Le mutilazioni genitali femminili (MGF) rappresentano una delle forme più gravi di violazione dei diritti umani. In Europa, oltre 600.000 donne hanno già vissuto questa pratica e altre 180.000 ragazze sono a rischio ogni anno.
Sono cifre preoccupanti e spesso ignorate, argomenti di cui si è sentito parlare ma che ascriviamo a geografie lontane e a culture diverse dove pensiamo di non avere, per rispetto che si dovrebbe alle culture altre, il diritto di intervenire; pur riconoscendo che la pratica abbia conseguenze sulla salute fisica e psicologica delle donne che le subiscono, in fondo, riteniamo che la cosa non ci riguardi perché non coinvolge direttamente la nostra società. Invece sono oltre 87.000 in Italia le donne residenti che sono state sottoposte a questa pratica e, soprattutto, sono più di 5.000 le giovani che si ritiene possano subirla in futuro.
Per questo motivo Amref Health Africa Italia ha promosso Y-ACT, Youth in Action for Change, un progetto che si è posto come obiettivo quello di formare e responsabilizzare giovani con background migratorio per diventare attivisti nella lotta contro le MGF e promuovere un cambiamento culturale e sociale duraturo dall’interno della società in cui vivono e a cui appartengono. Il 4 dicembre si è svolto a Roma presso lo Spazio Europa l’evento conclusivo, in cui i ragazzi coinvolti nel progetto hanno potuto presentare i risultati raggiunti sul territorio di Roma, esporre le esperienze e le difficoltà incontrate durante il percorso e condividere un Manifesto per il cambiamento, un documento simbolico che riassume, in dieci punti, il loro impegno e quello delle comunità coinvolte per prevenire e contrastare le mutilazioni genitali femminili.
Y-ACT: i giovani diventano attivisti contro le MGF
Il progetto ha Amref come capofila ed è co-finanziato dall’Unione Europea (CERV – DAPHNE), in collaborazione con l’Associazione Le Réseau, il Coordinamento Nazionale Nuove Generazioni Italiane (CONNGI) e l’Università di Milano Bicocca. Y-ACT ha come obiettivo quello di prevenire e contrastare le mutilazioni genitali femminili tramite degli interventi di formazione e sensibilizzazione all’interno delle comunità dove, anche in Italia, le ragazze possono essere vittime di questo tipo di pratica.
“Y-ACT ha avuto la durata di due anni e ha coinvolto trenta giovani con background migratorio tra i 18 e i 30 anni. Nel primo anno di progetto, hanno partecipato ad un percorso di formazione in presenza e online e ad incontri con degli adulti delle loro comunità mentre, nel secondo anno, sono stati protagonisti di dieci micro azioni di sensibilizzazione individuale che hanno svolto su diversi territori a Roma, Milano, Torino e Padova, per un totale di 300 azioni”, racconta Laura Gentile, coordinatrice per Amref del progetto. “Noi pensiamo che il cambiamento possa nascere e possa essere promosso solo se avviene all’interno delle comunità e per questo abbiamo fatto in modo di curare particolarmente tutto il percorso di formazione del primo anno. Questo ha fornito ai ragazzi gli strumenti di comunicazione e di leadership utili sia per avere un approccio efficace come attivisti, ma soprattutto gli ha permesso di mettersi in ascolto degli adulti delle loro comunità, per meglio comprendere le loro società di appartenenza. Questo è stato fondamentale perché crediamo che un cambiamento non possa essere calato dall’alto ma debba essere endogeno alle comunità stesse, promosso dall’interno, e in questo senso i giovani possono essere ponti tra diverse generazioni e con i loro pari, grazie all’uso dei social media”.
Attivismo: istruzioni per l’uso
L’incontro e l’ascolto all’interno delle comunità ha permesso di comprendere tanto le ragioni culturali, religiose e tradizionali legate alla pratica, che di constatare quanto l’informazione sia scarsa e spesso sbagliata e siano piuttosto diffuse false credenze, indifferenza e disconoscenza delle reali conseguenze fisiche e psicologiche anche all’interno delle stesse comunità dove le MGF vengono ancora praticate. Incontrare le “sopravvissute” ha permesso a Gracefield, ventun anni e originaria della Nigeria, di capire quanto sia doloroso per una donna parlare di MGF, quanto possa pesare lo stigma sociale, quanto sia necessario uno spazio sicuro dove le donne possano sentirsi accolte e non giudicate, quanto sia necessaria una formazione adeguata rivolta al personale sanitario per non sentirsi mortificate al momento di una visita, di quanta paura e vergogna ci siano nei racconti delle vittime, di quanto profonde possano essere sul corpo di una donna le cicatrici fisiche e psicologiche. O, anche, rendersi conto di aver ignorato, per anni, un aspetto fondamentale della vita della propria madre, taciuta per pudore.
