L’incontro con Sofia Orr e Daniel Mizrahi, israeliani, obiettori di coscienza, appartenenti al movimento Mesarvot – una rete di giovani attivisti per il sostegno e diritto all’obiezione di coscienza – e Tarteel Yasser Al Junaidi e Aisha Amer, palestinesi e attiviste non violente che difendono i diritti civili nella Community Peacemaker Teams – Palestina (CPT) che sostiene la resistenza nonviolenta dei palestinesi contro l’occupazione israeliana si è tenuto, il 24 ottobre, nella sede di CSV – Centro di Servizi per il volontariato – Lazio.
Questi giovani sono stati imprigionati per difendere i loro principi e, da quando si sono conosciuti, lavorano insieme per testimoniare che è possibile spezzare la spirale di violenza di cui sono vittime innocenti i loro due popoli, che si può dire no alla guerra e alle armi rifiutando di vedere l’altro come un nemico da odiare e considerarlo invece un interlocutore con cui confrontarsi.
Obiezione alla guerra: parlano i giovani attivisti
La visione di questi quattro ragazzi seduti vicini, mentre parlano e si scambiano sguardi ed opinioni, trasmette, a chi li osserva, un messaggio di speranza e di pace molto più potente di tanti discorsi ascoltati sull’argomento.
Daniel parla del percorso difficile e doloroso intrapreso per riuscire a mettere in discussione il regime di apartheid vigente, che riserva solo agli israeliani pieni diritti, incluso il diritto di voto, e per rifiutare di prendere le armi ed uccidere persone innocenti solo perché palestinesi. “Fino ai 18 anni credevo fermamente nello stato di Israele e nei suoi principi e volevo andare ad arruolarmi nell’esercito israeliano” confessa “ Siamo immersi fin da piccoli in un sistema di indottrinamento, io vivevo in una comunità segregata dove non era permesso ai palestinesi di venire e di vivere e la tv israeliana, come la storia che s’insegna a scuola, dipinge gli arabi e i palestinesi solo come violenti e terroristi: ciò ti porta solo a demonizzarli” continua Daniel “Per fortuna, a 18 anni ho avuto un permesso speciale per iscrivermi all’Università prima di fare il servizio militare. A Gerusalemme ho conosciuto una dimensione completamente diversa, perché lì metà della popolazione è palestinese. Ho iniziato a pormi delle domande, ad avere amici palestinesi, a visitare la Cisgiordania e a mettere in discussione quelli che erano stati i miei principi fino ad allora, a quel punto per me non c’era altra alternativa che diventare un obiettore.” conclude Daniel.
“Sono nata e cresciuta nella Cisgiordania, ad Hebron” racconta, subito dopo Daniel, Tarteel “un’area ad alta intensità di occupazione, circondata da check-point militari e dove all’interno ci sono insediamenti di coloni estremisti, noi possiamo subire incursioni di coloni e militari quando vogliono, arresti ed ogni genere di abusi. Sono cresciuta sapendo che la mia vita contava di meno, aveva meno dignità, ma anche con il desiderio che questa situazione cambiasse. Per questo motivo sono entrata in Community Peacemaker Teams, che ha sede anche ad Hebron, facciamo l’accompagnamento non violento delle persone più fragili, rimettiamo in connessione le famiglie ma cerchiamo anche di amplificare queste voci e queste testimonianze.” Prosegue Tarteel “ Per molti palestinesi non esiste un israeliano che non sia un colono o un soldato, io ho avuto il privilegio grazie al mio attivismo, di conoscere organizzazioni israeliane che lottano per la causa palestinese, che credono nei valori in cui credo io, ma questa non è la realtà degli altri palestinesi. Per far sì che questa connessione possa crescere c’è bisogno del supporto internazionale, c’è bisogno di amplificare questa voce, grazie a tutti voi” afferma con convinzione Tarteel.
Anche le altre due ospiti, Sofia e Aisha raccontano, ad una platea molto attenta, le loro storie di giovani donne che i governi delle loro nazioni vorrebbero nemiche e concludono con parole di condanna contro le organizzazioni sanguinarie di Hamas e Hezbollah, che non fanno altro che accrescere violenza ed odio reciproco senza risolvere i conflitti dei loro territori.
