COP sta per “Conferenza delle Parti”, dove per Parti si intendono le 197 nazioni appartenenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UN Framework Convention on Climate Change, UNFCCC). La prima conferenza si è tenuta a Berlino ventisei anni fa e ha una partnership con l’Italia, dove diversi eventi, come il Youth4Climate e la PreCOP26, si sono tenuti all’inizio di ottobre. L’edizione, che si svolgerà allo Scottish Events Campus (SEC) di Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre avrebbe dovuto tenersi nel 2020 ma a causa della pandemia COVID-19 è stata rimandata.
La 25a Conferenza delle Parti, ospitata dal governo cileno e condotta a Madrid a dicembre 2019, si concluse con un nulla di fatto. Si affrontarono delle risoluzioni in merito al taglio dei gas serra e agli aiuti per i Paesi più poveri che subiscono già gli effetti del cambiamento climatico, ma nonostante le lunghe negoziazioni la questione fu rimandata al summit di Glasgow. L’UNFCCC, oltre alla questione dei mercati del carbone, ha identificato quattro grandi obiettivi nel suo manifesto per la COP26, che sono:
- azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050 e puntare a limitare l’aumento delle temperature a 1,5 °C
- adattarsi per la salvaguardia delle comunità e degli habitat naturali
- mobilitare i finanziamenti
- collaborare
- Migranti climatici e climate change
A Glasgow 2021 si tenterà di fare il punto sull’approssimativa attuazione dopo sei anni dal successivo Accordo di Parigi della COP21, nel 2015, e sul fallimento delle negoziazioni di COP25. In questi anni pochi Stati hanno mantenuto impegni o promesse per tagli più consistenti alle proprie emissioni e per efficaci piani di mitigazione e adattamento e le conseguenze di queste azioni disattese sono drammatiche sotto il punto di vista ambientale e dal punto di vista umano. Ogni anno, infatti, milioni di persone sono costrette ad abbandonare la propria terra e migrare per catastrofi climatiche, conflitti ambientali e distruzioni di ecosistemi causate da un sistema economico, sociale e politico insostenibile. Nel 2020 c’è stato un record di sfollati climatici. Più di 55 milioni di persone sono state costrette a lasciare le loro case a causa di eventi climatici estremi. Il numero di persone costrette a spostarsi all’interno dei loro paesi a causa di disastri climatici è salito al livello più alto rispetto all’ultimo decennio, ed è più di tre volte quello degli sfollati a causa di conflitti e violenze. La crisi ambientale che stiamo vivendo è fortemente connessa a crisi sociali, economiche, politiche, culturali, con inevitabili processi di trasformazione che cambiano e cambieranno i volti dei territori di chi parte e di chi accoglie dei cosiddetti “migranti ambientali”, “profughi ambientali” o “eco-migranti”.
Nel 2007 Kofi Annan diceva «i paesi più vulnerabili hanno meno capacità di proteggersi. Sono anche quelli che meno contribuiscono alle emissioni globali di gas serra. In assenza di provvedimenti, saranno loro a pagare un alto prezzo per le azioni altrui». Parole che con il susseguirsi degli anni e l’aggravarsi del climate change si sono rivelate assolutamente veritiere. Negli anni si sono susseguiti eventi climatici estremi su gran parte della terra; milioni di persone non hanno avuto altra scelta se non quella di migrare. Tuttavia, è importante ricordare che non sono solo gli eventi estremi a generare migrazioni, ma anche eventi climatici con effetti dilatati nel tempo, come desertificazione e perdita di produttività del suolo, possono spingere le persone ad abbandonare i loro paesi di appartenenza. Tutti questi fenomeni dimostrano chiaramente come esista uno stretto legame tra cambiamenti climatici e migrazioni forzate.
Ad oggi, i migranti ambientali, non sono tuttavia riconosciuti dalle leggi internazionali come “rifugiati” e quindi i loro diritti non possono essere tutelati in modo specifico. I principali soggetti interessati al tema delle migrazioni hanno iniziato a riflettere su come modificare le proprie politiche e strategie di cooperazione e aiuto umanitario per tener conto del legame ormai evidente tra cambiamento climatico e migrazioni.
Migranti climatici e COP
Più il fenomeno è diventato rilevante più è diventato fondamentale dibbatterne anche in ambito COP. Rilevanti sono gli accordi di Cancun del 2010 (COP16), che invitano le parti ad adottare “misure volte a migliorare la comprensione, il coordinamento e la cooperazione in materia di spostamenti di popolazioni indotti da cambiamento climatico”. Inoltre, la decisione adottata dalla COP 18 (Doha, 2012) sulle perdite, i danni e gli effetti negativi dei cambiamenti climatici afferma la necessità di far avanzare le conoscenze in materia di perdite e danni, anche rispetto all’impatto dei cambiamenti climatici sui modelli di mobilità umana.
RESAMA (Rete Sudamericana per le Migrazioni Ambientali), una delle associazioni più attive durante COP21 sulla correlazione tra cambiamenti climatici e migranti ha evidenziato l’importanza dell’inclusione dei diritti umani nel testo, con il riferimento ai diritti dei migranti colpiti dagli effetti del cambiamento climatico e l’adozione di misure per rispondere agli spostamenti provocati dalle avversità ambientali. Secondo l’Organizzazione mondiale delle migrazioni (IOM) nel 2014 la probabilità di essere sfollati a causa di un disastro è salita del 60% rispetto a 40 anni fa.
Le previsioni sul potenziale numero di migranti ambientali entro il 2050 variano da 50 milioni a 350 milioni; la stima più citata è quella fornita da Myers, che prevede 200 milioni di potenziali migranti ambientali entro il 2050. L’Intergovernmental Panel on Climate Change (2007) prevede che la cifra raggiunga i 150 milioni entro lo stesso anno, mentre il Rapporto Stern (2006) parla di circa 200 milioni di probabili sfollati ambientali. Anche Legambiente, in vista di COP26, ha pubblicato, nel 2021, undossier, “I migranti ambientali, l’altra faccia della crisi climatica” in cui racconta i citati e spaventosi numeri che si celano dietro questi processi migratori, chiedendo che il tema dei migranti sia prioritario e sia un’occasione per “ampliare le forme di protezione nazionale per tutelare chi fugge dagli effetti della crisi climatica”, anche in contesto internazionale.
In attesa di vedere i dibattiti e i risultati di Glasgow ecco un riepilogo delle COP e dei principali esiti dal 1995 ad oggi.
Elisa Galli
(28 ottobre 2021)
Elaborazione grafica: Elisa Galli
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