Road Map: diritto d’asilo, libertà di movimento, paesi “sicuri”

Road Map per il diritto d’asilo e la libertà di movimento è il titolo dell’assemblea, che si è svolta il 4 luglio, promossa da nove organizzazioni –Forum per Cambiare l’Ordine delle Cose, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA), Rivolti ai Balcani, Europasilo, Italy must act, RefugeesWelcome Italia, Mediterranea Saving Humans, Rete comunità solidali, e Stop Border Violence. L’obiettivo è stato fare il punto della situazione internazionale, dopo le elezioni europee, e promuovere le successive iniziative, volte a contrastare il nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo.
«Così vogliamo riportare all’interno dell’Europa i suoi valori fondanti: democrazia, libertà, uguaglianza», hanno più volte affermato le nove associazioni che, negli ultimi sei mesi, hanno girato l’Italia con l’obiettivo di esaminare le nuove norme europee, approvate dal Parlamento ed adottato dal Consiglio nel mese di maggio, con un processo che è partito dal basso, tra le reti, i singoli e le organizzazioni che si occupano di migrazioni, dai contesti metropolitani e cittadini.

Road map per un Europa dal basso: l’assemblea del 4 luglio

“Le iniziative finora intraprese hanno consentito” come ha riferito Teresa Menchetti, del Forum, durante l’assemblea, ”di portare la nostra voce e quella dei migranti al mondo politico istituzionale, sia a Bruxelles, dove una delegazione della rete ha incontrato alcuni europarlamentari, e consegnato una lettera pubblica prima del voto, invitandoli a non votare a favore del Patto, così come era stato fatto all’assemblea organizzata dal PD lo scorso gennaio, invitando gli eurodeputati di quel partito a non votare per le nuove norme europee. “Ora dobbiamo programmare i prossimi passi ” –prosegue la Menchetti -“e presentare un documento, nato dalle assemblee territoriali, una lettera agli eletti del parlamento europeo e alle segreterie delle forze politiche per rafforzare  l’opposizione contro la deriva securitaria e lesiva dei diritti, cui porterà inevitabilmente il patto europeo.
Teresa Menchetti ha poi menzionato i passaggi chiave della procedura su cui porre l’attenzione. “ Nel mese di luglio è prevista la strutturazione di un coordinamento nazionale, ogni paese membro dovrà fornirsi di questo coordinamento per poi presentare, nel mese di ottobre, una proposta del proprio piano nazionale che sarà ufficializzata nel mese di dicembre.” “ Ci aspetta e ci spetta” dice l’attivista del Forum “ un’azione di monitoraggio, fino a dicembre, riguardante il nostro paese ma anche gli altri paesi, per capire le proposte e i piani di ogni singolo paese sul patto e sulla sicurezza, in vista della fine dell’anno. “ Nel 2025, ci sarà poi l’assegnazione, da parte della Commissione, dei fondi, per poi arrivare alla strutturazione definitiva del patto, a metà del 2026, quando i paesi membri dovranno implementarlo con i loro piani” “sembrano obiettivi lontani, conclude la Menchetti, ma dobbiamo cominciare ora a monitorare la situazione per cercare di arginare la deriva sicuritaria dei diritti che si sta prospettando in tutta Europa”.

