Vittime di tratta e illeciti: cause di non punibilità

La non punibilità delle persone sopravvissute alla tratta o alla riduzione in schiavitù che commettono attività illecite” è la tavola rotonda promossa da ASGI, BeFree e Spazi Circolari che si è svolta giovedì 27 gennaio.  Alla base dell’iniziativa c’è la rilevazione, da parte degli enti antitratta, di un aumento dei casi di sfruttamento di persone per la commissione di attività illecite. Si hanno spesso casi di “re-trafficking”, cioè quando la vittima di tratta fa ritorno nel proprio Paese di origine e lì è nuovamente sottoposta alla tratta. E inoltre una recente sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (Corte Edu), che ha fatto emergere l’opportunità di una rinnovata attenzione per questo tema. L’incontro è stato un’occasione di approfondimento – a partire dalla nozione di tratta di esseri umani – ma anche di riflessione e confronto sui limiti e sulle potenzialità del sistema di identificazione delle vittime, nonché della relativa disciplina applicabile, grazie al contributo degli esperti del settore:  magistrati, avvocati, accademici e operatori dei centri antitratta.

Fare sistema per contrastare la tratta di esseri umani (foto da Pixabay)

Vittime di tratta e illeciti: i dati dello sfruttamento nelle economie illegali forzate

Su iniziativa degli operatori del progetto NA.VI.GA.RE. si è svolta una ricognizione dei dati raccolti dai centri antitratta italiani, con l’obiettivo di avere un quadro complessivo del fenomeno dello sfruttamento delle vittime di tratta “in quelle che noi chiamiamo economie illegali forzate”, come le definisce Giuseppina Di Bari. Si tratta di tutti quei casi in cui la persona sottoposta alla tratta, una volta giunta in Italia, è stata successivamente impiegata per la realizzazione di attività illecite, definite “forzate” in quanto commesse a causa dello stato di bisogno in cui si trova il soggetto: il risultato è, dunque, una “rivittimizzazione” dell’individuo. Dall’analisi dei dati, relativi al periodo 1/01/2019 – 31/12/2021, è emerso che:
• i Paesi di provenienza delle vittime sono prevalentemente Nigeria e Tunisia;
• le vittime sono in prevalenza donne (65% sul totale dei maggiorenni; 92,2% sul totale dei minorenni);
• le forma di sfruttamento prevalente è quella sessuale (61,5%), seguita da quella di tipo lavorativo (26,9%);
• i reati commessi a causa del processo di rivittimizzazione sono in prevalenza legati allo spaccio di stupefacenti (50,9%).

Vittime di tratta e illeciti: il caso inglese e la sentenza della Corte Edu

Un importante impulso al dibattito sul tema della tratta deriva dalla sentenza della Corte Edu contro l’Inghilterra del febbraio 2021: con essa viene accolto il ricorso di due giovani vietnamiti, autori di reati in materia di stupefacenti, grazie al riconoscimento dello “status” di vittime di tratta. Tra le ragioni alla base della decisione della Corte è particolarmente importante il richiamo alla violazione dell’art 4 CEDU, che vieta la schiavitù, e ad una serie di testi normativi sovranazionali che ne definiscono il significato: questa serie di norme pone a carico degli Stati un obbligo di attivarsi per contrastare la schiavitù e impongono di prevedere forme di non punibilità per le vittime di tratta che abbiano commesso degli illeciti, qualora vi siano state costrette (art 26 della Convenzione del Consiglio d’Europa del 2005 e art. 8 della direttiva 2011/36 UE). L’Inghilterra, pur dotata di una norma che prevede una causa di non punibilità specifica per le vittime di tratta, viene condannata per non aver valorizzato gli elementi che avrebbero consentito l’applicazione di questa norma.

Vittime di tratta e illeciti: la situazione italiana

In Italia manca una norma che preveda una causa di non punibilità specifica per le vittime di sfruttamento: nelle ipotesi di illeciti commessi da persone che hanno subito la tratta, lo strumento di riferimento per non incorrere nella sanzione penale è l’art. 54 c.p. Questa norma prevede che non è punibile chi ha commesso il reato per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri “dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”: questa previsione si applica “anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo”. Tuttavia, questa norma si dimostra spesso inadeguata alla protezione delle vittime di tratta a causa di una serie di fattori, tra cui: la mancata tempestiva individuazione degli elementi indicatori della condizione di sfruttamento e l’assenza, in alcuni casi, della “minaccia” come strumento usato dagli sfruttatori per costringere la vittima di tratta a commettere un illecito. “La tratta è un reato che va a colpire la facoltà di autodeterminazione della vittima”, spiega Lina Trovato – sostituta Procuratore presso la Direzione Distrettuale Antimafia Catania –, ma “non è detto che la tratta sia stata posta in essere con minaccia, nè è detto che la vittima di tratta perda completamente la sua facoltà di autodeterminazione”. Altro requisito richiesto dalla norma ai fini della non punibilità è l’inevitabilità della condotta posta in essere, che talvolta non viene riconosciuto in sede giudiziale.

Vittime di tratta e illeciti: identificazione precoce e problemi deontologici

Il funzionamento del meccanismo di non punibilità ha come presupposto l’identificazione della vittima di tratta come tale. Questa operazione “dipende dal momento in cui si riscontrano gli indici di tratta, il che può avvenire, spiega l’avvocato Guido Savio:

  • al momento dello svolgimento delle indagini penali,
  • su segnalazione degli enti antitratta,
  • nell’ambito delle procedure di protezione internazionale”,

a questo fine, dunque, è di primaria importanza una specifica formazione degli attori sociali e giudiziari in tal senso. Inoltre, “accade che il difensore, sia in sede penale che in sede di protezione internazionale, di fatto sia in una situazione di conflitto di interessi sostanziale con il proprio assistito: ciò avviene quando il difensore è stato nominato perchè indotto dagli sfruttatori, che si fanno carico delle spese legali della vittima di tratta, allo scopo di controllarne le dichiarazioni”: emerge una esigenza di sensibilizzazione e formazione deontologica dei difensori, funzionali all’identificazione precoce delle vittime.

Vittime di tratta e illeciti: fare sistema e confrontarsi

Le posizioni degli operatori sociali e del diritto sembrano convergere verso la necessità di introdurre una norma specifica per la non punibilità dei reati commessi dalle vittime di tratta e molte sono le proposte per contrastare il fenomeno della tratta. Tra di esse, quella di adottare un meccanismo organizzativo specifico interno al sistema giudiziario e di creare tavoli di confronto interistituzionale fondati sul coordinamento tra uffici e operatori sociali: le parole chiave sono dunque fare sistema, comunicazione e confronto e, non meno importante, creare un clima di fiducia della vittima nei confronti del sistema stesso.

Valeria Frascaro
(1 febbraio 2022)

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