79 Mostra del Cinema di Venezia: va in scena la diversità

Saint Omer
L’imputata di matricidio in Saint Omer di Alice Diop

Alla Mostra del Cinema di Venezia va in scena la diversità. Filo conduttore tra alcune delle pellicole proposte, in concorso e non. La diversità vissuta all’interno della società e nei confronti di essa. Le emozioni che ne derivano.
Lo schema che si ripete è quello che vede la società emarginare il diverso, portandolo a soffrire della propria condizione. Tema non nuovo, di cui diventa interessante esplorare la varietà delle declinazioni, partendo da uno schema così semplice quanto irragionevole.

Orizzonti: Innocence di Guy Davidi

Diversi sono i ragazzi del documentario Innocence di Guy Davidi, presentato nella sezione Orizzonti, in cui il regista israeliano, avvalendosi principalmente di filmati amatoriali, racconta l’esperienza del servizio militare obbligatorio. Filmati che trasmettono l’entusiasmo, l’emozione di quelli che sono poco più che bambini, e bambine, chiamati ad un servizio così importante per la patria, ad un ruolo di protagonisti nella società.

La riconoscenza dei nonni sopravvissuti all’olocausto. L’orgoglio dei genitori che vedono i figli diventare adulti. Ma soprattutto l’approvazione del circostante, rassicurato dal vederli perfetti esecutori di un disegno di altri. Perfetti soldati.
La diversità emerge tra quelli che soldati non sono. O che almeno sono molto più bambini che soldati. Bambini con le proprie fragilità, non concesse. Le proprie domande, non ascoltate. I propri dubbi, non compresi. Privati di una reale via di scampo, di una alternativa possibile. O perfetti soldati, o naturalmente emarginati.
Il brusco risveglio dello spettatore si ha nel momento in cui capisce che tutti quei visi di bambini, quegli occhi emozionati di attori involontari delle proprie vite, non ci sono più. Hanno preferito non esserci più, al dover affrontare la gogna sociale, l’emarginazione, la vergogna.

In Concorso: Saint Omer di Alice Diop

Stessa vergogna che in Saint Omer, pellicola, presentata in Concorso, della regista francese Alice Diop, porta la protagonista Rama a non voler condividere, prima con la propria famiglia, quindi con la società che la circonda, la propria gravidanza. Mossa da un senso di inadeguatezza al ruolo di madre, non contemplato dalla realtà in cui vive.
Film che muove su due binari apparentemente così distanti eppure così avvicinati da questo sentire, tra la protagonista, scrittrice e donna in carriera al quarto mese di gravidanza, interpretata da Kayije Kagame, al proprio debutto su grande schermo, e l’immigrata senegalese Laurence Coly, che vengono ad incontrarsi in una aula di tribunale, dove quest’ultima è accusata di infanticidio per aver abbandonato la propria figlia di un anno su una spiaggia in attesa dell’alta marea.
Nell’assistere alle varie fasi del processo, Rama, vede crescere dentro di sé un sentimento di deprecabile empatia nei confronti dell’accusata, indagandone a fondo le ragioni ed esplorando un abbandono diverso da quello che è al vaglio della giuria. Concentrati a giudicare la madre infanticida che abbandona la figlia, solo Rama sembra cogliere lo stato di abbandono che ha vissuto la madre, dimenticata dalla società. Rinchiusa in casa per la durata della gravidanza, sola nel partorire e nell’accudire una figlia la cui nascita non verrà mai denunciata. Lasciata alle proprie responsabilità e a dover far conto con la propria inadeguatezza.
Il messaggio esplode con l’arringa finale dell’avvocato della difesa, donna e madre, che guardando fisso nella telecamera si rivolge tanto alla giuria quanto al pubblico, nel denunciare una società cieca nel prevenire quanto immediatamente pronta a condannare.

Rocco Ricciardelli
(8 settembre 2022)

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