Obiezione alla guerra: le parole di Donatella di Cesare e Luigi Manconi
“Credo che il nostro compito sia quello di decostruire i fronti di guerra, ed è quello che stanno facendo questi giovani con le loro scelte esistenziali e con il loro viaggio ”ha affermato Donatella di Cesare, docente e filosofa. “Non riesco ad accettare la situazione attuale, voglio continuare a pensare che esista anche un Israele che crede nella pace ma che purtroppo in questo periodo non ha avuto voce.” Ha continuato, “Credo che il nostro compito sia quello anche di supportare queste voci ora poco ascoltate . Non credo nella soluzione “due popoli, due stati” ha poi affermato, “Credo che quella parte del mondo debba affrontare la realtà di una comunità democratica che vada oltre lo Stato e dove possa svilupparsi una cittadinanza aperta. Dobbiamo essere consapevoli che oggi il nazionalismo è davvero un nostro nemico. Dobbiamo contrastare la necro-politica, che vede come soluzione del conflitto solo l’uccisione dell’altro, dobbiamo aprire un dibattito su questi temi nell’opinione pubblica”.
“Provo grande ammirazione per la passione intellettuale e umana di questi giovani che costituiscono la risposta più concreta ad una lettura scellerata che in genere domina sul pacifismo, spesso definito attraverso l’espressione “ anime belle” ha esordito il sociologo e scrittore Luigi Manconi, “una definizione che altera la realtà ed esprime ingiuria e disprezzo; questi giovani hanno dimostrato che la loro attività è più che concreta e può comportare un prezzo assai alto, hanno pagato per ciò che credono; sono l’espressione di un pacifismo che diventa da subito sperimentazione di una nuova convivenza ”. Ha poi affermato Manconi, “La violenza può essere disinnescata solo quando viene decostruita la figura del nemico, quando il nemico non viene disumanizzato, al contrario diventa un interlocutore, un convivente, il membro di una comunità.” E ha continuato, “Non va sottovalutato Il ruolo delle minoranze: può essere significativo soprattutto quando la condizione di guerra impone il compattamento all’interno di due schieramenti, la minoranza non violenta può mettere in crisi la compattezza degli schieramenti. Il pacifismo non ha un ruolo profetico “da anime belle” ma diviene dato politico, quelle posizioni minoritarie affermano la potenza della contraddizione. Credo che la critica contro Israele e contro la sua azione militare e l’accusa di commettere un genocidio nei confronti del popolo palestinese saranno tanto più efficaci quanto più saremo capaci di rivolgere una critica altrettanto dura ai meccanismi dispotici e violenti di Hamas e Hezbollah che opprimono i palestinesi in nome della causa palestinese.” ha poi concluso Manconi.
Obiezione alla guerra: la forza dell’azione nonviolenta
“ I movimenti non violenti hanno una lunga tradizione, ha ricordato Meo Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento, i gruppi pacifisti sia in Israele che in Palestina erano una presenza culturalmente significativa, facevano parte a pieno titolo del Movimento Palestinese di Liberazione (MPL), Tutto questo è stato completamente azzerato negli ultimi vent’anni da entrambe le parti, oggi ripartono da zero. Nel dibattito pubblico italiano, la posizione non violenta italiana che ha una tradizione culturale e politica importante per la storia del nostro paese, possiamo citare Don Milani, Aldo Capitini ed altri, è stata silenziata negli ultimi anni; ci è impossibile anche trovare un dialogo sulla non violenza con i partiti politici” continua il presidente Valpiana, interrogando i suoi ospiti alla ricerca di una risposta convincente.
Sembra riassumere tutte le posizioni presenti, la risposta di Luigi Manconi “ La forza vera dell’azione nonviolenta sta nella sua pratica, nelle azioni concrete che hanno messo in campo questi ragazzi, capaci di sovvertire il rapporto perverso amico/nemico” ribadisce Manconi “se i paesi dell’Unione Europea riconoscessero poi l’obiezione di coscienza come motivazione valida per ottenere lo status di rifugiato, penso che sarebbe un riconoscimento davvero importante e un passo fondamentale in avanti per una cultura della nonviolenza ”.
“Il tour,” spiega Mao Volpiana, presidente del Movimento Nonviolento “è nato con lo scopo di sostenere concretamente e politicamente i movimenti nonviolenti, gli obiettori di coscienza, i pacifisti che lavorano per la convivenza dei due popoli e chiedere alle istituzioni, all’Unione Europea, al nostro governo, di riconoscere lo status di rifugiati politici a tutti gli obiettori di coscienza, disertori, renitenti alla leva, e si concluderà, dopo 10 giorni, a Bari, dove i 4 ragazzi, parteciperanno alla Giornata di mobilitazione” “Fermiamo le guerre. Il tempo della pace è ora “.
Nadia Luminati
(25 ottobre 2024)
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