La scuola di oggi tra promesse e tradimenti

“Magister” di Ivano di Dionigi: un saggio per ribadire il ruolo fondamentale della scuola come maestra di vita

Cos’è diventata, oggi, la scuola? Che responsabilità ha per la formazione del pensiero, dell’etica, della personalità di un giovane? Quale importanza riveste il ruolo del docente, del magister, nella trasmissione non solo delle conoscenze ma nell’educazione stessa alla vita? Lo studio dei classici, ha ancora una funzione nella scuola moderna? Ed il latino, a cosa serve? La politica deve essere tenuta fuori dalla scuola? È saggio contrapporre la scienza alle materie umanistiche e dividere il sapere in settori disciplinari sempre più piccoli? Quali competenze deve avere un giovane, oggi, per essere equipaggiato per il futuro?
Tante le riflessioni, tanti gli stimoli raccolti durante la presentazione alla Libreria del Palazzo delle Esposizioni dell’ultimo saggio di Ivano Dionigi, Magister, edito da Laterza, penultimo appuntamento di “Libri in Agenda. Storie e idee per scrivere un futuro sostenibile”.
L’ iniziativa, a cura di Giacomo Bottos, ha offerto l’occasione per riflettere, insieme all’autore, a Sabino Cassese, Paolo di Paolo e Gabriella Caramore, sul ruolo decisivo dell’istruzione e della scuola nel costruire una società capace di futuro. Perché, per citare Manara Valgimigli, “La scuola la fanno i maestri, non i ministri”.

Scuola: cosa dovrebbe essere

La scuola è il luogo, a volte l’unico, in cui si forma la coscienza linguistica, critica, storica, etica e politica del cittadino.
Ha certamente la funzione di trasmettere conoscenze e saperi ma anche, e soprattutto, la responsabilità ed il privilegio di educare, ossia di insegnare a pensare, a ragionare. Una scuola virtuosa deve essere in grado di aprire la mente, allargare gli sguardi, superare i confini; deve aiutare i giovani a cercare e trovare la propria identità, ad incontrare il proprio Daimon, che corrisponde al talento e alla natura di ognuno: “ognuno deve seguire i demoni che tengono i fili della propria vita”, ci ricorda Dionisi.
Nosce te ipsum, conosci te stesso. Scuola come il luogo fertile dove gli interrogativi che l’Uomo si è posto da sempre possano trovare un terreno di discussione, che consenta di scoprire il valore del passato e della memoria e al contempo di inventare il mai visto e l’inaudito.
Scuola capace di trasmettere conoscenza piuttosto che nozionismo, che non dovrebbe servire a trovare un lavoro o a capire un mestiere ma ad “ambire a formare teste ben fatte piuttosto che teste ben piene”, come auspicava Montaigne.
La scuola deve essere il luogo dove il pensiero dei classici e del passato aiuti a comprendere questo presente, attualizzando le grandi domande e le tante risposte che l’Uomo da sempre ha provato a dare.

Il Magister, il maestro

Nella scuola ideale il Magister, il Maestro, deve tornare ad essere, per gli studenti, la presenza capace di ispirare, di aprire brecce, di infondere coraggio, anche di cambiare il corso di una vita. I maestri devono essere riconosciuti, ammirati, ricordati. Presenze autorevoli, ma non per questo autoritarie, capaci di diventare esempio e modello, di condividere la loro stessa esperienza esistenziale, indispensabili ed insostituibili perché solo nel rapporto tra maestro ed allievo ‘può sprigionarsi il campo energetico dell’educazione”. Eppure i docenti, per troppe ore e da troppo tempo, sono assorbiti da una funzione essenzialmente burocratica, sommersi da scadenze, verifiche, programmi didattici, quando dovrebbero dilectare et docere, saper intrattenere insegnando, ma anche movere, smuovere le coscienze.
Il magister deve saper affascinare. Una funzione, come scherzando ricorda l’autore, che oggi viene svolta piuttosto dall’influencer, che ha nei followers i suoi allievi.

Scienza e filosofia sono antagoniste?

Un tempo la divisione tra mondo scientifico e mondo umanistico non era cosi netta, lo studio approfondito della scienza non era disgiunto da una cultura dei classici e del pensiero antico e gli intellettuali spaziavano competenti tra varie discipline. Oggi gli atenei sono luoghi in cui viene richiesta una specializzazione sempre più frammentata, in cui ai vari settori disciplinari viene dato un numero per definirli. Eppure recentemente la scienza è tornata ad interrogarsi sulle grandi questioni dell’essere umano e del nostro essere nel mondo ed i grandi divulgatori sono tutti umanisti che si occupano di scienza. Ma le università, sono capaci di coniugare la specializzazione con l’universalità del sapere, di varcare confini?
Come ricorda Sabino Cassese, la scuola deve soprattutto insegnare a diventare capaci di imparare, aprire mente e orizzonti per continuare ad imparare, perché le professioni cambiano e continueranno a cambiare: per la prima volta, nella storia dell’umanità, molti lavori hanno vita più breve di chi le esercita.

I classici e il latino servono ancora?

Ma serve ancora studiare il latino oggi, quando sta prendendo piede rapidissima l’intelligenza artificiale? Che senso ha rimanere legati al passato, ai classici, a pensieri maturati in tempi lontani che sembrano non avere nulla a che vedere con il nostro presente?
La tradizione conta e conforta, e per noi occidentali nel latino c’è il senso di una tradizione che continua, c’è l’origine di una cultura e di un sapere: nel latino risiede l’etimologia delle parole, la loro radice. Questa lingua definita morta, che ora in alcuni Istituti viene insegnata come si insegnano le lingue vive, per poter essere apprezzata dai giovani deve essere attualizzata.
Come deve essere attualizzato il valore sociale e politico della conoscenza del mondo antico, le risposte date alle grandi domande: cosa voleva dire essere cives, cittadino, quale valore veniva dato alla cultura, come venivano affrontati certi problemi, esistenziali ma anche sociali, quali le soluzioni? Le migrazioni, per esempio, erano già un problema antico, ricorda Gabriella Caramore, la globalizzazione c’è già stata e il grande timore per il cambiamento suscitato ora dall’intelligenza artificiale può essere paragonato a quello che rappresentò il passaggio dall’oralità alla forma scritta, dove la possibilità di imparare senza un magister poteva già rappresentare una virata “virtuale” per la conoscenza.

Fare politica a scuola

Per i giovani è la scuola il primo luogo di incontro tra Logos e Polis, entrambe si imparano a scuola, in quali altri luoghi vengono, oggi, altrimenti integrate la parola e la comunità, intesa anche come Stato?
È necessario rimettere in connessione il rapporto tra scuola e politica, perché la scuola è politica anche se spesso viene allontanata dalla scuola, ricorda Paolo di Paolo. Si dice che a scuola non si deve fare politica perché viene confusa con la propaganda, e spesso vengono respinte le richieste di dialogo con i docenti su temi di attualità, quando invece è nella scuola dove il cittadino inizia a formarsi. È a scuola dove lo studente inizia a muoversi in una micro società, ad interagire con gli adulti e con i coetanei per tempi lunghi, a sperimentare le differenze di opinione, di origine, di cultura.
L’Università che, come la concepiamo oggi, risale all’inizio dell’800, come dice il nome stesso nasce con l’intento di essere una comunità di studenti e studiosi, dove lo scambio, la ricerca, la comunicazione, la condivisione sono elementi fondanti. Oggi le università sono spesso troppo grandi, alcune addirittura telematiche, e questo comporta che gli studenti le frequentino ma non le vivano, perdendo proprio quel senso di comunità che dovrebbe essere alla base stessa dell’istituzione, di conseguenza anche il rapporto dialettico con docenti ed compagni.
Interrogare, intelligere, invenire, ossia indagare sé stessi e il mondo, cogliere in profondità la natura e la relazione tra le cose, scoprire o dissotterrare: sono le tre “I” dalle quali oggi occorre ripartire, anche queste eredità di un passato capace ancora di parlare.

Natascia Accatino
(30 maggio 2025)

 

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