Si è tenuta mercoledì 13 ottobre, presso la sala stampa estera, una conferenza organizzata da Amnesty International, sulla crisi dei diritti umani in Egitto sotto la presidenza di Al-Sisi, proprio nel giorno che precede quello della prima udienza a Roma del processo per Giulio Regeni. Alla conferenza erano presenti Hussein Boumi, ricercatore di Amnesty International, Laura Cappon, giornalista inviata di “Mezz’ora in più”, Giorgio Caracciolo, responsabile DIGNITY e Claudio Francavilla, EU advocate Human Rights Watch. L’incontro è stato moderato da Vincenzo Giardina dell’agenzia stampa DIRE.
Hussein Boumi racconta la situazione dei diritti umani
La situazione dei diritti umani in Egitto può essere descritta solo come una crisi.
Con queste parole Hussein Boumi apre la conferenza di Amnesty, soffermandosi quindi su come si sia arrivati a questa situazione. “Questa condizione è stata prodotta dalle autorità egiziane attraverso una serie di misure attuate da quando i militari hanno effettivamente preso il potere in Egitto. Hanno infatti approvato leggi che minano il diritto a processi equi, che permettono alle forze di sicurezza di agire impunemente e ai procuratori e ai giudici delle forze di sicurezza d’imprigionare gli oppositori. La motivazione portata per giustificare questi comportamenti è “antiterrorismo”.
Il risultato di queste azioni sono i continui arresti di difensori dei diritti umani, di attivisti, di giornalisti, di uomini d’affari, di chiunque abbia espresso dubbi sul governo o sia abbastanza sfortunato da essere considerato un sospetto dalle forze di sicurezza. Le forze dell’ordine limitano l’accesso alle informazioni online sia attraverso il divieto e la censura di siti web, sia mediante l’arresto di coloro che condividono informazioni o le loro opinioni e la situazione dei diritti umani in Egitto. Molti di loro sono stati arrestati e detenuti in attesa d’indagini per accuse di terrorismo, senza alcuna prova, ma solo sulla base di dossier investigativi segreti della NSA, che sono ciò che viene usato principalmente per detenere oppositori e critici”. Boumi si sofferma a raccontare episodi che si sono verificati nel tempo, partendo da uno degli ultimi e più scioccanti, il rapimento di una madre e di un bambino per due anni; l’arresto di una donna colpevole di aver caricato dei video su TikTok accusati di avversa moralità oppure arresti d’individui appartenenti alle minoranze etniche, religiose e sociali. Lo scorso anno l’Egitto è stato il terzo più grande giustiziere nel mondo e questa tendenza si sta ripetendo anche nel 2021 con oltre 81 persone condannate fino ad ora.
L’Egitto ha recentemente presentato attraverso il Presidente Al-Sisi la prima Strategia Nazionale per i Diritti Umani, da attuarsi nel quinquennio 2021-2026. Un piano che si fonda su alcuni pilastri fondamentali tra i quali «lo stretto legame tra democrazia e diritti umani» e il «bilanciamento tra diritti individuali e sociali». La strategia dovrebbe rappresentare l’impegno dello Stato egiziano a «promuovere e proteggere il diritto all’integrità fisica, libertà personale, esercizio dei diritti politici e libertà di espressione».
“La pubblicazione di questa strategia nazionale dei diritti umani in “visione egiziana”, solo pochi mesi fa”, spiega Hussein Boumi, “sembra essere il risultato di uno sforzo coordinato dalla comunità internazionale per arginare le forze di sicurezza egiziane responsabili, ciò che tuttavia è preoccupante è che, nonostante questa misura, continuiamo a vedere come la situazione dei diritti umani si stia deteriorando a ritmo costante in Egitto. Contestualmente nella repressione dei diritti umani abbiamo visto emergere un nuovo modello: il rinvio dei detenuti ai tribunali di sicurezza dello stato di emergenza, cioè tribunali che sono attivi solo durante lo stato di emergenza”. Per affrontare la crisi dei diritti umani nel paese c’è la necessità d’istituire un meccanismo di monitoraggio e reporting presso le Nazioni Unite. Vedere il consolidamento e la creazione di diritti umani è un elemento chiave nell’impegno bilaterale e multilaterale con l’Egitto.
Laura Cappon racconta la situazione odierna dell’Egitto e i rapporti con l’Italia
L’Egitto ha visto un peggioramento repentino nell’applicazione dei diritti negli ultimi dieci anni, ogni volta che si visita il Paese l’impressione è che la situazione sia peggiore della volta precedente. L’operazione compiuta dalla pubblicazione della strategia sui diritti umani coadiuva fini mediatici e politici atti a nascondere le azioni repressive che quotidianamente dilagano nelle vie egiziane. Gli allentamenti apparenti di Al-Sisi, come la scelta di effettuare dei rilasci di nomi noti, sono puramente opportunistici per mitigare l’opinione pubblica e la comunità internazionale.
