COP 26: la migrazione non interessa Glasgow

Nell’ultimo decennio, le COP hanno trattato sempre più frequentemente la migrazione e la mobilità umana, anche all’interno del lavoro dell’UNFCCC, con il coinvolgimento attivo dell’OIM, e ora sono completamente istituzionalizzati con flussi di lavoro dedicati nell’ambito dell’UNFCCC, come il Varsavia Meccanismo internazionale per perdite e danni associati agli impatti dei cambiamenti climatici (WIM).

A partire dalla Conferenza della Parti di Cancún del 2010 (COP 16), la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change-UNFCCC) ha adottato il termine “mobilità umana” per definire le varie forme di mobilità che si verificano nel contesto dei cambiamenti climatici e dei disastri ambientali, quali la migrazione, gli sfollamenti e i trasferimenti pianificati:

  • Migrazione: termine utilizzato in senso ampio con riferimento alle persone che si muovono all’interno o fuori del loro Paese per una varietà di ragioni, tra queste quelle ambientali.
  • Displacement (sfollamenti): la seconda forma di mobilità, sono da intendersi come movimenti obbligati a causa dei disastri ambientali.
  • Trasferimenti pianificati: rappresentano la terza forma di mobilità e riguardano le comunità che vengono spostate in luoghi più sicuri a causa dell’impossibilità di rimanere in territori compromessi in modo irreversibile dagli eventi ambientali.

Mobilità climatica e vuoto politico delle COP

Istituita durante la COP 15 di Parigi, la Task force sugli sfollamenti (Task Force on Displacement) ha realizzato una mappatura dei processi internazionali, delle politiche e dei quadri normativi che si occupano delle tre diverse tipologie di mobilità elencate. La maggior parte di questi documenti riguardano le migrazioni internazionali, sebbene ormai sia ampiamente documentato che la grande maggioranza delle migrazioni climatiche avvengano ancora all’interno degli stessi Paesi. Dopo l’istituzione della task force gli stati hanno adottato alla COP 24 nel 2018 le raccomandazioni formulate dalla task force e il mandato della task force è stato rinnovato per una seconda fase partita nel 2019.

Seppure esistano quadri normativi indirizzati al fenomeno della mobilità, le migrazioni climatiche rimangono un ambito caratterizzato da un vuoto di politiche, mancanza di risorse e di adeguati sistemi di protezione sociale per i migranti. Le discussioni nell’ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCC) riunita in questi giorni a Glasgow, in occasione di COP 26 sono emblematiche, infatti, nonostante il tema della mobilità climatica sia stato affrontato all’interno dei negoziati e di commissioni ad hoc, i risultati conquistati in termini di politiche e risorse impiegate in particolare sul fronte della risposta ai fenomeni migratori in relazione agli impatti e ai processi di adattamento ai cambiamenti climatici sono davvero pochi, eppure, le migrazioni climatiche sono già in atto e hanno degli effetti considerevoli interni ed esterni.

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L’appello ai leader della COP 26

L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, UNHCR, ha fatto appello ai leader mondiali presenti alla COP 26 di Glasgow per costruire un programma immediato efficace ed efficiente per mitigare l’impatto della crisi climatica su coloro che sono costretti a fuggire. “L’attenzione deve essere incanalata verso progetti di adattamento basati sulla comunità per aiutare i milioni di persone alle prese con gli effetti catastrofici del cambiamento climatico, molti dei quali sono stati sfollati, spesso più volte”, ha affermato l’UNHCR in una dichiarazione rilasciata il 7 novembre.

A Glasgow, il consigliere speciale dell’UNHCR per l’azione per il clima, Andrew Harper, ha evidenziato, in più sedi, l’impatto del cambiamento climatico sugli sfollati. Il novanta per cento dei rifugiati sotto il mandato dell’UNHCR e il 70% degli sfollati interni provengono da paesi vulnerabili meno pronti ad adattarsi secondo Harper è necessario “agire e assicurare maggiore supporto per prevenire, minimizzare e rispondere alle migrazioni forzate e a garantire maggiore sostegno alle strategie di adattamento, in particolare a favore di sfollati e comunità di accoglienza”.
Il consigliere di UNHCR ha altresì espresso “preoccupazione in relazione al fatto che la COP 26 non abbia delineato azioni concrete volte a realizzare gli impegni assunti in queste aree, azioni che saranno essenziali per proteggere le comunità vulnerabili di tutto il mondo ed evitare conseguenze devastanti a milioni di rifugiati, sfollati e apolidi”.

“Lo sfollamento forzato è tra le conseguenze umane più devastanti del cambiamento climatico e mostra le profonde disuguaglianze nel nostro mondo”, ha aggiunto Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, “collaborare con coloro che già subiscono gli effetti del cambiamento climatico, in particolare quelli sradicati da casa, è fondamentale per soluzioni di successo. Ma hanno bisogno del sostegno internazionale e ne hanno bisogno ora“.

I risultati di Glasgow

Se da una parte l’Accordo di Glasgow conferma l’impegno dei paesi più ricchi a garantire un aiuto finanziario, per la mitigazione e l’adattamento, di 100 miliardi di dollari l’anno per il periodo 2020-2025: 600 miliardi complessivi da elargire attraverso il piano proposto dalla presidenza britannica, dall’altra nessun passo in avanti, è stato fatto sulla creazione del Loss and Damage Facility: un fondo atto ad aiutare le comunità vulnerabili dei paesi più poveri a far fronte ai danni e alle perdite dovuti ai disastri climatici, così che sia praticabile una rapida ricostruzione e ripresa economica dei territori colpiti, evitando allo stesso tempo l’aumento dei profughi climatici.

Nel 2020, secondo l’Imdc l’International Displacement Monitoring Centre, su 40 milioni di persone che nel mondo si sono spostate da un luogo all’altro del proprio Paese, 30 milioni lo hanno fatto per sfuggire ai disagi dovuti al cambiamento climatico ed entro il 2050, prospetta sempre l’Imdc, i migranti climatici diventeranno 200 milioni. Questi numeri impressionanti non sono stati sufficienti, ancora una volta, per i grandi della Terra a dare la dovuta rilevanza ai migranti climatici che ancora sono considerati ultimi e invisibili dalla comunità internazionale più interessata ad un possibile ritorno al nucleare e ai profitti che ad occuparsi di chi l’emergenza la vive sulla propria terra hic et nunc.

La superficialità nel trattare il tema era già stata resa manifesta dal G20 di Roma dove i leader si sono impegnati a garantire un pieno rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dei migranti prevenendo i flussi irregolari applicando un approccio globale per una migrazione sicura idonea a rispondere ai bisogni umanitari. Parole importanti ma prive di un qualsivoglia piano esecutivo e pertanto destinate a rimanere soltanto parole. La preoccupazione è che anche la confederazione delle parti di Glasgow avrà lo stesso epilogo, rappresentando l’ennesima occasione persa di cooperazione e umanità. Harper stesso ha affermato che “si è parlato molto, ma non sono sicuro di quante persone stessero ascoltando”, a sottolineare quanto l’interesse comune sia focalizzato altrove.

Non resta allora che sperare che la COP 27 che si terrà nel continente africano, in Egitto, una delle maggiori sedi produttrici di profughi, climatici e no, saprà dare delle risposte più chiare e puntuali sulla questione con la previsione di azioni concrete e fondi destinati.

Elisa Galli
(16 novembre 2021)

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