Yuval Dag è un ragazzo israeliano, ha 22 anni. Oggi, è molto stanco, è un mese che gira nelle città italiane per raccontare la sua esperienza, in mattinata è arrivata la notizia dell’attacco d’Israele all’Iran, “Scusate” dice “non è una buona giornata”. Accanto a lui una rappresentante di Donne in nero, il movimento è nato nel 1988 a Gerusalemme su iniziativa di donne ebree israeliane che si opponevano all’occupazione dei territori palestinesi. Donne e sempre donne, sono donne quelle che sono ai lati di Yuval.

I refusenik , gli obiettori di coscienza israeliani
Yuval è un refusenik, termine usato per gli ebrei che vivevano in USRR e ai quali, durante la guerra fredda, veniva impedito di emigrare in Israele. Refusenik sono ora chiamati i giovani che non vogliono prestare servizio nelle Forze di Difesa Israeliane (IDF). Yuval nasce in villaggio nel sud della Palestina, suo nonno era arrivato negli anni ’60 inviato dal governo israeliano per assicurarsi che gli arabi palestinesi, che occupavano il territorio prima del ’48, non cercassero di riappropriarsi delle terre da cui erano andati via (molti territori erano stati acquistati dagli immigrati ebrei che venivano dall’Europa).
L’educazione militare si insegna, obiettori si diventa
I bambini e gli adolescenti israeliani dice Yuval hanno una sola certezza “Ognuno di loro farà il servizio militare”. In occasione della Festa dell’Indipendenza, una festa molto importante per Israele, i ragazzi possono visitare le caserme ed ammirare la armi e la tecnologia che è utilizzata dall’IDF. A scuola si insegna la storia degli ebrei, dalla cacciata dalla Palestina, di come abbiano errato nel mondo e soprattutto ciò che è accaduto loro in Europa: il genocidio, le deportazioni e di come, nel ’48, fossero stati mandati in Palestina perché era troppo imbarazzante tenerli in Europa. Una storia dolorosa che fa degli ebrei le “vittime”. Anche l’esercito si chiama Forza di Difesa, gli israeliani si difendono, sempre.
Un anno e mezzo per decidere di essere un obiettore
A 16 anni e mezzo si diploma e viene subito chiamato dall’IDF, ha un anno di tempo per decidere in quale settore dell’IDF vuole essere arruolato. Yuval, si diploma, va a vivere a Gerusalemme, lì viene in contatto con una realtà diversa, ci vivono quasi 400mila arabi palestinesi. Yuval assiste alle aggressioni contro di loro, qualcosa non trona. Eppure, passa ancor del tempo prima che Yuval decida di non arruolarsi. All’inizio pensa di entrare nel corpo paramedico, in modo da poter aiutare i feriti, oppure nella marina, il mare è lontano dalla terraferma, lontano da Gaza.
Mesarvot, la rete che sostiene gli obiettori di coscienza
Passa un po’ di tempo, Yuval viene chiamato dall’IDF, solo allora prende coraggio e decide di dichiararsi obiettore. Passa dieci giorni in carcere, gli viene chiesto se ha cambiato idea, no. Ancora venti giorni e ancora venti, ogni volta la stessa domanda, sei sicuro di non volere arruolarti? Ogni volta la stessa risposta. Yuval si appoggia a Mesarvot, una rete attiva in Israele che sostiene e offre assistenza legale alle ragazze e ragazzi durante il percorso dell’obiezione. Yuval resta in prigione per un totale di 72 giorni, “Sono stato fortunato” dice “mi hanno esentato dopo poco più di due mesi, ci sono ragazzi che restano in prigione anche 200 giorni”.
Essere obiettore di coscienza e vivere in Israele
A chi gli chiede se il suo gesto avrà conseguenze, Yuval risponde candidamente che non ci sono state conseguenze, se non a livello famigliare, un suo zio non gli rivolge più la parola, continua a studiare, potrà scegliere il lavoro che vuole fare, “Posso partire e tornare in Israele quando voglio”. Eppure, in patria, tutti sanno cosa pensa, cosa racconta, perché lo lasciano libero? “Penso” dice Yuval “che in questo modo Israele voglia dare prova del fatto che è uno Stato liberale che rispetta i propri cittadini”.
Pochi gli obiettori ma molti non terminano il servizio militare
Quanti sono i ragazzi e le ragazze che scelgono di essere dei refusenik? “Pochi, molto pochi, i ragazzi israeliani non vedono l’ora di potere entrare nell’IDF, di combattere, piuttosto sono molti coloro che non riescono a finire il periodo di leva, lasciano prima dello scadere dei tre anni”. Per Yuval si tratta del 60% dei soldati ma l’esercito non rilascia dati ufficiali e così nessuno sa quanti, una volta iniziata la leva, riescono a portarla a termine. Ha parlato e ripetuto quello che ripete ormai da molti giorni ma Yuval è preoccupato, hanno chiuso gli aeroporti e lui non sa se potrà tornare in Israele.
Martina e la Rete European Jews for Palestine
Al lato di Yuval c’è Martina, è in rappresentanza del LEA, Laboratorio Ebraico Antirazzista, “Siamo coordinati dalla Rete European Jews for Palestine, a cui fanno capo 22 gruppi, il più importante è il britannico Na’amod; nelle mie vene” prosegue Martina “scorre il sangue dei miei nonni, cittadini italiani, che nel ‘38 furono buttati fuori dalle scuole, so esattamente cosa provano gli israeliani sionisti perché nelle mie vene scorre il trauma, non è nostro compito di proporre una soluzione politica per la Palestina perché noi viviamo in altri Paesi, siamo gli ebrei della diaspora ma come nipoti dei sopravvissuti il nostro compito è di essere antirazzisti e antifascisti”.
Gli obiettori e le associazioni per la pace
È un caldo pomeriggio d’estate, le persone escono dalla sala che ha ospitato Yuval, Martina e chi ha avuto il coraggio e l’ostinazione di organizzare l’incontro, oltre all’associazione Donne in nero, il comitato Monteverde per la Pace nato un anno fa su iniziativa del Municipio, l’associazione Gazzella, Cipax e tante altre. Qualcuno spegne i ventilatori attaccati ai muri, sullo sfondo resta il palco con uno striscione bianco e una scritta rossa come il fuoco “Cessiamo il fuoco”.
Livia Gorini
(16 giugno 2025)
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