Yezidi, minoranza religiosa curda, in mostra per non sparire

Il 14 marzo alle ore 17 verrà inaugurata alla Biblioteca Europea di Roma una mostra dal titolo “Luoghi di memoria. Comunità yezida e spazio sacro, un’esposizione fotografica ed informativa dedicata agli Yezidi, la minoranza religiosa di etnia curda che si distingue in Medio Oriente per l’originalità dei suoi tratti distintivi e che, soprattutto dall’ultimo decennio, ha urgenza di essere preservata e difesa.

La comunità yezida

Quella yezida è una comunità di circa un milione di persone, che vive soprattutto nel Kurdistan iracheno, ma che è insediata anche in Siria, Turchia, Armenia e Georgia, con varie diaspore in Europa, negli Stati Uniti, in Canada e in Australia. Un popolo senza Stato, che il 3 agosto del 2014 è stato vittima di un feroce genocidio perpetrato dall’ ISIS nella zona di Mossul, nel nord dell’Iraq, perché ritenuto una setta religiosa di infedeli e “adoratori del diavolo”. Un brutale attacco che non solo ha ucciso e ridotto in schiavitù migliaia di uomini, donne e bambini e trasformato in profughi chi è riuscito a scappare, ma che ha anche distrutto il patrimonio materiale ed immateriale di un popolo la cui identità culturale è poco conosciuta e costituisce un particolarismo religioso unico nella regione.

Sorta in seno alla Mesopotamia, in quella che veniva considerata “la culla della civiltà”, dove hanno prosperato Sumeri, Babilonesi, Assiri, Fenici, la religione yezida ha infatti mantenuto aspetti dalle culture mesopotamiche e iraniche arcaiche, elementi dell’area mediterranea e anatolica e li ha integrati con il misticismo cristiano, islamico e anche di derivazione gnostica, sapendone riflettere l’aspetto eterogeneo e multiculturale.

 La mostra

Curata dall’archeologo curdo siriano Ghiath Rammo, la mostra prende spunto proprio dalla sua tesi di dottorato e dal lavoro di ricerca sul campo che ha svolto nella zona dello Sheikhan, nel nord ovest iracheno, iniziato nel 2021 e finanziato dalla Sapienza attraverso il progetto MAIKI (Missione Archeologica Italiana nel Kurdistan Iracheno), presente sul territorio dal 2006.

“Quando nel 2014 si è iniziato a parlare di curdi, l’attenzione internazionale era posta soprattutto sull’aspetto militare, mancavano completamente informazioni sull’aspetto culturale e storico. L’ISIS aveva distrutto 68 siti religiosi e archeologici. Avendo studiato archeologia, ho pensato che una ricerca sui santuari yezidi dal punto di vista sociale, architettonico, antropologico e filologico potesse essere interessante sotto molteplici aspetti. Ho lavorato nello Sheikan, la parte meno colpita del Kurdistan iracheno. Ho visitato 37 località, schedato 202 santuari di diverse dimensioni, partecipato alle celebrazioni religiose ed intervistato un’ottantina di persone, tra personalità politiche e religiose, tra cui i micêwir, i custodi che si prendono cura di preservare questi luoghi sacri e che accolgono i fedeli con la recita delle preghiere, con l’accensione delle lucerne a olio e con la benedizione dei peri, i tessuti colorati annodati che sono appesi alle pareti dei santuari”.

Quella Yezida è sempre stata una cultura poco conosciuta, trasmessa unicamente in forma orale e con poche fonti da cui un ricercatore possa attingere. Le prime notizie storiche sullo Yezidismo nella sua forma attuale risalgono al XII secolo. In Occidente la religione yezida ha iniziato ad essere oggetto di interesse presso il pubblico e l’accademia a partire dal 1850 quando viaggiatori, archeologi e missionari di passaggio iniziarono a descrivere queste comunità e ci dobbiamo spingere addirittura fino all’ultimo decennio del secolo scorso perché gli stessi yezidi iniziassero a conservare in forma scritta la loro memoria storica e culturale.

Avere la possibilità di divulgare i risultati maturati diventa quindi interessante non solo per l’ambiente accademico ma anche per un pubblico più vasto e non specialistico. Come spiega Gianfilippo Terribili, iranista e vicedirettore di MAIKI, “la narrazione è parte integrante del lavoro del ricercatore contemporaneo, dobbiamo trovare modi e strumenti per comunicare in forma comprensibile ciò che facciamo alla società civile. Abbiamo subito intravisto un potenziale nella ricerca che Ghiath ha svolto per il dottorato, che andava al di la dei risultati scientifici e dei dati che ha raccolto e analizzato, perché poteva essere trasformata e tradotta in funzione di una sensibilizzazione più ampia dell’opinione pubblica su temi relativi alle minoranze etnico-religiose e alla conservazione dell’identità culturale”.

Con questo intento è stata scelta la Biblioteca Europea ad ospitare la mostra, in quanto rappresenta, nella rete delle biblioteche civiche di Roma, la struttura specializzata alla diffusione della cultura e dei valori di tutti i popoli, non solo europei, e sono stati realizzati quindici pannelli di testi e foto, che presenteranno al pubblico la comunità yazida nei vari aspetti storici, culturali, antropologici e religiosi: identità e territorio, patrimonio a rischio, clero e comunità, santuari e rituali, inni sacri e qewal (cantori religiosi), sfide e prospettive.

Spazio sacro per rigenerare l’identità

Se la conservazione del patrimonio materiale e immateriale è importante per ogni comunità, lo diventa ancora di più per quella yezida, con un patrimonio culturale ed identitario a rischio e molte diaspore disperse nel mondo, dove i luoghi di culto non sono presenti ed il rischio di perdere il contatto con le proprie radici è reale.

“Per questo motivo- continua sempre Terribili- abbiamo voluto, in questa mostra, enfatizzare la relazione tra individuo, comunità e luogo caricato simbolicamente e ritenuto sacro: nel momento in cui si rompe questo vincolo c’è il rischio di assimilazione culturale in un mondo in cui l’omologazione è sempre più pressante. La conservazione di questi patrimoni materiali ed immateriali deve essere assolutamente tutelata. Il luogo sacro è un contenitore di esperienza non solo religiosa ma anche emozionale, è qualcosa che all’interno della società moderna metropolitana abbiamo un po’ perso. È un luogo dove non soltanto si venera ma dove si cura, in primo luogo, sé stessi e il gruppo, dove il gruppo si rigenera e si ricompongono i vincoli che ne costituiscono il corpo sociale. Un aspetto curativo che è difficile da riprodurre in altri contesti ed il cui abbandono ha favorito l’isolamento dell’uomo moderno”.

Luoghi di memoria. Comunità yezida e spazio sacro  è visitabile dal 14 marzo al 30 aprile 2024 presso la Biblioteca Europea di via Savoia 13/15 a Roma.                            Inaugurazione 14 marzo ore 17.

Natascia Accatino
(11 marzo 2024)

 

Leggi anche: