25 Aprile, Festa della Liberazione: cosa pensano i cittadini stranieri

Il 25 Aprile Festa della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. È il giorno in cui le truppe tedesche e i fascisti che avevano aderito alla Repubblica di Salò furono costretti ad abbandonare Milano e Torino. La guerra continuò ancora fino ai primi di maggio. L’Italia si era arresa due anni prima: l’8 settembre 1943 il Governo italiano aveva firmato l’armistizio. A pagare il prezzo più alto, in tutto il Paese, fu la popolazione civile. Le città bombardate dagli alleati, le truppe tedesche che risalirono lentamente verso Nord, L’Italia centrale e settentrionale divenne un campo di battagli. Alla fine della guerra, nel 1945, si contarono 475.000 morti fra civili e militari.

L’Italia è stata liberata, da chi?

Col tempo i ricordi sfocano, la storia studiata sui libri di testo, appare lontana ed estranea: l’Italia è stata liberata. Oggi molti si chiedono da chi? Da cosa? Eppure, la guerra lasciò ferite indelebili, chi aveva partecipato al conflitto, poco più che ventenne, militare o partigiano narrava di quel periodo buio vissuto come un incubo da cui non riusciva a liberarsi. Chi era bambino rammenta la fame, la paura, la fuga, il caos. Invece, la narrazione orale è fondamentale per capire perché solo ascoltando si capisce che ciò che accadde è reale e patisci insieme a chi non dimentica che l’Italia è stata liberata dal nazifascismo.
Se a molti i termini Liberazione o Libertà sembrano desueti e obsoleti, per altre persone che si sono rifugiate in Italia queste parole significano ancora molto. Anche attraverso le loro testimonianze si può riuscire ancora oggi a dare senso alla Festa della Liberazione.

Donne Vita e Libertà
Manifestazione di Donne Vita e Libertà per la democrazia in Iran, 16 settembre 2023 a Roma

La lotta delle donne iraniane per la Libertà

Parisà vive in Italia dal 1996. Lei la rivoluzione islamica del 1979 l’ha vissuta da bambina. “Gli iraniani avevano fatto la rivoluzione per avere più Libertà, contro la dittatura dello Scià ed invece abbiamo fatto un passo indietro, dalla dittatura siamo passati alla teocrazia” spiega Parisà, “il malcontento non si è mai sopito da quel 1979, l’anno in cui la Rivoluzione è stata tradita”. Lei combatte la sua battaglia qui in Italia, come attivista dei diritti della donna perché di questo è convinta, “Le nostre partigiane sono le donne. Escono di casa e non sanno cosa accadrà loro, potranno essere molestate, picchiate, stuprate, arrestate ma escono lo stesso. Pensa a quello che è accaduto a Masha Amini”, la giovane arrestata perché non indossava bene il velo e morta in seguito alle percosse ricevute dalla polizia religiosa iraniana nel 2022, secondo un rapporto di Amnesty, le donne iraniane subiscono delle violenze inenarrabili.

Il velo che si impone alle donne ha un potere simbolico

Il popolo iraniano ha un buon livello culturale, Parisà prende ad esempio la situazione del cinema iraniano, “registi come Asghar Farhadi o come Jafar Panahi, non possono più fare film in Iran. Eppure, le loro opere, “Il cliente”, “Il diavolo non esiste”, “Tre volti”, “Taxi Teheran” erano una denuncia della realtà iraniana. “C’è un’arte per fare qualunque cosa e i registi sapevano come aggirare la censura”, mi spiega Parisà. Non bisogna però cadere nel tranello di pensare che la cesura renda più creativi, il lavoro degli intellettuali è sempre più difficile. Tra l’altro, le cose sono peggiorate questi ultimi anni, molti registi sono finiti nella lista nera ma loro continuano a girare film e ad inviarli in Occidente. “Un mio amico” racconta Parisà “aveva inviato un file audio in cui aveva registrato la lettura di un copione, la censura iraniana ha intercettato il file e proibito al mio amico di venire a Roma. Lui il film l’ha fatto lo stesso e l’ha diretto su zoom”. Nessuno può sapere se il regime teocratico iraniano è prossimo a cadere perché secondo Parisà, “Fare un censimento è difficile ma ci sono segni evidenti di perdita di consenso, fino ad un anno fa si organizzavano delle contromanifestazioni in risposta a quelle di chi contestava il regime ma ora non ci riescono più. Ma non si manifesta nemmeno a favore della Palestina per non cadere nella rete del regime, il conflitto con Israele ha segnato una battuta d’arresto delle proteste.” La guerra devasta e zittisce le voci discordanti. Nessuno vuole vedere cadere l’Iran, “il popolo si compatta. Le guerre servono anche a quello! “Parisà ha una fiducia incrollabile nella forza delle donne, la Liberazione dal potere teocratico avverrà attraverso loro, “Il velo ha un potere simbolico enorme, il velo che si impone alle donne è come il muro di Berlino, quando le donne lo toglieranno sarà il crollo del regime”.

