“Ventotto giovani capi scout, di età compresa tra i 19 e i 30 anni, provenienti dalla Palestina e precisamente da Zababdeh, una piccola città a nord di Jenin, in Cisgiordania sono stati accolti dal gruppo scout Roma 62 e dalla parrocchia di Sant’Ippolito Martire. Zababdeh ha la particolarità di essere una città molto vivace in cui la maggioranza degli abitanti è cristiana.“ racconta don Manlio Asta, il parroco della chiesa romana. “Il gemellaggio tra parrocchie ha avuto un’intensificazione dopo il 7 ottobre; prima c’era solo un progetto di borse di studio, dopo c’è stata l’emergenza di aiutare le famiglie in enorme difficoltà” prosegue don Manlio, “su 450 famiglie della parrocchia, 350 sono senza lavoro, perché la maggior parte di loro lavorava in Israele ed ha perso il lavoro quando i confini sono stati sigillati, un’altra parte lavorava nei negozi di Jenin, frequentati dagli arabi con passaporto israeliano, che sono stati chiusi per sempre. Noi, attraverso il Patriarcato latino, siamo riusciti ad aiutare queste famiglie. Con quest’iniziativa ci auguriamo di nutrire lo spirito di questi ragazzi. Il pretesto è stato quello del pellegrinaggio giubilare, ma la speranza è che loro possano essere costruttori di Pace, capaci di aprire percorsi di speranza in un contesto difficile come quello in cui vivono” infine conclude, prima che abbia inizio l’evento aperto alla cittadinanza ed ai rappresentanti del terzo settore, con il patrocinio del II Municipio, dal titolo “Camminare sulla via della pace“, svoltosi, giovedì 12 giugno, nella sede di Libera.
Gli scout palestinesi: le testimonianze dei ragazzi
I ragazzi, invitati a parlare, si presentano e raccontano la storia del loro popolo, pacatamente e senza timore alcuno, fornendo dati e immagini della Palestina martoriata. Gaza prima e dopo il 7 ottobre 2023 scorre davanti agli occhi dei presenti mostrando macerie dove una volta c’erano case, scuole, ospedali e persone che conducevano una vita in parte ancora normale, nonostante l’occupazione israeliana.
“Come capi scout, noi portiamo un messaggio di pace” esordisce una delle guide palestinesi “Non siamo solo vittime di guerra, noi crediamo nel diritto. Il nostro invito alla pace non è dettato dalla convenienza né dalla rassegnazione. Siamo figli di questa terra, la nostra ricerca di giustizia non è ricerca di un compromesso, il nostro diritto alla vita non è negoziabile. Israele non vuole la pace, ha scatenato una guerra genocida contro la nostra popolazione e diffonde una narrazione falsa: fa diventare le vittime carnefici, invoca un falso diritto alla difesa. Noi non abbiamo mai alzato la bandiera dell’odio, chiediamo solo di vivere nelle nostre case, di poter piantare i nostri ulivi senza che qualcuno venga a sradicarli nuovamente. vogliamo poter accompagnare i nostri figli a scuola senza dover passare dei continui posti di blocco e senza essere perquisiti. Quindi non chiedeteci perché alziamo la voce, perché scriviamo, perché resistiamo, perché piangiamo o perché non accettiamo di essere seppelliti in silenzio. Quanto tempo ancora ci vuole perché tutti comincino a guardare i Palestinesi come esseri umani?” Indossano tutti un segno di appartenenza della loro terra: chi una Kefiah sulle spalle o annodata al collo, chi si fa avvolgere dalla bandiera. Durante la loro permanenza in Italia, dal 6 al 16 giugno, i ragazzi sono stati ospitati dalle famiglie dei parrocchiani, hanno trascorso ed hanno partecipato a numerosi momenti di incontro e dialogo, terminati domenica 15 giugno con la celebrazione eucaristica in parrocchia e da una festosa cena multietnica.
“La guerra trova radici nella dissolvenza dei volti” dice poi, citando una frase di Don Tonino Bello, Matteo Balou, incaricato di Agesci Lazio al Settore giustizia pace e non violenza, mentre un altro capo scout fornisce i numeri dei morti di questa orribile aggressione al popolo palestinese, a partire dal 7 ottobre 2023, secondo una statistica aggiornata al mese di maggio: “Più di 55 mila persone sono state uccise, di cui più di 18 mila erano bambini e circa 12.500 donne; 2000 circa gli anziani, 1550 gli operatori sanitari e 232 i giornalisti, che hanno perso la vita svolgendo il loro lavoro; più di 800 i docenti e più di 200 i funzionari dell’agenzia UNRWA, più di 120 gli operatori della Protezione Civile mentre le persone che non si trovano più sono più di 11200, tra questi 5000 sono bambini. E non sono numeri, sono esseri umani.”
“Per arrivare qui, c’è voluto molto tempo” racconta ancora un altro ragazzo “ Nonostante l’invito del parroco di S. Ippolito, le garanzie del Patriarcato latino e della Curia romana, le garanzie del cardinale Pizzaballa, abbiamo atteso più di 50 giorni per avere il visto. Siamo passati da numerosi check-Point, sia dell’autorità palestinese che israeliana, che hanno controllato bagagli e documenti ma siamo contenti di essere qui, è stata una bellissima esperienza che porteremo per sempre con noi.“
“Molti di loro non avevano mai lasciato la Cisgiordania, è la prima volta che vedono un altro pezzo di mondo” afferma il parroco della chiesa di Zababdeh,” Sono felicissimi di essere qui, questo gemellaggio proseguirà sotto altre forme e sarà un continuo scambio di fratellanza e di speranza.”
Non lasceremo mai la nostra terra perché è la terra di Gesù
Presente all’evento, Adelaide Palmisano di Libera, figlia di Marcello Palmisano, reporter ucciso in Somalia il 9 febbraio 1995, che ha posto l’accento sulla speranza. «Un tema che ci accomuna oltre ogni sofferenza», ha detto ai capi scout di Zababdeh, ricordando le vittime di mafia e le loro famiglie. Mentre Gianluca Bogino, assessore alle politiche sociali, giovanili, pari opportunità e comunità straniere del II Municipio, ha ricordato come la sua amministrazione lavori da tempo con la comunità palestinese di Roma e la delibera, avvenuta poche settimane fa, che ha consentito l’esposizione della bandiera palestinese nella sede istituzionale. Ha poi donato loro in segno di amicizia un quadretto firmato anche da Francesca Del Bello, presidente del II Municipio.
“Abbiamo bisogno di ponti non di muri” ha ricordato Yousef Salman, presidente della comunità Palestinese di Roma e del Lazio, “non si può volere la pace senza parlare di giustizia, non si può parlare di giustizia senza parlare del diritto dei palestinesi a vivere nella propria terra, le risoluzioni delle Nazioni Unite devono essere rispettate.”
“Le ultime notizie sono veramente terribili” aggiunge infine un altro ragazzo, “Il governo israeliano ha programmato per domani mattina di radere al suolo 100 case a Jenin, ma non lasceremo mai la nostra terra, noi insegniamo ai nostri bambini ad amare la Palestina e il nostro popolo. La nostra è una terra santa, come cristiani l’amiamo perché è la terra di nostro Signore Gesù Cristo” concludono tutti concordi, alzandosi in piedi e con la mano sul cuore, dopo aver recitato una preghiera, cantano, di fronte ad una platea visibilmente commossa, l’inno nazionale.
Nadia Luminati
(16 giugno 2025)
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