In riferimento ai rapporti tra Italia ed Egitto Laura Cappon racconta di essere stata in contatto con la famiglia di Patrick Zaky e con le associazioni che si occupano del suo caso e di come abbiano confermato il progressivo peggioramento della condizione di diritti umani. A loro ha chiesto quale fosse la linea rossa, quale il confine della sicurezza da non superare. Oggi la situazione è che non c’è più la redline, la repressione è talmente forte, il pericolo è costante per tutti. Quella di Zaky è una famiglia devastata da un caso che è diventato politico. Questo da una parte ha probabilmente evitato che lui subisse torture maggiori, dall’altro ha reso manifesta l’incapacità del governo di concludere trattative di successo, a conferma del fallimento della collaborazione giudiziaria nel caso di Giulio Regeni. Al fine di smuovere questa situazione, che si protrae da due anni, entrambe le camere hanno approvato il conferimento della cittadinanza italiana per meriti speciali a Patrick Zaky. Sebbene siano mesi che il parlamento si è pronunciato nessuna domanda formale è stata avanzata, domanda che deve partire dal Ministero degli esteri e che si conclude con un decreto del Presidente della Repubblica.
Cappon conclude il suo intervento con un appello alla libertà d’espressione e al diritto di essere informati, due condizioni osteggiate dall’Egitto che sempre più frequentemente vieta e ostacola l’arrivo di corrispondenti sul proprio territorio.
Giorgio Caracciolo e il rapporto sulla tortura sistemica e sistematica
Giorgio Caracciolo, responsabile di DIGNITY, presenta il rapporto sulla tortura sistemica e sistematica in Egitto. La prevalenza della tortura nei luoghi di detenzione egiziani è infatti stata oggetto di numerose inchieste e rapporti da parte di organismi dei diritti umani internazionali e dalla società civile interessata allo stesso modo, in particolare negli ultimi due decenni. Sono due le inchieste particolarmente rilevanti condotte dal Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura (CAT)condotte ai sensi dell’articolo 20 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura (UNCAT) che hanno dichiarato sistematica la tortura in Egitto. Lo scopo del rapporto è quello di smantellare la convinzione che vi sia una separazione tra il punto di vista sistemico e quello sistematico quando si parla d’istituzioni e tortura e della correlazione alle libertà civili.
Caracciolo si sofferma sull’importanza di continuare a documentare le violazioni e allargare il raggio della responsabilità. È infatti fondamentale che oltre al torturatore si condanni anche il giudice e chiunque abbia permesso il verificarsi del fatto. Anche Giorgio Caracciolo conclude con un appello all’Onu, speculare a quello di Boumi, di vigilanza e monitoraggio che consenta di documentare ciò che viene perpetrato in Egitto.
Claudio Francavilla e il rapporto di Human Watch
Claudio Francavilla conclude il giro d’interventi parlando dell’ultimo rapporto di Human Watch in Egitto che si sofferma sulle esecuzioni extragiudiziali, mascherate e non rintracciate. Infatti, non vengono fatte indagini serie dalle istituzioni e sono molte le famiglie che riferiscono di ricevere minacce e intimidazioni da parte delle istituzioni. Chi compie le esecuzioni non si impegna a nascondere il fatto in quanto consapevole che non seguiranno ripercussioni. L’Egitto è terreno di discriminazioni e rappresaglie e non si parla di uno o due casi ma di un sistema, di una crisi vera e propria dei diritti umani. Il Parlamento Europeo è l’unica istituzione ad aver condannato l’Egitto per la sua condotta contraria alle politiche europee in tema di diritti umani e ad aver avanzato delle richieste molto forti che continuano e continueranno ad essere inascoltate.
“In tema di politica estera, dice Francavilla, il ministro Di Maio ha recentemente affermato che il governo potrebbe costituirsi parte civile nel processo per l’omicidio di Giulio Regeni. Ma la domanda è: come mai il governo non cessa di vendere armi all’Egitto e non porta gli altri stati europei e non a fare altrettanto? Forse così si onorerebbe la memoria di Giulio Regeni che è diventato un simbolo di speranza per gli egiziani perché per la prima volta, attraverso un procedimento giudiziario, c’è la possibilità di condannare l’Egitto per il suo operato”.
Elisa Galli
(13 ottobre 2021)
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