Adam, da MSNA a mediatore culturale in Italia

Adam è fuggito dal Sudan quando aveva 12 anni, vive a Roma da 23 anni. Ha studiato, è laureato in Scienze della Mediazione linguistica e sta per laurearsi in Scienze per lo Sviluppo della Cooperazione Internazionale all’Università La Sapienza di Roma. Adam parla Italiano ma anche Arabo, Inglese, Francese, Tedesco e Spagnolo oltre al Massalit, il dialetto parlato dal gruppo etnico non arabo originario del Darfur, regione del Sudan, dove si perpetrò uno degli eccidi più efferati della storia del millennio. Da allora, Adam non è più tornato nel suo Paese, il Sudan, è cittadino italiano. “Hai più visto tua madre?”. “No, non l’ho più vista, so che vive in un campo di sfollati in Ciad”. Il numero di sfollati totali dal Sudan ha raggiunto la cifra di 8 milioni e mezzo e più di 2 milioni si sono rifugiati in Ciad. Da quando Adam è andato via, la pace non è più tornata in Sudan. “Non è un problema religioso” spiega, “ma solo una questione di potere, la popolazione araba non tollera la presenza della popolazione di etnia africana”. Cosa chiedono? “La soluzione potrebbe essere quella di uno Stato indipendente ma non lo faranno mai”. Adam è convinto che la situazione del Sudan non è destinata a migliorare e non ci vuole più tornare. Amnesty ha denunciato violenze e crimini perpetrate ai danni dei civili, soprattutto donne e bambini, distruzioni di interi villaggi, uso delle armi chimiche. Dal 2003 ai nostri giorni, i crimini non sono cessati. “Solo oggi ad esempio” dice Adam “sono arrivate a Roma 120 persone dal Sudan e dal Sud Sudan, qui siamo tutti uniti, cerco di aiutare i paesani come posso, non ci sono problemi religiosi. In questi ultimi tempi, è diventato molto più difficile raggiungere l’Europa”. Lui insieme ad altri sono ospitati in famiglie italiane. Cosa significa per Adam e per gli altri sudanesi che sono fuggiti dal loro Paese, la parola Liberazione? Adam ha l’amaro in bocca “Liberazione per loro non significa nulla. E poi, cosa credete, anche qui in Italia c’è molto da fare. I problemi ci sono sempre stati ma si è fatto finta di non vedere. C’è tutto l’interesse a che gli stranieri non si integrino”.
Dallo sconforto trapela però anche la speranza, Adam pensa che i gli africani, i sudanesi “Si dovrebbero aiutare a casa loro e non dando i soldi ai vari leader africani. L’unione europea deve fare attenzione, i soldi finiscono nelle mani sbagliate. Ci sarebbe un modo per aiutare i paesi africani, mandare personale qualificato e studenti a lavorare sul posto, far studiare i giovani africani. Se un Governo fa bene non importa che sia di destra o di sinistra. Istruire i giovani, dargli la possibilità di emanciparsi, la religione è un tabù da cui bisogna liberarsi. Bisogna distinguere fra religione e cultura, dove c’è poca cultura anche la religione diventa più repressiva ed intollerante”. Insomma, l’ignoranza è la madre di tutti i mali, parola dopo parola, Adam si emancipa dalla sua stessa sfiducia e finalmente risponde “Quello che serve è la Liberazione da uno stato di bisogno”.