Road map: la lettera in 10 punti

E’ stata infine presentata la bozza della lettera, suscettibile di correzioni e condivisa con tutte le persone presenti all’assemblea, che la rete ha intenzione di inviare ai parlamentari europei e alle forze politiche entro settembre.
La lettera è una proposta aperta, articolata in 10 punti che in premessa afferma:” Crediamo fermamente in un sistema europeo comune di asilo come quadro giuridico e politico essenziale per garantire la condivisione delle responsabilità, la solidarietà tra gli Stati membri e la protezione delle persone in cerca di asilo nell’UE. Per questo, in vista dell’avvio della nuova legislatura, reiteriamo il nostro appello ad un cambio di passo delle politiche europee in tema di migrazione e asilo che metta al centro la tutela dei diritti e della dignità delle persone migranti e rifugiate e che si basi sulle seguenti azioni :
1. Rafforzare ed incrementare le vie di accesso sicure e legali in Europa, e garantire l’accesso al territorio europeo per chi cerca protezione;
2. fermare l’uso della detenzione amministrativa per i/le richiedenti asilo. Migliaia di persone, inclusi minori, vengono detenute senza aver commesso alcun reato. Chiediamo che si ponga fine all’utilizzo della detenzione amministrativa in ambito migratorio, che si chiudano i centri esistenti, come i CPR, e i centri di trattenimento di fatto come gli hotspot;
3. fermare i programmi di realizzazione di strutture di detenzione per migranti e rifugiati in stati terzi (come nel caso dell’Italia con l’Albania);
4. promuovere il pieno rispetto del diritto di asilo. Il ricorso diffuso alla procedura accelerata di frontiera, che impone un esame sommario delle domande di asilo, basato sulla provenienza geografica delle persone, è una seria minaccia al pieno esercizio del diritto di asilo e rischia di causare respingimenti verso Paesi non sicuri.;
5. vigilare, in modo critico, sugli accordi stipulati dall’Unione europea con Paesi terzi, in modo da garantire il rispetto dei diritti fondamentali;
6. istituire una missione di soccorso europea come da Risoluzione 2023/2787(RSP) votata a luglio del 2023, dal precedente Parlamento europeo;
7. orientare le scelte degli Stati Europei verso la costruzione di un sistema unico di accoglienza diffusa a misura di persone, con unità abitative di piccole dimensioni, integrate nei territori, in cui le persone abbiano un ruolo da protagoniste nel loro percorso verso l’autonomia;
8. abolire l’agenzia Frontex nella sua attuale configurazione e mandato che ha prodotto enormi distorsioni;
9. vigilare rigorosamente affinché l’implementazione del Patto migrazione e asilo, soprattutto per quanto riguarda l’applicazione dei regolamenti screening e procedure, sia aderente agli standard internazionali;
10. operare, in ambito italiano, una totale inversione delle attuali politiche e delle prassi amministrative che metta al centro dell’agenda politica azioni che tutelino le persone migranti dallo sfruttamento e dalla precarietà di soggiorno.
La lettera, che verrà pubblicata sulle pagine delle nove associazioni promotrici della Road map è suscettibile di modifiche, da parte di tutti gli attori che hanno partecipato alle assemblee.
Il Forum si mobiliterà, ha infine concluso Giovanna Cavallo, sempre del Forum, oltre che per i prossimi appuntamenti riguardanti gli step del Patto, anche per le emergenze: come accoglienza, i flussi, i minori, le tempistiche dei permessi di soggiorno, cercando un’interlocuzione con il Dipartimento di Pubblica Sicurezza e con il Ministero degli Interni.

Road map : le conseguenze del patto-procedure di frontiera

Come sappiamo il Patto Europeo è composto da 10 regolamenti immediatamente applicabili le cui azioni costringeranno migliaia di persone in un limbo giuridico dove sarà difficile esercitare il diritto alla difesa.
Un’importante novità della riforma è la procedura di frontiera obbligatoria: le persone che rappresentano un rischio per la sicurezza, che inducono in errore le autorità fornendo informazioni false o omettono informazioni o i richiedenti asilo che provengono da paesi considerati sicuri o con un basso tasso di riconoscimento (inferiore al 20%), saranno sottoposti a una procedura di screening pre-ingresso, che comprenderà l’identificazione, la raccolta di dati biometrici e i controlli sanitari e di sicurezza, per un periodo massimo di sette giorni. Lo scopo della procedura è quello di valutare rapidamente alle frontiere esterne dell’UE se le domande sono infondate o inammissibili. Le persone sottoposte alla procedura di frontiera per asilo non sono autorizzate a entrare nel territorio dell’UE.
Una risposta repressiva e restrittiva ad una crisi che non trova riscontro nei numeri perché gli arrivi di migranti nell’UE sono in calo rispetto al picco del 2015 di oltre un milione di persone. La nuova Direttiva in materia di accoglienza prevede che le persone vulnerabili, e in particolare i minori o le vittime di violenza e tortura, debbano essere protette tempestivamente, prevedendo obblighi di informazione tempestiva sulla portata dei loro diritti e la possibilità di richiedere assistenza legale gratuita già nel corso della procedura amministrativa. Poi però si prevede che anche queste categorie, per ragioni di sicurezza, siano oggetto delle cosiddette procedure di frontiera che riducono di fatto e di diritto la tutela dei diritti delle persone e che possono portare anche a decisioni di espulsione con scarsa possibilità di ricorso al giudice.

