“Ti racconto una storia. Ti racconto di me”

Biblioteca Europea, 29 febbraio ore 16. Ti racconto una storia. Ti racconto di me si legge sulla locandina dell’evento organizzato dal Centro Astalli. Chi si è registrato può scendere le scale dove, nella luminosa sala lettura, ci sono grandi tavoli quadrati. Ad ognuno di questi è seduto un rifugiato o una rifugiata del Centro, che per qualche ora diventerà “libro vivente” e potrà raccontarsi a chi decide di sedersi ed ascoltare la sua storia. Non un monologo ma un dialogo, un momento di scambio e di conoscenza in cui sarà possibile fare domande ed interagire, immedesimarsi e finalmente dare un volto ed una voce a chi troppo spesso rimane solo un numero, un dato statistico.

La biblioteca vivente: un’occasione per capire

I rifugiati sono soprattutto numeri, dati statistici, ondate migratorie vaghe e minacciose. Invece, dietro ognuno di loro c’è una storia che, quando si prende il tempo di ascoltare, si capisce; ci sono paure, speranze e nostalgie che, guardandosi negli occhi, sono simili alle nostre. Perché ascoltando davvero, parlandosi, diventa naturale chiedersi cosa avremmo fatto noi al posto loro, se avremmo avuto quella forza e quel coraggio, se la disperazione ci avrebbe paralizzato oppure sarebbe stata la spinta per farci partire, se saremmo stati disposti a lasciarci tutto alle spalle e buttarci nell’ignoto o saremmo invece rimasti ad aspettare, se la paura sarebbe stata più forte della necessità di andare o se l’avremmo aggredita, consapevoli dei rischi ma senza immaginare veramente fino a che punto possa spingersi l’orrore. I paesi cambiano, i governi, i paesaggi, i nomi propri e le lingue ma cosa può fare chi è nato nella parte sbagliata del mondo se i diritti che noi diamo per scontati ed universali non esistono più o non sono mai esistiti, se il deserto avanza e chi è contadino non può coltivare la sabbia, se chi vuole studiare non può se non ha soldi per pagare la scuola, se chi manifesta contro un’ingiustizia viene imprigionato e poi costretto a scappare, se si può essere rapiti, violentati, picchiati e poi barattati per quel carico di droga che tuo padre poliziotto ha sequestrato alla frontiera?Ascoltare mette in luce le enormi disparità economiche, sociali, politiche, ambientali e fa riflettere su quanto l’essere nati nella parte “giusta” della terra sia stata in fondo una questione di fortuna, e quei diritti così facilmente dati per scontati vadano invece difesi con le unghie e con i denti e vigilati, e protetti.

Nelle scuole: “Finestre. Storie di rifugiati”

L’idea della “libreria vivente” prende spunto da “Finestre. Storie di rifugiati”, un progetto analogo che da oltre vent’anni il Cento Astalli porta avanti nelle scuole medie e superiori che ne fanno richiesta. Sono gli stessi rifugiati che il Centro ha aiutato e sta continuando ad accompagnare nel corso del processo di integrazione e che si sono resi disponibili a raccontare sé stessi e la loro vita agli studenti. Come racconta Francesca Cuomo per Astalli, “lo scopo è lo stesso. Investiamo molto nelle giovani generazioni, per creare una cultura del dialogo e dell’accoglienza a partire dalla tutela dei diritti umani. Creiamo occasioni di incontro tra persone che altrimenti non si incontrerebbero, cerchiamo di organizzare attività pubbliche e culturali per incoraggiare l’apertura verso l’altro per scoprire cosa c’è dietro una migrazione forzata. Cerchiamo di dare la parola ai rifugiati per permettergli di raccontarsi per chi sono, per il loro passato ma soprattutto per quello che vogliono essere”. 

La voce di chi non ha voce

Mady ha 35 anni e viene dal Mali, un paese dell’Africa occidentale dove il 90% del territorio è la sabbia del Sahara, che continua ad avanzare. Come le incursioni dei Jihadisti islamici che seminano morte e terrore. Il suolo è sempre più arido e l’acqua sempre più scarsa. L’agricoltura è quasi scomparsa. Come primogenito ha la responsabilità di sostenere la sua famiglia, ma non ha potuto studiare, è cresciuto con i nonni e otto fratelli e la Libia sembrava l’unica soluzione. Parte, senza informazioni, le raccoglie per strada. Il deserto, l’Algeria, la Libia. Trova lavoro come panettiere, manda soldi a casa, risparmia per poter tornare ma dopo due anni scoppia la guerra. Bombardano e Gheddafi vuole cacciare tutti dal paese. Non aveva mai pensato di venire in Europa, non aveva mai visto neppure il mare. Aveva già conosciuto l’orrore del deserto, non ancora quello del mare. Arriva a Lampedusa il 13 maggio 2011, poi a Sicignano dove però non c’è futuro, infine Roma. Sono trascorsi dodici anni. Ci sono stati i corsi di alfabetizzazione, lavori saltuari, la richiesta dei documenti. Alla comunità di Sant’Egidio diventa mediatore linguistico e culturale, inizia a candidarsi nelle varie cooperative e finalmente, nel 2015, il contratto a tempo indeterminato. Durante il covid il lavoro sulle navi quarantena. Ha capito che ama il contatto con il pubblico, stare tra la gente. Vuole essere visibile per gli invisibili, la voce di chi non ha voce. È allegro, divertente, spigliato. È felice a Roma, ma vuole tornare in Mali, “perché il legno del fiume non può diventare coccodrillo”.

I libri viventi

Man mano che i racconti avanzano e le immagini di quanto ha lasciato e vissuto prendono forma nell’immaginazione, chi ascolta inizia -prima timidamente e poi sempre più frequentemente- a fare una domanda, a chiedere un approfondimento, una spiegazione. Quello che era iniziato come un racconto, un monologo, si trasforma con naturalezza in un dialogo corale e aperto, sempre diverso come il pubblico che si alterna a rotazione. Accade spesso, poi, che qualcuno tracci un ponte tra quanto è stato raccontato e la sua storia, trovandovi analogie, differenze o spunti di riflessione. Ma sul volto di tutti, quando salutano e si alzano per cambiare postazione, c’è lo stesso sorriso di gratitudine.  Ma anche un velo di tristezza. La finestra si è aperta.

Quello del “libro vivente” è uno strumento innovativo riconosciuto dal Consiglio d’Europa per la promozione del dialogo interculturale, dell’abbattimento delle barriere e dei pregiudizi, perché solo riconoscendosi come tutti appartenenti alla razza umana si può combattere veramente la paura dell’altro e l’indifferenza per l’altro. La prossima “libreria vivente” sarà il 4 giugno a Testaccio, alla Biblioteca Enzo Tortora di Roma.

Natascia Accatino
(3 marzo 2024)

 

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