Viviamo insieme a kurdi, ghanesi, albanesi, bangladesi… che lavorano nelle nostre città e campagne, ma di loro ben poco sappiamo e vogliamo sapere. Diversi tra loro e da noi, a pochi suscitano la curiosità di conoscerne la storia, entrare nelle loro sensibilità, stabilire relazioni che non siano quelle funzionali a un lavoro, un servizio: come badante, venditore di ortofrutta, lavoratore edile o agricolo ecc.
Cullati dall’idea della superiorità della nostra democrazia e del valore dell’uguaglianza in quanto appartenenti al comune genere umano, abbiamo trascurato la comprensione delle tragedie del mondo e ci siamo illusi che le diversità fossero facilmente inglobabili nel corpo sociale senza chiederci: chi sono queste persone? che storia hanno? quali desideri li motivano? come esprimono la loro affettività? che relazioni hanno lasciato e vogliono costruire?
Più che persone con una loro identità individuale e culturale li abbiamo percepiti come un’unica categoria: immigrati, migranti, stranieri. L’essere diversi significa valere di meno.
L’Altro, nella sua singolarità e diversità, lo abbiamo “espulso” in nome dell’Uguale a noi (Byung-Chul Han), con il risultato che ci siamo impoveriti noi stessi e depressi, giacché noi ci definiamo nella nostra identità attraverso la relazione con gli altri, potenzialmente conflittuale e destabilizzante sì, ma anche vivificante. Non solo, anche i nostri schemi di pensiero si sono impoveriti: nel pensiero critico giochiamo fuori tempo, “soffriamo di uno scollamento teorico permanente”, di un deficit di immaginazione delle culture minoritarie del presente e delle tendenze in atto, quindi del futuro (Braidotti).
La letteratura aiuta a conoscere le diversità e definire le identità
Di nuovo e di positivo, però, c’è che oggi la letteratura (insieme a cinema, docufilm, arti figurative) rappresenta con maggiore profondità rispetto alla scrittura migrante di alcuni fa la realtà e le persone immigrate.
“Quelli come noi — scrive Emanuela Annechoum, italiana figlia di padre marocchino, nel romanzo Tangerinn — erano sbagliati. Agli occhi degli abitanti del paese gli immigrati erano tutti uguali… L’interazione fra la gente del paese e gli immigrati avveniva solo al mercato…. Gli appartenenti a una minoranza non hanno il lusso di essere se stessi: incarnano la loro diversità quando si confrontano con il potere”. E ancora: “essere diversi dai bianchi non li rendeva simili tra loro”. Ecco rappresentata con profonda lucidità la situazione delle nostre società multietniche e delle seconde generazioni.
Un segno evidente della funzione di conoscenza svolta dalla letteratura è venuto da Festival delle Letterature di Mantova, che ha dedicato ampio spazio all’Africa con molti libri e autori immigrati.
Un altro esempio recente è I dannati di Kirkuk scritto dal medico kurdo David Issamadden, che racconta la storia di questo popolo, sostenuto e ammirato quando combatteva contro lo Stato islamico e poi dimenticato (V. Curdi Siria). Di questo libro colpiscono l’orgoglio e la compattezza di questo popolo che, pur non avendo uno stato, è tenuto saldo da una forte identità culturale.
Ecco, sarebbe utile incontrarsi, creare luoghi di scambio di idee e emozioni sulla vita, su ciò che ci rende simili e ciò che ci differenzia. Non è forse questa la strada da percorrere con più convinzione e partecipazione per vivere meglio tutti?
Luciana Scarcia
(15 settembre 2024)
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