Road Map: Il patto e i paesi “sicuri”

Com’è noto, un decreto interministeriale dello scorso maggio, ha esteso la lista dei Paesi di origine considerati “sicuri”.
Mentre si rimanda a data da destinarsi l’apertura dei centri in Albania, inizialmente prevista per il 20 di maggio, si procede ad aumentare la lista dei paesi considerati sicuri per i rimpatri di migranti irregolari, che nel precedente decreto comprendeva: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia e Tunisia.
Oltre a Bangladesh ed Egitto, nell’ultimo aggiornamento della lista, pubblicato in Gazzetta ufficiale, secondo quanto stabilito dal decreto del ministero degli Esteri in concerto con quello dell’Interno, si aggiungono quattro paesi: Camerun, Colombia, Perù e Sri Lanka.
Con i nuovi sei si arriva a quota 22. La prassi delle liste non è obbligatoria e cambia da paese a paese. Basti pensare che la Spagna non la ha, mentre quella tedesca si compone di 9 stati e quella maltese di 24.
Cambia così la procedura per ottenere la protezione internazionale se il paese d’origine del richiedente è considerato un paese sicuro: la sua domanda sarà soggetta ad esame prioritari e sarà alta la possibilità che questa sia dichiarata manifestamente infondata se il richiedete non invoca “gravi motivi” per considerare la sua permanenza in quel Paese non sicura a causa della situazione particolare.
La decisione di includere tra i paesi sicuri Bangladesh ed Egitto ha fatto molto discutere.
Come si rileva dal cruscotto statistico del Ministero degli Interni. Il Bangladesh è il primo paese di provenienza dichiarato da chi sbarca via mare su un totale di 26.701 persone sbarcate entro il 5 luglio, 5728 provengono dal Bangladesh; l’Egitto è quinto con 1756 persone ed è difficile pensare ad esso come ad un paese sicuro quando ancora non si è concluso il caso Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso in quel paese da esponenti dei servizi segreti e nel quale “migliaia di persone critiche verso il governo o percepite come tali rimanevano arbitrariamente detenute e/o perseguite ingiustamente. I casi di sparizione forzata e di tortura e altro maltrattamento sono rimasti dilaganti”(Rapporto Amnesty International 2023).
E’ chiaro l’intento del governo italiano, includendo questi due paesi, di scoraggiare le partenze e limitare il numero delle persone di queste due nazionalità che arrivano tramite sbarchi.
Ugualmente colpisce l’inserimento all’interno dell’elenco di un paese come la Nigeria, caratterizzata tuttora da una condizione di violenza generalizzata in molte aree del paese, o anche della Tunisia, dove il governo ha promosso recentemente una sistematica campagna di discriminazione contro le persone che provengono dall’Africa sub sahariana.
A pensar male, viene il sospetto che il motivo di un così ampio allargamento derivi dall’esigenza di attuare il protocollo con l’Albania, posto che potrebbero essere lì trattenuti solo i richiedenti asilo provenienti da Paesi di origine sicura.

Road Map: patto europeo – quando un paese si definisce sicuro

Il paese d’origine del richiedente è definito “sicuro” in base alla normativa attuale (art.2 del D.Lvo n. 25/2008 e Direttiva 2013/32/UE ) “se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.
La Presidente di Magistratura democratica, Silvia Albano, in proposito sottolinea che “il decreto Ministeriale è una norma secondaria, pertanto deve rispettare tanto le fonti sovraordinate, come la Costituzione e la normativa della UE, quanto la legge ordinaria”; In altre parole nessun automatismo volto a denegare le domande in ragione della sola provenienza del richiedente può essere ammesso: i giudici dovranno verificare se il Paese designato come sicuro con decreto ministeriale, possa essere effettivamente considerato tale in base a quanto stabilito dalla legge.
Cosa che è già avvenuta, ad esempio, per la Tunisia: i  giudici hanno considerato il paese non sicuro, ad esempio il tribunale di Firenze e, da ultimo il Tribunale di L’Aquila, con il decreto del 26 febbraio 2024, ed hanno accolto i ricorsi dei ricorrenti.
Nadia Luminati
(8 luglio 2024)
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