Padre Ibrahim Faltas, francescano: una voce da Gerusalemme

Padre Ibrahim Faltas è un frate francescano, di origini egiziane, che da più di trentacinque anni vive e opera in Terra Santa, un territorio di cui conosce profondamente le tensioni e le contraddizioni e dove quotidianamente cerca di proporre azioni di pace ed occasioni di dialogo.
Anno 1964, laureato in filosofia e in teologia e ordinato sacerdote nel 1992, attualmente Vicario della Custodia di Terra Santa, in questi giorni è a Roma come testimone e portavoce del dramma che si sta consumando in Israele e Palestina. Padre Ibrahim Faltas ha incontrato il pubblico il 24 novembre alle 18 da Graffiti in via Latina 515 a Roma.

Padre Ibrahim Faltas: perchè da  Graffiti?

Graffiti è un’associazione, scuola di fotografia e casa editrice, voluta e presieduta da Gianni Pinnizzotto, che da trent’anni cerca di informare sul conflitto israelo palestinese organizzando viaggi nei territori occupati, per “portare le persone a toccare con mano e vedere”, dove il “vedere” ha portato negli anni alla pubblicazione di sei libri fotografici, i primi due introdotti proprio da Padre Ibrahim.
L’incontro tra Padre Ibrahim Faltas e Graffiti avviene nel 2004, due anni dopo l’assedio armato alla Basilica della Natività da parte dell’esercito israeliano, quando il suo intervento era stato risolutivo ai fini di un accordo, con gli anni Padre Ibrahim è diventato un amico e ha accolto l’invito dell’associazione a parlare dell’evoluzione di un conflitto che da settant’anni ciclicamente si riaccende ma che non si era ancora espresso con tanta violenza.

Padre Ibrahim Faltas: il momento è adesso

Secondo Padre Ibrahim, la comunità internazionale ha il dovere di agire ora, facendo pressione, perché la tregua appena iniziata possa portare alla fine del conflitto, per non rischiare di rimanere solo una pausa per lo scambio di ostaggi e prigionieri.
Ora è il momento per trovare delle soluzioni di pace, “adesso tutti parlano di due Stati, ma sono settant’anni che se ne parla, bisogna fissare una data. La Palestina è l’unico paese al mondo che vive in uno stato di occupazione”, e Gerusalemme è il cuore stesso del conflitto. Una città dove vivono cristiani, ebrei e musulmani, che deve diventare simbolo di pace, “luogo di tutti e aperto a tutti, perché Gerusalemme è il centro del mondo e può essere il punto di partenza per la pace nel mondo”.

Il dialogo come soluzione di pace

Ora che il 24 novembre la tregua è entrata in vigore, dopo quello che Israele chiama “il sabato nero”, quel 7 ottobre in cui, in un giorno, sono morti millequattrocento persone per mano di Hamas, tra civili e militari, dopo tutti i morti di Gaza, migliaia di feriti, di prigionieri, la distruzione di case, scuole, ospedali, centri di culto, è necessario agire perché non riprenda il conflitto. Perché vengano indette nuove elezioni, ad Israele e in Palestina, perché sarà necessario ricominciare da zero, ricostruire Gaza e non campi profughi in Egitto o in Giordania. Perché bisognerà trovare il modo di vivere insieme.
L’appello è al dialogo, all’incontro, all’aiuto congiunto e alla mediazione delle diverse nazioni per sollecitare soluzioni di pace.

Padre Ibrahim Faltas: incontro con Papa Francesco

Il dialogo che cerca da sempre di promuovere il Papa: “l’ho incontrato dopo i colloqui che aveva avuto, separatamente, con i rappresentanti di entrambe le parti, dodici parenti di ostaggi israeliani e dieci donne palestinesi con la famiglia a Gaza. Ha ascoltato la loro sofferenza, non lo avevo mai visto così provato, ha ascoltato i più colpiti di questa guerra, i gruppi più feriti in assoluto, uno aveva perso 10 membri della sua famiglia. Mi ha fatto pena”. Gli ha consegnato una lettera di Abu Mazen, “loro sono amici, si vogliono bene e si stimano. Il Santo Padre ha sempre detto che Abu è un angelo della pace, ha sempre odiato la violenza”.

Il 75% delle vittime sono bambini e donne

Tutti escono sconfitti da questa guerra, tutti continuano a soffrire, tutti hanno paura.
Padre Ibrahim Faltas ricorda che il 75% delle vittime sono donne e bambini.
Racconta che nella sua scuola a Gerusalemme, chiusa il 7 ottobre e riaperta due settimane dopo, i ragazzi sono tornati in classe diversi, “non erano più quelli di prima. E Gerusalemme è lontana dal conflitto. Cosa possono provare i bambini di Gaza, di Israele?”

Nell’introduzione a Children of Holy Land, edito da Graffiti, scriveva: “sono i bambini la vera essenza della pace, il simbolo più concreto” perché “sono “pieni di fiducioso abbandono, ricchi di bontà e puri. Ogni bambino è simbolo di pace e ha il diritto di vivere in pace”.

Padre Ibrahim Faltas: educare alla pace

Ma la pace non si costruisce da sola, bisogna educare alla pace: “Dal 2003, subito dopo l’assedio, abbiamo capito che questi problemi si risolvono con il dialogo, abbiamo mandato studenti in Giappone, per esempio, per le cerimonie di commemorazione di Hiroshima e Nagasaki. Palestinesi e israeliani che partivano nemici e tornavano amici”.
La realizzazione di quanto si auspicava e che, sempre nell’introduzione, scriveva: “stiamo cercando di portare avanti microprogetti per educare i bambini al dialogo, alla conoscenza dell’altro, alla libertà del pensiero, attraverso il gioco, attraverso i momenti di incontro tra palestinesi ed israeliani, con momenti di convivenza e di scambio”.
Perché “per volere veramente la pace, occorre costruire la pace”.
Commentando le foto di “The land of Palestine” aveva scritto che gli sguardi dei ragazzi palestinesi e israeliani sono identici, “contengono rabbia ed arroganza: negli uni, sostenute dalla disperazione generata dall’oppressione violenta; negli altri sostenute dalla paura del terrore violento”.
Ma dall’odio non può nascere nessuna soluzione, perché “rende incapaci di essere uomini, sia per chi lo prova sia per chi lo subisce”.

Natascia Accatino
(26 novembre 2023)

 

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