Migrazione afghana in Italia: donne e geopolitica

Afghanistan e immigrazione in Italia, un focus su geopolitica e donne

Migrazione afghana, tra geopolitica e storie di donne, questo il tema dell’incontro online di mercoledì 31 marzo organizzato dall’associazione Binario 15, Unire e Frontiere News. Il dibattito è stato decisivo per tracciare un quadro sintetico sul fenomeno dell’immigrazione dall’ Afghanistan e per approfondire la condizione delle donne afghane residenti in Italia. Allo stesso tempo, l’incontro ha voluto celebrare i 10 anni di attività di Binario 15, associazione impegnata proprio nella tutela ed integrazione dei cittadini afghani a Roma.

La migrazione afghana: Binario 15 e i dieci anni di attività

Invisibilità, indipendenza, partecipazione: 3 parole che raccontano dieci anni del lavoro di Binario 15, l’associazione nata in corrispondenza del quindicesimo binario della stazione ferroviaria di Ostiense, lì dove i migranti afghani erano soliti fermarsi prima di ripartire alla volta dell’Europa. “L’invisibilità ci accompagna da quando siamo nati perché lavoriamo con persone invisibili ad un sistema che non sa conoscere e accogliere” spiega Lorena Di Lorenzo, sociologa e cofondatrice dell’associazione. “Indipendenza perché forniamo impegno gratuito e indipendente da bandi e progetti: sfruttiamo il nostro capitale umano e l’aiuto dei nostri volontari. Infine, partecipazione perché abbiamo lavorato per molto tempo in emergenza sociale ma siamo sempre voluti andare oltre. Abbiamo voluto puntare sulle competenze esistenti delle persone, abbiamo aiutato a farle emergere in un sistema non accogliente e opprimente”.

Migrazione afghana e donne in Italia, le criticità

Della presenza femminile afghana in Italia si parla sempre meno, probabilmente per il numero relativamente esiguo che arriva a contare poco più di mille permessi di soggiorno nell’ultimo anno. La maggior parte di loro è arrivata nel nostro Paese attraverso un permesso per ricongiungimento famigliare, riuscendo di fatto ad evitare il tragico viaggio via terra o via mare cui invece sono stati costretti i loro mariti. Ma la loro presenza nel Paese non è duratura perché l’Italia costituisce un primo punto di approdo del viaggio che ha come meta finale il nord Europa.

“Le donne afghane a Roma sono circa una settantina, almeno cinquanta sono parte attiva di Binario 15. Sono tutte molto giovani e con bambini piccoli” racconta Nazifa Haidari, mediatrice culturale in Italia dal 2002 che nell’incontro di mercoledì si è fatta portavoce dei progetti dell’associazione dedicati alle donne. “Molte di queste donne sono figlie di persone scappate dal fondamentalismo e sanno cosa significa migrare proprio perchè tutta la propria famiglia l’ha già fatto. In Italia, però, il contesto sociale e culturale non permette l’integrazione delle donne afghane anche se questo non significa che sia impossibile”.  Nazifa mette in luce la mancanza di progettualità istituzionale per l’inserimento dei suoi concittadini, delle donne in particolare: nonostante il sostegno delle associazioni che sopperiscono a queste mancanze, sembra evidente l’assenza di un progetto a lungo termine che possa consentire di accedere a servizi, sportelli, informazioni, istruzione, lavoro e sanità.

“Ci sono difficoltà nei percorsi di ricerca del lavoro, in Italia non viene dato un ruolo attivo ai migranti. Le donne afghane non sono passate per il sistema di accoglienza e di conseguenza non hanno avuto un accesso ad alcuni servizi, così come l’hanno avuta i loro mariti. Le donne arrivano direttamente nelle abitazioni private”. A pagarne le conseguenze sono anche i loro figli, i quali hanno difficoltà ad accedere al sistema dell’educazione perchè non hanno punti di riferimento per conoscere i loro diritti e doveri e informazioni dei servizi. Ma Nazifa non vuole parlare solo “di cose negative. Stare qui e vivere in pace rispetto a come sarebbe stato vivere in Afghanistan, un paese sempre in guerra, è già una buona opportunità. C’è la possibilità di fare rete, crescere e studiare. È ciò che consiglio sempre: studiare, studiare e studiare”.

Grazie a Binario15 le donne e gli uomini afghani hanno fatto rete, si sono conosciuti e sono diventati amici ma non solo: l’associazione gli ha dato la possibilità di seguire corsi di lingua, di orientamento al lavoro e di supporto all’accesso ai servizi. “Ho conosciuto tante donne afghane che come me vivono a Roma ma anche tante amiche e amici italiani” conclude Nazifa.

Afghanistan, un quadro geopolitico in 40 anni di guerra

Migrazione come fuga dalla guerra verso la salvezza: non è a questo che si riduce la spinta a lasciare tutto e andare via? Ma soprattutto: perché impedirlo se ciò che li trattiene non è altro che guerra, morte, sofferenza?
“La geopolitica è crudele ed è legata alla migrazione” spiega Enrico Campofreda, esperto di politica mediorientale e autore di un approfondimento sui più importanti quotidiani nazionali. “Quella afghana è una fuga dalla mancanza di possibilità di avere un presente e un futuro. In Afghanistan siamo alla quarta generazione di persone che hanno vissuto solo scenari di guerra a partire dall’invasione sovietica del ‘79”.  Dopo l’invasione sovietica, terminata solo nell’89, l’Afghanistan ha dovuto subire la presenza talebana: “dieci anni di guerra contro la resistenza dei Mujhaeddin con più di un milione di vittime civili e 5 milioni di rifugiati che si sono mossi internamente al Paese o che hanno preferito migrare verso i vicini Pakistan e Iran. In questi anni i talebani hanno praticato una politica di potere ed oppressione con esecuzioni pubbliche e donne lapidate perché accusate di adulterio. Alle bambine veniva impedito di studiare, alle donne di cercare lavoro e di uscire se non accompagnate da un membro della famiglia. Questo è accaduto nel periodo talebano, ma anche negli anni a seguire l’oppressione del fondamentalismo non è migliorata”. Nel 2001, quando gli Stati Uniti decisero di invadere l’Afghanistan, tutte le missioni militari si sono rivelate fallimentari e hanno prodotto circa 400mila vittime civile.

“Due gli errori più gravi commessi nel 2001, con l’arrivo degli americani e della Nato: nonostante il crollo dei talebani il potere governativo è stato affidato ai signori della guerra. In secondo luogo, l’Afghanistan ha ricevuto molti soldi per la ricostruzione del Paese ma si è ricreato un sistema corrotto” aggiunge Syed Hasnain, cofondatore di Unire, Unione nazionale italiana per rifugiati e gli esuli. “Continuano ad esserci sempre più civili morti, proprio perché prosegue la guerra tra afghani e talebani. Attualmente, gli afghani si collocano al terzo posto per numero di rifugiati nel mondo, dopo Siria e Venezuela. Ci sono tantissimi sfollati interni che vivono in situazioni precarie perché non hanno accesso ad acqua, assistenza sanitaria e alimentare. Su 37 milioni di afghani circa 15milioni hanno bisogno di aiuti alimentari e almeno la metà della popolazione ha avuto esperienze di migrazioni”.

Giada Stallone
(1 aprile 2021)

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