L’ascolto degli anziani e delle ragioni, spesso erroneamente attribuite a cause religiose, ha permesso a David, anche lui nigeriano, di riflettere sull’impalcatura culturale e sociale che sostiene questa pratica, su come venga considerata dagli uomini e dalle donne e su quali siano le strade migliori per operare un cambiamento all’interno della propria comunità. L’attivismo è stato, per David, un’esperienza trasformativa in cui si è confrontato con diversi aspetti della realtà, con la disinformazione e l’incredulità ma anche con la rigidità e la chiusura, dove il suo intervento a volte ha potuto essere efficace e generare un cambiamento ed altre invece in cui si è scontrato con l’indifferenza e l’ottusità, anche dei suoi coetanei.
Il Manifesto per il cambiamento
Tutte queste esperienze hanno portato i giovani a redigere, in prima persona, un Manifesto per il cambiamento diviso in dieci punti che ritengono essere punti chiave per lavorare insieme alla società civile, terzo settore, istituzioni e servizi per contrastare ma soprattutto prevenire la MGF in Italia e promuovere una cultura basata sulla parità di genere e il rispetto dei diritti umani. Un documento che sia “esportabile” in ogni contesto dove sia ancora necessario combattere le MGF:
- Creare uno spazio sicuro dove le donne possano sentirsi libere di parlare
- Incrementare training specializzati rivolti ai professionisti sulla violenza di genere e le MGF
- Diffondere le informazioni sulle MGF e sui servizi disponibili, soprattutto presso le istituzioni pubbliche
- Creare networks giovanili per promuovere l’azione
- Sensibilizzare la comunità
- Implementare servizi gratuiti di supporto alla salute femminile sia fisica che psicologica
- Favorire il dialogo intergenerazionale con la creazione di eventi ed occasioni di incontro
- Diffondere la comunicazione dei servizi disponibili
- Implementare l’educazione sessuale nelle scuole
- Implementare la consapevolezza tra i giovani mediante l’educazione tra pari
Punti che mettano l’accento sull’importanza di ascoltare prima di parlare, per non credere che le soluzioni già trovate in passato siano quelle giuste; che facciano luce sulla solitudine delle vittime e sulla necessità di fare rete per rompere il muro di silenzio. E ancora punti che ricordino che un’azione efficace deve operare su piani e livelli diversi all’interno della società, essere accessibile e trasparente, e raggiungere tutte le generazioni. Perchè forse, come ricorda Rediat, originaria dell’Etiopia, il più importante è il settimo punto del Manifesto, che insiste sull’importanza del dialogo tra le diverse generazioni, in quanto la distanza tra giovani e anziani, nelle società tradizionali a cui è impossibile ribellarsi, è spesso un abisso insormontabile e l’unico modo per raggiungere i community leaders, sembra essere attraverso la sensibilizzazione della generazione precedente, più accessibile, in un processo a ritroso. Come ha ricordato la Vice Direttrice di Amref, Roberta Rughetti, a conclusione dell’evento, con una citazione di Nelson Mandela, “a volte tocca ad una generazione farsi grande e quella generazione siete voi”.
Dopo Y-Act: il Parlamento Europeo e un Podcast
Se il Manifesto vuole essere un modello “esportabile”, anche il progetto Y-Act vuole uscire dall’Italia: il prossimo 6 febbraio 2025, in occasione della Giornata Internazionale della Tolleranza Zero verso le MGF, i giovani attivisti avranno l’opportunità di dialogare con il Parlamento Europeo, gli stakeholder internazionali e attiviste africane ed europee, rafforzando l’impegno comune per eliminare questa pratica e promuovere l’uguaglianza di genere.
Oltre a una serie di mini video di sensibilizzazione, dove le ragazze prendono spunto da una parola chiave per parlare di MGF, è stato ultimato un podcast dal titolo “Intere. Una rivoluzione senza cicatrici”, che vede protagonisti tutti i ragazzi coinvolti nel progetto. “Organizzato in sette puntate, sottotitolato in italiano, inglese e francese, sia in audio che in video e diffusibile sui social, ogni puntata si aprirà con un proverbio africano e tratterà un diverso aspetto legato alle MGF”, racconta Ada Ugo Abara. “Nella prima verrà smontato il mito secondo il quale si tratta di pratiche religiose invece che culturali, nella seconda e nella terza si tratteranno le ragioni e le origini di tali pratiche e le alternative possibili, nella quarta verranno forniti dati e statistiche, nella quinta si farà luce sulle conseguenze fisiche e psicologiche sia sul singolo che sulla comunità, nella sesta si parlerà del ruolo e dell’importanza degli uomini nella prevenzione e nella lotta e nell’ultima delle conseguenze che le MGF hanno per la salute, la sessualità e la gravidanza”.
Natascia Accatino
(8 dicembre 2024)
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