto del 4 ottobre 2019, nella lista dei paesi di origine sicuri.
In seguito alla richiesta di accesso agli atti, avanzata congiuntamente da ASGI in Italia e da ASF in Tunisia, l’Italia smentisce di aver siglato alcun accordo bilaterale per il freno all’immigrazione clandestina, e di aver stanziato gli 11 milioni di euro che la stampa e il governo tunisino affermano di aver ricevuto dal nostro paese in cambio del freno delle partenze. “I governi dei due paesi presentano delle preoccupazioni politiche opposte”, spiega Adelaide Massimi del progetto Sciabaca e Oruka di ASGI “Il governo italiano, alle prese con la gestione dell’emergenza sanitaria, non è interessato a mostrare di aver stanziato tanti soldi per un problema che l’opinione pubblica ritiene al momento secondario. Il governo tunisino, d’altro canto, deve giustificare agli occhi dell’opinione pubblica il grande incremento di rimpatri dall’Italia, sostenendo che questo avviene in cambio di sostanziosi aiuti economici. L’unico dato certo è che sussiste un problema grave di trasparenza”.
Aumentano i rimpatri, molti sono irregolari
La mancanza di trasparenza si manifesta nell’assenza di chiarezza in merito all’aumento dei rimpatri di cittadini tunisini registrato negli ultimi mesi con una rapidità ancora superiore rispetto al passato. “La ministra Lamorgese ha trionfalmente annunciato, dopo la trasferta agostana a Tunisi, che sarebbero stati incrementati i rimpatri. E in effetti da settembre è aumentata la frequenza e la capienza dei voli di rimpatrio dall’Italia verso la Tunisia: è il risultato di una delle clausole dell’accordo?” Dei 2 988 rimpatri effettuati dal nostro paese da inizio anno fino a metà novembre 2020, 1 564 hanno riguardato cittadini tunisini, e più di 1 200 sono avvenuti in seguito all’intesa del 17 agosto.
“Negli ultimi tempi stiamo assistendo a un numero sempre maggiore di rimpatri irregolari”, spiega Martina Costa di ASF, l’ONG internazionale di avvocati per la difesa dei diritti umani. “Ci aspettavamo rimpatri di persone appena sbarcate, passate per l’hotspot e poi trasferite in un CPR. Invece ci siamo trovati a gestire rimpatri anche di giovani con regolari visti per motivi di studio o di persone che da anni risiedevano in Italia. Abbiamo la sensazione che dietro lo scudo dell’emergenza si stia cercando di allontanare dall’Italia anche migranti non propriamente ‘dell’ultimo momento’, con un effetto retroattivo che ci preoccupa.”
ASF e il perché degli sbarchi
L’incremento delle partenze dalla Tunisia verso l’Italia risulta inspiegabile alla luce della condizione di relativa stabilità che il paese sembra vivere rispetto agli altri paesi della regione. Tuttavia, spiega Antonio Manganella di ASF, il caso tunisino è più complesso di quanto appaia a prima vista. “La Tunisia si trova tuttora in una fase di transizione democratica, che ha comportato importanti rivolgimenti politico-istituzionali che non si sono automaticamente tradotti in un miglioramento delle condizioni socio-economiche. Il paese presenta tassi di disoccupazione giovanile altissimi, più della metà dei disoccupati sono giovani dai 18 ai 30 anni, così come percentuali impressionanti di lavoro sommerso, più della metà del PIL nazionale, una questione che è emersa in tutta evidenza durante questi mesi di pandemia.”
La possibilità di fuga verso i paesi confinanti attraverso le rotte terrestri risulta bloccata dalla complessa situazione in cui versa la regione nordafricana. “Per spiegare il grande afflusso di tunisini in Italia, dobbiamo innanzitutto chiederci cosa succede nella regione. I paesi confinanti nell’area, si pensi alla Libia e all’Algeria, non offrono possibilità di fuga: la prima, in preda ad un conflitto endemico, ha chiuso le possibilità di accesso da circa un anno; la seconda è ormai da due anni in balia di rivolte popolari che non accennano a placarsi. Molti tunisini, prima di tentare la via del mare, emigravano nei paesi limitrofi in cerca di lavoro. Tunisia e Italia, non dobbiamo dimenticarlo, sono anch’esse geograficamente due paesi limitrofi. La Tunisia è un paese che sconta una notevole differenza tra la zona costiera, dedita al turismo e al commercio, e zone interne fortemente povere.”
Stato di diritto e uguaglianza sociale: promesse disattese
La Rivoluzione dei Gelsomini si è basata su due richieste fondamentali: l’attuazione dello stato di diritto e la promozione di una maggiore uguaglianza sociale. Due obiettivi che, con diverse gradazioni, sono stati disattesi. Se è vero che oggi i cittadini tunisini godono della libertà di parola, nel paese si registrano ancora casi di abusi e violenze da parte della polizia, la stessa del regime, e processi farsa. “Sul piano della giustizia la situazione è disastrosa: quasi la metà dei carcerati sconta pene per la detenzione di spinelli o per piccoli furti. Il paese è preda ancora di fenomeni come clientelismo e corruzione, che sono un retaggio della dittatura. Tutto questo genera nei confronti dello stato tunisino, incapace di garantire l’accesso ai servizi di base per tutti, un clima generale di sfiducia, che è la principale molla della migrazione.”
Una migrazione composita
Uno studio di ADEF e ASF, condotto su più di 800 giovani tunisini intervistati (18-30 anni), si sofferma sul legame che intercorre tra estremismo islamico e disagio ed emarginazione sociale. Più dell’80% degli intervistati ritiene che la società tunisina sia disuguale e ingiusta, il 55% degli intervistati dichiara di aver sperimentato personalmente situazioni di disuguaglianza e di sentirsi oppresso dal proprio paese. “Questo è un profilo comune sia al jihadista violento che al giovane migrante che decide di tentare la via del mare”.
Se è vero che la Tunisia ha fornito tra il 2012 e il 2015 più di 3 000 foreign fighters partiti per la Siria e per la Libia, tuttavia l’immagine del tunisino delinquente che decide di raggiungere l’Europa per sfuggire alle maglie della giustizia nazionale non trova alcun riscontro nelle caratteristiche della migrazione tunisina. I migranti tunisini sono per la maggior parte giovani, spesso con buoni livelli di istruzione, e in misura sempre maggiore donne.
Silvia Proietti
(23 dicembre 2020)
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