L’educazione condizione necessaria per essere liberi

Sikh
La comunità Sikh romana in festa (foto gma)

Il tema dell’istruzione torna anche con Navan. Lei è una donna italiana Sikh, è arrivata in Italia 13 anni fa quando aveva 14 anni, con madre e fratello avevano raggiunto il padre che era emigrato dieci anni prima. All’epoca Navan parlava il panjabi la lingua nel Panjab, la regione dove vive la maggioranza della popolazione Sikh, l’Indi e l’inglese, ma non conosceva una parola di italiano. I primi anni all’Istituto di Istruzione Superiore Paolo Baffi di Fiumicino sono stati difficili, le era stata assegnata un’insegnante di sostegno, dice “è stato duro, non riuscivo a seguire le lezioni, ero molto triste”. Però non ha mai pensato di tornare in India, “Ci sono tornata due volte ma per una vacanza, per i ricchi l’India è un Paese fantastico, ma chi ha uno stipendio medio non vive bene. In Italia si sta meglio”. Chi ha i soldi in India può accedere alle scuole migliori, ai posti di lavoro più remunerativi e governa. I Sikh sono una minoranza, appena il 2% della popolazione indiana. Anche in Italia ci sono delle minoranze linguistiche ma godono di uno statuto speciale e scuole dove si insegna nella lingua madre. Per i Sikh non funziona così, dice Navan, “In India non c’è uno statuto che ci tuteli. Sì, c’è un partito e un ministero che rappresenta i Sikh ma è solo facciata. Nelle scuole si insegna indi e inglese. I Sikh sono discriminati in tutto, nella selezione dei posti di lavoro, nella scuola. Del resto anche se il diritto allo studio è stato garantito dall’86° emendamento del 2002, per i ragazzi dai 6 ai 14 anni, il diritto allo all’istruzione continua ad essere negato a molti. Circa il 25% della popolazione è analfabeta. Anche la religione non trova un effettivo riconoscimento da parte del governo centrale, “I luoghi di culto per i Sikh sono pochi o nulli”. Del resto, la discriminazione religiosa in India non riguarda solo i Sikh ma anche le altre religioni.
Navan ora collabora con la CGIL Lazio, si occupa per lo più di aiutare chi lavora nei campi dove i problemi sono tanti e i braccianti, molti i Sikh, sono costretti a lavorare per 13/14 ore senza alcuna tutela. La lotta contro lo sfruttamento nelle campagne è difficile, “Molti vanno a lavorare nelle aziende agricole del Nord Italia, dove i diritti dei lavoratori sono più rispettati”. Non ha dubbi, la liberazione per lei ha il sapore di quello che ha lasciato in India e passa per la libertà per ogni persona di vivere come vuole, di avere la sua cultura e la sua religione senza per questo essere discriminata” e non ha dubbi sulla decisione presa da alcuni Presidi che hanno deciso di chiudere le scuole per un giorno in occasione della fine del Ramadan, “Hanno fatto bene”.

La Liberazione non è concetto legato al passato

Liberazione non è un concetto legato al passato ma si riferisce sempre a popoli oppressi da una dittatura, discriminati per la religione o il sesso, o in fuga dalla guerra e dalla povertà. Un elemento accomuna Parisà, Adam e Navan: l’importanza dell’educazione, della cultura. Le persone si muovono ed emigrano sempre per lo stesso motivo, ora come ai tempi del fascismo e del dopoguerra qui in Italia: fuggono da qualcosa o da qualcuno alla ricerca di una vita migliore.

Le parole di Parisà risuonano come un messaggio di speranza: un velo come un muro, quando cadrà dal capo delle donne, allora sarà anche la fine dell’oppressione, dell’annichilamento di cui sono state vittime per tanto, troppo tempo.

Livia Gorini
(23 Aprile 2024)

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