Covid, migranti e mercato del lavoro

Covid, migranti e mercato del lavoro sono i temi dell’incontro organizzato da CSER, il Centro Studi emigrazione di Roma e  FOCSIV, Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario, il 16 novembre. Si è trattato di una giornata formativa dedicata ai giornalisti, parte del progetto “Volti delle Migrazioni”. Dalle 10 alle 17 si sono alternati esperti sul tema delle migrazioni e del lavoro. La giornata si è divisa in tre parti. Nella prima si è parlato della relazione fra covid e migranti nei vari paesi dell’Unione europea; con un focus sul mercato del lavoro in Italia. Nella seconda parte si sono superati i confini UE, concentrandosi sui paesi del Sud America, dell’Africa e dell’Asia. Nella terza e ultima parte, è stato affrontato il tema deontologico, ossia le problematiche incontrate dai giornalisti nel raccontare i migranti.
L’incontro ha fornito innumerevoli spunti interessanti, qui non possiamo che riportarne solo alcuni.

Il convegno
Ad aprire le danze è Piero Damosso, del Tg1 RAI che parte dal concetto di nazionalità.“Che cos’è la nazionalità? E’ l’espressione di un popolo che decide di stare insieme, una comunità? O è l’espressione di uno spirito di razza?”
Bisogna cioè liberare il concetto di nazionalità dalla sua connotazione più retriva e reazionaria. Ancora secondo Damosso, lo stesso provvedimento sullo Ius Soli si deve accompagnare alla questione della nazionalità. Viene quindi posto qui l’accento sulla narrazione e l’emotività di certe parole. La nazionalità – secondo il responsabile del Tg1 – quando si acquisisce deve avere una sua ritualità, come per altro avviene in altri paesi.

Monica Miscali, docente della Norwegian University of Science and Technology, si concentra sui paesi scandinavi. Come cioè su Norvegia, Danimarca e Svezia hanno affrontato la Pandemia e quali sono stati gli effetti sulla popolazione migrante. Miscali fa notare che mentre la Norvegia e la Danimarca hanno adottato misure più o meno restrittive per fronteggiare la pandemia, la Svezia ha scelto di preservare la propria economia, decidendo, perlomeno nella prima fase, di continuare a tenere aperti negozi e centri sportivi. Il risultato è stato che in Svezia si sono avuti molti più morti rispetto agli altri due paesi scandinavi. I migranti sono stai i più colpiti dal virus e di conseguenza erano quelli che lo diffondevano maggiormente. Sono stati tacciati, come in parte è accaduto anche in Italia, di essere gli untori e di conseguenza erano invisi alla popolazione. Purtroppo, nota la docente Miscali, tutti i paesi scandinavi hanno fatto questa correlazione fra migranti e Covid 19. In Svezia alcuni giornali hanno dimostrato una correlazione tra basso reddito, istruzione e mortalità per COVID 19.  Poiché molti migranti – si tratta in prevalenza di Turchi, etiopi, cileni, libanesi – sono indigenti, o percepiscono un basso reddito, risultano  i più colpiti dalla pandemia. Anche altri fattori hanno inciso sull’alta diffusione e mortalità del virus sulla popolazione migrante. Data la scarsa competenza digitale e linguistica, non riuscivano a descrivere i sintomi. Molti temevano di perdere il posto di lavoro o, non essendo automuniti, sceglievano prevalentemente i trasporti pubblici dove vi è una più alta probabilità di essere contagiati.

La Germania e il Ponte aereo, un esempio di disumanità

Edith Pichler, Centre for Citizenship, Social Pluralism and Religious Diversity dell’Università di Potsdam, Germania, ha spiegato che a differenza dei paesi scandinavi, la Germania si è resa conto di aver bisogno della  manopodera straniera per superare la situazione di crisi. Pichler definisce “un esempio di disumanità il ponte aereo che il governo tedesco ha realizzato per far arrivare i lavoratori dall’Est Europa. Questo perché le aziende agricole si erano in precedenza lamentate di scarsa manodopera nelle campagne, non appena era scoppiata la pandemia. Altro settore nel quale i migranti hanno dovuto subire gli effetti nefasti del COVID, è quello dei mattatoi. Diversi operai sono risultati positivi al COVID a causa della promiscuità e del duro lavoro fisico al quale sono stati sottoposti.

Reddito di cittadinanza e blocco dei licenziamenti: la Guerra tra poveri è sempre in voga

Anche Andrea Rea, docente del Centre d’Études de l’Ethnicité et des Migrations, CEDEM – Université de Liège, Belgio, fa notare come i migranti abbiano risentito più degli altri della pandemia. Rea cita una serie di fattori sociali.  Su tutti l’esposizione al virus. Sovente i migranti si trovano a vivere nelle grandi città, in quartieri affollati, e per di più in abitazioni con poco spazio, dove la qualità della vita è in generale più bassa e i contatti sono difficili da evitare.
Ferruccio Pastore, di FIERI (Forum Internazionale di Ricerche sull’Immigrazione), che ha sede a Torino, sottolinea quanto ancora oggi sia in voga la cosiddetta guerra tra poveri. In questo caso fra poveri italiani e poveri stranieri. Le misure adottate dal governo italiano, il reddito di cittadinanza e il reddito di emergenza, hanno acuito ancor di più il divario fra gli indigenti italiani e i migranti. Soprattutto il reddito di cittadinanza, il quale prevede un blocco d’accesso. Un migrante può ricevere tale sussidio solamente se è residente in Italia da dieci anni. Più in generale poi, i migranti hanno potuto beneficiare meno degli aiuti, come il blocco licenziamenti perché avendo spesso un’occupazione precaria, non hanno potuto usufruire di questa misura.

Marco Marasà

19/11/2021

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