Il tema dell’impunità di Stato e della mancanza di responsabilità della polizia e degli apparati di sicurezza in Egitto, è stato discusso il 12 aprile da Amnesty International Italia, Committee for Justice (CfJ), EgyptWide for Human Rightse ARCI Nazionale insieme per la difesa dei diritti umani in Egitto all’indomani della nuova udienza preliminare del caso Regeni, tenutasi l’11 aprile e conclusa con una nuova sospensione fino al 10 ottobre 2022. Durante la conferenza sono intervenuti Ahmed Mefreh (Committee for Justice), Alice Franchini (EgyptWide for Human Rights), l’on. Erasmo Palazzotto (Deputato della Repubblica), e Tina Marinari (Amnesty International Italia).
“L’impunità – secondo Amnesty – costituisce un fenomeno endemico ed estremamente grave in Egitto, e contribuisce alla diffusione su larga scala di trattamenti crudeli, inumani e degradanti contro le persone private della libertà personale, dal momento che i responsabili delle violenze sono consapevoli del fatto che non subiranno conseguenze per i loro comportamenti. Un caso importante che esemplifica la gravità dell’impunità e il fallimento delle autorità egiziane nell’assicurare alla giustizia gli autori delle violazioni dei diritti umani è l’omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni nel gennaio 2016”.
Una nuova sospensione del processo
Oggi, il processo non può andare avanti perché i quattro imputati non sarebbero a conoscenza del procedimento giudiziale a loro carico, in quanto non è stato possibile inviare loro la notifica degli atti. Già a gennaio il giudice aveva chiesto al ministero della Giustizia di cercare la collaborazione delle autorità egiziane per ottenere gli indirizzi degli imputati a cui mandare la notifica, ma nonostante gli sforzi delle procure italiane impegnate nel caso e delle organizzazioni internazionali per i diritti umani, l’Egitto ha sistematicamente evitato di cooperare.
“Come associazioni per i diritti umani egiziane e italiane siamo solidali con le vittime di questi abusi e chiediamo giustizia e risarcimenti per ognuno/a di loro”, precisano le organizzazioni, che hanno deciso di mostrare l’unità della società civile fra Italia ed Egitto nel chiedere verità, recondibilità e giustizia per Giulio Regeni e le altre vittime di violazioni dei diritti umani in carcere”.
La schematica impunità di Stato
Perché non c’è soltanto il “caso Regeni” ma c’è “uno schema di morti sospette in custodia e probabili esecuzioni extragiudiziali avvenute nel corso dell’ultimo decennio ad opera delle forze del Ministero dell’Interno egiziano. Le vittime sono per la maggior parte persone che al momento della loro morte in custodia o nel corso di operazioni militari e di polizia non rappresentavano un pericolo per nessuno/a”. Ahmed Mefreh ha parlato di più di 1200 casi simili, omicidi avvenuti dentro centri di detenzione egiziani dal 2013 e che l’unica differenza tra questi e l’omicidio di Giulio Regeni sta nel fatto che questo non è rimasto nascosto ma è arrivato davanti ad una Corte rappresentando una speranza anche per tutte le altre vittime.
In particolare, EgyptWide, enunciando i dati del progetto Itepa, denuncia la necessità imprescindibile di “stoppare la cooperazione militare e quella tra le polizie di Italia ed Egitto”. La polizia e gli apparati di sicurezza egiziani, beneficiari della formazione erogata dall’Italia con Itepa, sono presenti in modo strutturale e capillare in gravi abusi e in pratiche di tortura, detenzioni arbitrarie, ed è evidente come costituiscano il braccio armato del sistema repressivo egiziano.
“Detenzioni, torture, maltrattamenti sono la realtà quotidiana in Egitto. Questo è il Paese che consideriamo un partner e nel quale non si può parlare di giustizia. Dato che per le stragi in piazza del 2013 contro i manifestanti, con 900 vittime, non si ha ancora alcun responsabile. Allo stesso modo come oggi il Cairo nega collaborazione sul caso Regeni”, spiega ancora Tina Marinari, di Amnesty.
La morte di Ayman Hadoud
L’ultimo caso, da poco noto, denunciano le Ong, è legato alla sparizione, alla tortura e infine alla morte di un ricercatore ed economista egiziano, Ayman Hadhoud, prima apparso nella sede della National Security Agency, quella degli stessi 007 accusati nel caso Regeni, e poi ritrovato morto. Hadhoud, 48 anni, era un membro del “liberal Reform and Development Party”, era scomparso il 5 febbraio, ma i suoi familiari sono stati invitati a ritirare il suo corpo da un ospedale psichiatrico al Cairo soltanto sabato 9 aprile, più di due mesi dopo che avevano denunciato la scomparsa. I resoconti ufficiali di ciò che gli è successo sembrano contraddirsi a vicenda e la famiglia non ha risposte e giustizia. Il caso ha nuovamente messo a fuoco la sistematica impunità di Stato che contraddistingue il paese e ciò che gli attivisti hanno definito “l’abissale record dei diritti umani” dell’Egitto.
Elisa Galli
(13 aprile 2022)
Leggi anche: