Calais: storia di migranti, sgomberi e frontiere

Calais: aumentano i migranti diretti in Gran Bretagna che premono su uno dei più antichi varchi lungo la Fortezza Europa. Il Ministero della Difesa britannico ha dichiarato che lo scorso 22 agosto è stato registrato a Dover un nuovo record giornaliero di sbarchi: 1295 migranti su 27 imbarcazioni.
Ma cosa sta succedendo ai due capi della Manica? Chi sono i migranti che da Calais tentano sempre più numerosi di raggiungere il territorio britannico?

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Tracce migranti: muro a Calais. Foto di Radek Homola per Unsplash

Calais: teatro di sgomberi di migranti anche dopo il 2016

Per analizzare la situazione attuale sulle due sponde della Manica bisogna compiere un passo indietro nel tempo, nello specifico un passo lungo 6 anni. Dopo il grande smantellamento della Jungle di Calais avvenuto nel 2016, in Italia si è progressivamente spenta l’attenzione mediatica su quello che per lungo tempo è stato uno degli insediamenti informali di migranti più grande d’Europa. Soltanto negli ultimi mesi, e in maniera sporadica, si è tornati a parlare della questione migratoria sul canale della Manica a fronte di un numero sempre maggiore di naufragi.

“Dopo lo smantellamento della Jungle nel 2016 i migranti sono stati trasferiti – spesso forzatamente – ai quattro angoli della Francia”, spiega Pierre Bonnevalle, giornalista francese autore di svariati reportage sulla politica antimigranti francese e collaboratore del collettivo Migreurop. “Questa operazione è stata presentata dal governo francese come la fine del problema migratorio, quando in realtà i migranti hanno fin da subito ripreso a stanziarsi in piccoli gruppi a Calais e nei dintorni. Il governo ha deciso di affrontare la questione facendo ricorso alla politica del ‘Punto di fissazione zero’: quando nuovi migranti montano tende o accampamenti, vengono subito sgomberati dalla polizia, in media ogni 48 ore. Il collettivo Human Rights Observers ha contato 452 sgomberi dai campi effettuati nel 2018, 961 nel 2019, 967 nel 2020 e 1226 nel 2021”.

La strategia del “Punto di fissazione zero”

La nuova fase post-2016 ha senz’altro peggiorato la condizione dei migranti che vogliono raggiungere il territorio britannico, sempre più precari e costretti a continui trasferimenti, privati dei servizi minimi e ancor più intenzionati a lasciare il suolo francese. “Le associazioni che si occupano di tutela ai migranti vengono regolarmente sanzionate su disposizione del Ministero dell’Interno. Non si contano le irregolarità compiute dalle autorità di polizia sulla popolazione in sgombero e la violazione di diritti fondamentali, come per esempio quello dell’accesso all’acqua”.

Con la strategia del “Punto di fissazione zero” lo Stato francese mira da anni a creare un ambiente ostile ai migranti utilizzando ogni forma di deterrenza per scongiurare l’insediamento di un nuovo campo. “Ogni operazione di polizia vede la partecipazione anche del nucleo CRS (equivalenti più o meno alla nostra Celere, ndr) e comporta lo sgombero da 7 fino a 11 insediamenti in contemporanea. Tutto questo allo scopo di sfiancare il morale, oltre che il fisico, dei migranti costretti a lasciare il proprio accampamento in un lasso di tempo che va dai 10 minuti ai tre quarti d’ora”, spiegano dall’ufficio stampa di Human Rights Observers, associazione che da anni assiste la popolazione degli insediamenti di Calais. “Come testimoniato in molti video pubblicati sui nostri canali social, nella fretta dello sgombero i migranti vengono spesso privati dei pochi effetti personali di cui sono in possesso, che finiscono nelle mani di un’impresa di pulizie che segue i reparti di polizia durante le operazioni.”

Chi sono i migranti di Calais diretti in Gran Bretagna

Sono molte le popolazioni in fuga e i conflitti avvenuti ai quattro angoli del pianeta che hanno disegnato il profilo di Calais come luogo di stanziamento di migranti. Sulle sabbie di questo tratto di costa francese che guarda alla Gran Bretagna si può tracciare senza difficoltà la storia e la geopolitica di territori distanti svariati chilometri dalla Francia, se è vero, come sostiene – dati alla mano – Pierre Bonnevalle, che dagli anni ’90 in poi vi hanno trovato rifugio ogni giorno 1000/2000 migranti. “Al momento, a Calais, le nazionalità più rappresentate sono: afghani, eritrei, iraniani, sudanesi ed etiopi; ma numerosi sono anche i curdi, gli iracheni, i siriani, i somali, i guineani, e infine i ciadiani”, riporta Human Rights Observer. “A Calais si trovano principalmente uomini single, poiché la maggior parte dei tentativi di attraversare la Manica vengono effettuati in camion o in treno e richiedono uno sforzo fisico notevole. Le famiglie rimangono, invece, generalmente stanziate a Grande-Synthe, città situata vicino a Dunkerque, a una trentina di chilometri da Calais, in attesa di condizioni più propizie per partire”.

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I numeri degli sgomberi di Calais. Dal Rapporto annuale 2021 di Human Rights Observers

Raggiungere la Gran Bretagna non rappresenta neanche, per la grande maggioranza dei migranti a Calais, l’obiettivo originario del proprio viaggio. “I migranti, nel corso del loro peregrinare, conoscono altre persone nelle loro stesse condizioni con le quali scambiano informazioni sulle possibilità di accoglienza e le opportunità di lavoro dei vari Paesi europei. Ecco perché molti di loro, anche non anglofoni, si affannano a tentare l’attraversamento della Manica: perché, dopo essere passati di fallimento in fallimento, la Gran Bretagna e il Nord Europa rappresentano l’ultima possibilità di stabilizzazione.

24 novembre 2021: il ritorno dell’attenzione internazionale

L’attenzione mediatica internazionale, concentrata negli ultimi anni sul versante del Mediterraneo, è tornata a fissarsi brevemente su Calais in seguito a una data ben precisa: il 24 novembre 2021. “In questo giorno la morte di almeno 27 esuli nel corso di un naufragio nel Canale della Manica, a pochi chilometri dalla costa francese, ha portato alla luce la violenza delle politiche dello Stato francese e di quello britannico”, spiega Pierre Bonnevalle. “La tragedia è stata un semplice promemoria: ci ha ricordato che le frontiere uccidono, sia nel Mediterraneo che in Europa. Fin dagli anni ’90 sono morte nell’attraversamento della frontiera franco-britannica almeno 350 persone, sia via mare che via terra.
Negli ultimi anni, il volume degli attraversamenti della Manica ha subito un netto incremento: nel 2020 8.466 persone hanno attraversato il canale in barca e sono state registrate dalle autorità britanniche; nel 2021 ne sono state registrate 28.500 e 7.000 tra gennaio e aprile 2022. Per fuggire alla pressione delle polizie di frontiera, i migranti sono costretti ad attraversamenti sempre più pericolosi, soprattutto ora che la visibilità degli sbarchi mette in discussione la narrazione promossa dai sostenitori della Brexit: ‘Take back control’”.

Con l’avvento della Brexit la situazione dei migranti che attraversano la Manica ha visto un intensificarsi della retorica della protezione dei confini allo scopo ben delineato di “drammatizzare le frontiere”, chiosa Pierre Bonnevalle. “Priti Patel, ministro degli Interni del Regno Unito, ha proposto una legge sull’immigrazione per porre fine alla libera circolazione sulle frontiere. Con l’operazione Sillath, lanciata il 21 maggio 2020, sostanzialmente si dà via libera a deportare automaticamente in Francia gli esuli che sbarcano sulle coste inglesi, senza un esame ‘reale’ del loro caso o della loro situazione giuridica. Il successivo 18 agosto viene aperto un centro di detenzione per il trattenimento di persone esiliate che arrivano su piccole imbarcazioni, si iniziano inoltre ad organizzare voli charter di ‘rimpatrio’ verso gli altri Stati europei.”

La solidarietà intermittente dei Paesi europei

La demonizzazione di cui sono stati fatti oggetto i migranti di Calais ha avuto riflessi anche sul mondo del volontario impegnato nella loro tutela. “Nel febbraio 2022 a Calais due edifici occupati da associazioni no-profit provenienti da tutta Europa dedite all’assistenza ai migranti sono stati sgomberati con un raid aereo spettacolare, una vera e propria dimostrazione di forza dello Stato francese.”

Salta subito all’occhio la contraddizione tra questo episodio e l’ambizione manifestata dal primo ministro francese Macron di porsi, soltanto qualche settimana dopo, come il leader europeo maggiormente impegnato nel ruolo di mediatore nel conflitto tra Russia e Ucraina, proprio a tutela dei profughi ucraini. La Francia segue un copione non dissimile, in fondo, da quello cui assistiamo anche nel nostro Paese, sospeso tra l’esigenza di difesa dai flussi di indesiderati e quella di manifestare umanità e accoglienza nei confronti dei profughi benvoluti. “In Francia si è rapidamente instaurato un clima inaspettato di solidarietà nazionale nei confronti degli ucraini, nonché politiche pubbliche che hanno permesso loro di essere accolti, ospitati e curati. In poco tempo, insomma, si è realizzato quello che avevamo chiesto per molto tempo per gli altri esuli. Resta il fatto che la giusta e condivisibile solidarietà nei confronti degli ucraini non ha portato a una politica simile nei confronti degli altri migranti, anch’essi spesso in fuga da guerre. Negli ultimi tempi alcuni media hanno rivelato che molti centri di accoglienza aperti agli ucraini, ma scarsamente occupati, sono stati preclusi ad altre popolazioni in difficoltà. Un’ulteriore dimostrazione – se ce ne fosse ancora bisogno – di come il discorso sulle migrazioni sia strumentale alla politica degli Stati europei, senza alcuna reale attenzione al senso di umanità o al rispetto dei diritti umani”.


Leggi le testimonianze dei migranti di Calais raccolte da Human Rights Observers


Silvia Proietti
(30 agosto 2022)

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