Secondo il Def l’immigrazione può ridurre il debito pubblico 

Anche secondo il governo l’aumento dell’immigrazione in Italia a lungo andare può contribuire a una riduzione del debito pubblico. È quanto si legge nel Documento di economia e finanza (Def), il rapporto redatto da Palazzo Chigi e dal ministero dell’Economia che riassume gli obiettivi di crescita e sviluppo per il paese.

Gli obiettivi presentati nel Def solitamente hanno un breve raggio temporale, eppure nel documento presentato quest’anno un intero paragrafo è dedicato alle possibili prospettive per il Paese fino al 2070. Questo è dovuto al grande rischio del calo demografico e al conseguente invecchiamento della popolazione, il vero dato drammatico che compromette la crescita dell’Italia. Ma, si legge nel documento, «data la struttura demografica degli immigrati che entrano in Italia, l’effetto è significativo sulla popolazione residente in età lavorativa e quindi sull’offerta di lavoro».

E in effetti, le altre variabili demografiche prese in considerazione nel Def non fanno ben sperare: è vero che entro il 2070 ci si aspetta un aumento di circa due anni della speranza di vita alla nascita, ma questo «non modifica di molto le previsioni del debito pubblico sul pil». Questo anche perché il Def ipotizza una riduzione del tasso di fertilità del 20% a partire dal 2020. Di fronte a questo scenario al governo non resta che ammettere, come si legge nel documento, che «la transizione demografica è una delle sfide più rilevanti che l’Italia dovrà affrontare nei prossimi decenni».

Una transizione demografica che non può non considerare l’immigrazione come un fenomeno in grado di cambiare le prospettive per l’Italia. Tanto che, secondo lo scenario proposto dal governo per i prossimi cinquant’anni, un aumento dell’immigrazione netta nel paese del 33% porterebbe entro il 2070 addirittura a un calo del debito pubblico di oltre il 20%. E anche secondo l’Inps l’immigrazione è un fattore che può contribuire all’inversione della curva demografica del Paese e a un miglioramento delle prospettive economiche nel lungo periodo. A parlarne è lo stesso presidente Pasquale Tridico, che in un’intervista rilasciata il 18 aprile al quotidiano La Stampa ha sottolineato che «senza i migranti tra 20 anni i conti Inps saranno critici».

Nulla di nuovo, anche perché è di poche settimane fa la notizia secondo cui proprio nel 2022 è stato registrato il numero più basso di nascite dall’unità d’Italia. Un calo demografico inarrestabile che, senza una politica migratoria con strumenti di integrazione efficaci, mette a serio rischio i conti pubblici e il sistema pensionistico del Paese.

Ma a fronte all’inarrestabile calo demografico, l’Istituto nazionale di statistica registra un aumento della popolazione straniera residente in Italia. I dati Istat del 1° gennaio 2023 infatti rilevano una popolazione straniera di 5 milioni e 50mila, in aumento del 3,9% rispetto all’anno precedente. E questo avviene, secondo l’Istituto, «a conferma di una tendenza di crescita avviatasi dal 2014 e interrottasi solo nel periodo pandemico». Al punto che nell’anno in corso si registra un’incidenza di residenti stranieri sulla popolazione complessiva pari all’8,6%.

Resta lecito porsi dei dubbi sulle strategie che il governo italiano intende porsi per affrontare la questione migratoria, viste le discussioni in corso sul decreto-legge varato a Cutro di cui è in discussione in questi giorni al Senato la trasformazione in legge. È prevista la stretta della maggioranza parlamentare sul regime di protezione speciale. Ma stando almeno a quanto riportato nel Documento di economia e finanza, secondo questo stesso governo il tasso di immigrazione è l’unica variabile demografica in grado di invertire le prospettive di decrescita per l’Italia.

Carlo Comensoli
(18 aprile 2023)

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