3000 migranti in edilizia: corridoi lavorativi per l’inclusione

3000 migranti in edilizia, per la maggior parte provenienti dal sistema di accoglienza italiano: è quanto previsto dal protocollo d’intesa triennale, volto a promuovere l’inclusione lavorativa di alcune categorie di migranti attraverso l’attivazione di tirocini e corsi di formazione nel campo dell’edilizia, siglato dalle tre maggiori federazioni sindacali del settore – FILLEA CGIL, FILCA CISL e FENEAL UIL –  il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Ministero dell’Interno e l’Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE).

3000 migranti in edilizia
Secondo i dati dell’XI Rapporto “Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia” del Ministero del Lavoro, nelle costruzioni si concentra anche il 21% di imprenditori migranti, nella maggior parte dei casi transitati prima per rapporti di lavoro dipendente. Foto Pixabay

I migranti in edilizia

“L’idea di lanciare questo protocollo”, spiega Flavia Villani del Dipartimento edilizia FILLEA Nazionale, “nasce ad agosto 2021, a seguito della vicenda afghana. Si prospettava, infatti, un arrivo massiccio di profughi e allora decidemmo di agire tempestivamente lanciando un piano di integrazione concreta ed effettiva, in un settore come quello dell’edilizia che vede una percentuale di lavoratori migranti che in alcune aree arriva a toccare il 30%”.
Secondo i dati contenuti nell’XI Rapporto annuale “Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia” del Ministero del Lavoro: 

  • il 17% dei lavoratori stranieri regolarmente impiegati in Italia appartiene al settore costruzioni;
  • i lavoratori stranieri in campo edile vittime di infortuni ammontano al 11,9%;
  • il 19,2% delle malattie professionali contratte da lavoratori stranieri interessano il settore edilizia.

Il Rapporto annuale 2020 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro evidenzia come dei 6.849 lavoratori in stato di irregolarità a seguito di ispezione amministrativa nei cantieri edili il 39% sia un lavoratore in nero

La scelta dell’edilizia

Gli strumenti per attuare il protocollo esistono già da anni, nuova è la volontà di utilizzarli per questo scopo, con l’attivo coinvolgimento del Ministero dell’Interno nell’intercettare la domanda tra coloro che sono inseriti a vario titolo nel sistema di accoglienza italiano. Le scuole edili e CPT per la formazione professionale e la sicurezza sono realtà che esistono da diversi anni, frutto del contratto collettivo nazionale, e vedono la partecipazione degli enti bilaterali dei sindacati e delle organizzazioni edili. Vengono finanziati a livello provinciale, attraverso i contributi di imprese e lavoratori. Per la prima volta si è riusciti di concerto con i due Ministeri ad utilizzarli per favorire l’integrazione e l’autonomia dei lavoratori migranti, altrimenti costretti nelle maglie del lavoro irregolare, attraverso momenti di formazione specifici, soprattutto certificati.

Si tratta di percorsi indirizzati verso una formazione sia sul piano teorico che su quello pratico in un settore, come quello dell’edilizia, in questo momento contrassegnato da una grande richiesta di manodopera, vuoi per gli investimenti del PNRR vuoi per il bonus del 110%”.

Chi sono i migranti individuati nel protocollo

Tra i beneficiari delle misure messe in campo dal protocollo di intesa, che consistono in esperienze dirette di tirocinio nel settore coordinate dall’ente paritetico Formedil, rientrano i migranti titolari di protezione internazionale quali rifugiati, titolari di protezione sussidiaria, temporanea o speciale, ma anche MSNA e neomaggiorenni. “Per queste ultime categorie, particolarmente fragili sia sul piano sociale che su quello professionale, abbiamo dedicato un’attenzione specifica attraverso la sperimentazione di percorsi di apprendistato.

Siamo aperti, tuttavia, ad allargare la platea dei beneficiari in un’ottica quanto più inclusiva possibile uscendo anche fuori dai circuiti di accoglienza dei CAS, SAI e dell’accoglienza diffusa. Pensiamo, per esempio, alla scelta di includere i titolari di protezione temporanea, utilizzata per la prima volta nei confronti dei cittadini in fuga dall’Ucraina. Pur trattandosi di una popolazione di profughi composta per la maggior parte da donne e bambini, aver previsto anche questa possibilità è un segnale di volontà di non rimanere rigidi e imbrigliati in alcune categorie di migranti tralasciando altri.”

Il lavoro come leva sociale

I corsi previsti dal protocollo in molte realtà locali sono già partiti, perché eredi di percorsi di formazione lavorativa già sperimentati in diversi territori italiani. “A breve verrà lanciato un Tavolo Nazionale in cui poter coordinare le esperienze già attive e promuoverne di nuove.
Si tratta infatti di un’occasione importante per poter creare una sorta di ‘corridoi lavorativi’ che mettano al sicuro i lavoratori dalla condizione di irregolarità e sfruttamento, per rilanciare la funzione dell’impiego come principale leva sociale. Siamo convinti infatti che il protocollo sia uno strumento facilmente esportabile in altri contesti lavorativi con alte percentuali di lavoratori stranieri, perché senza inclusione sociale e lavorativa non si può sviluppare senso di appartenenza e di cittadinanza”.

Silvia Proietti
(31 maggio 2022)

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