Ken Loach presenta The Old Oak ospite di Spin Time

 Ken Loach è uno dei più grandi registi britannici contemporanei.  Pluripremiato, universalmente riconosciuto, ha dedicato tutta la sua produzione cinematografica a raccontare e denunciare i cambiamenti storici, sociali ed economici della società britannica.
Attento da sempre alle fasce più fragili della popolazione, figlio di operai e da sempre impegnato politicamente a sinistra, è diventato per molte generazioni un esempio di resistenza e coerenza, testimoniata dagli oltre trenta film realizzati e dall’impegno civile che ha sempre mosso tutta la sua opera.

The Old Oak di Loach: occasione per parlare degli ultimi

A Roma per presentare il suo ultimo film, The Old Oak, ha voluto accettare l’invito a parlare all’interno di Spin Time, lo storico edificio di Via Croce in Gerusalemme, occupato nel 2013 “per dare casa a tutte le 450 persone che oggi formano una grande famiglia” e dove, proprio come nel film, tutto avviene grazie alla solidarietà, intesa come valore politico.
Un incontro aperto a tutta la città, come si legge dal comunicato firmato da Fondazione Piccolo America, Spin Time e Scomodo, “dal significato culturale e politico prezioso, con un regista e attivista di fama internazionale ospite in un palazzo che vive sotto la minaccia impellente di sgombero”.
Così a ottantasette anni, di fronte ad un auditorium gremito ed entusiasta, specchio di realtà sociali e culturali diverse, ha parlato delle varie tematiche che da sempre animano il suo cinema e che sono presenti anche in questo suo ultimo lavoro.

Spin Time e l’infanzia senza casa

L’elogio a Spin Time e ad altre realtà analoghe, capaci di dare un tetto e una speranza a chi altrimenti non l’avrebbe, sono state l’occasione per parlare di infanzia e degli effetti devastanti che la mancanza di una casa ha soprattutto sui bambini, che hanno bisogno di un luogo sicuro e di spazio per l’immaginazione per costruire le basi del loro futuro.
In Gran Bretagna la condizione dei senzatetto è drammatica” racconta, “e i bambini trascorrono la loro vita in stanze d’albergo, senza spazio per fare i compiti, per giocare, per invitare gli amici.  Vivono un’infanzia triste e oppressa”. Ne attribuisce la causa, in Gran Bretagna come in Italia, alla legge del mercato e del profitto che caratterizza i piani abitativi ed urbani e privilegia le classi con maggiore potere d’acquisto, perché “noi sappiamo che se c’è un bisogno ma da questo non si ottiene un profitto, il bisogno non verrà soddisfatto”.

 Fame e povertà esistono ancora in Gran Bretagna

E poi la fame. “Non avrei mai pensato di doverlo dire. Negli anni 40, durante la guerra, ero un bambino e non c’era molto da mangiare ma nessuno rimaneva affamato”, a differenza di quanto accade in Gran Bretagna negli ultimi quindici anni, dove enormi quantità di cibo vengono consegnate in beneficenza ogni settimana, “perché almeno mezzo milione di bambini non sarebbe nella condizione di mangiare se non mettessimo qualcosa nelle scatole di raccolta dei supermercati”. E questo accade “perché lo Stato ha deciso che la povertà è un crimine, e se sei povero devi pagarne il prezzo”.

La disoccupazione ed il welfare

In Gran Bretagna chi non lavora, perché malato o disabile, rischia che gli venga sospeso il sussidio se non si impegna a cercare lavoro per almeno trentacinque ore a settimana, con la conseguenza di condannare alla povertà chi è già in una condizione estremamente precaria, “e questo succede in uno dei paesi più ricchi in Europa!”.
Analogamente, l’essere costretti ad accettare qualsiasi impiego ha come conseguenza di mantenere basso il costo del lavoro” e ad incrementare, ancora una volta, la sola legge del profitto.

L’immigrazione e la solidarietà

Il regista sposta poi il discorso sul concetto di “convivere, di vivere insieme”, decidendo di affrontare un problema comune, ossia l’immigrazione, “un problema che ancora una volta getta un’onta sul mio paese”.
Loach trova la questione dell’immigrazione significativa per molti aspetti, il primo di tutti è che viene utilizzata dai governi per dividere, perché “i problemi di cui abbiamo parlato – l’essere senza tetto, il collasso del servizio pubblico, la crescente povertà e fame – esistono già da molto tempo” e l’unico modo perché la forza collettiva dei lavoratori non diventi una minaccia, è di creare un capro espiatorio, attribuendo all’immigrazione la responsabilità dei problemi economici e sociali.
Infine, esorta ad utilizzare lo slogan dei primi sindacalisti americani “Agitare Educare Organizzare, dove la parola più importante è organizzare”, ossia creare contatti, alleanze, e soprattutto agire sulla base della solidarietà”.

The Old Oak: ancora una volta tematiche sociali in primo piano

E parla proprio di solidarietà il suo ultimo film, The Old Oak. “È la piccola storia di un villaggio che in passato aveva una miniera di carbone, che viene chiusa come altre in Gran Bretagna circa quarant’anni fa, dopo che i minatori perdono la battaglia con Margaret Thatcher durante il grande sciopero”.
Loach racconta che quello dei minatori era il sindacato più politicizzato del paese: “le comunità erano forti e la solidarietà era all’apice, avevano creato le loro biblioteche, avevano centri sportivi, piscine, scuole, spazi comunitari”. Tutto collassò nel momento in cui vennero chiuse le miniere, senza creare attività economiche alternative, condannando all’abbandono e al degrado interi territori.
“All’interno di una di queste comunità nel 2016 arriva un gruppo di rifugiati siriani, che come loro non hanno nulla”, avendo attraversato il trauma di una guerra, le torture e le violenze, i campi profughi e la distruzione, “e che ora si trovano in un paese straniero dove non conoscono neppure la lingua e sono spesso vittime, da parte di alcuni cittadini, di epiteti razzisti”.
Ma fortunatamente il villaggio conserva ancora memoria dei giorni della solidarietà, quando durante gli scioperi venivano allestite delle mense comunitarie e chi non aveva più un salario poteva mangiare, e si organizza.

Il film, racconta Loach, “è una lotta tra speranza e disperazione”, dove la speranza è politica “perché non significa incrociare le dita ed esprimere un desiderio ma deve essere basata sulla possibilità reali di realizzare un cambiamento”, perché “solo percependo la propria forza si acquista la fiducia necessaria per riuscire a vedere la strada da percorrere”.

testo e foto Natascia Accatino
(17 novembre 2023)

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