FUTURO – Palestina: dove ancorare la speranza?

Gaza - Cominciare a pensare al futuro. Fonte Focus.it
Gaza – Cominciare a pensare al futuro. Fonte Focus.it

L’ostentazione di un accordo di pace sul conflitto Israele-Palestina con tanto di sfavillio di luci e sorrisi smaglianti a favore di telecamere e fotografi appare sovrastimata rispetto a una situazione che, certo, gode della tregua del cessate il fuoco, ma resta assai drammatica e complessa.

Perché le soluzioni avanzate da più parti in questi decenni per sanare questo conflitto, riconosciuto dal 1948, l’anno della Nakba, non hanno mai portato all’avvio di processi di pacificazione duraturi, tanto da non impedire l’approdo al genocidio in atto?
Ad esempio l’ipotesi di 2 Stati e 2 popoli, con in mezzo una sorta di Consiglio della pace con altri Paesi arabi come garanti — credibile fino a pochi anni fa — oggi è anacronistica; e il riconoscimento dello Stato di Palestina ha al momento un valore solo simbolico.

Palestina: le responsabilità dell’Occidente

Oggi c’è bisogno di un pensiero radicale che sappia guardare al futuro con l’ottimismo della speranza; ed è quello che Ilan Pappé, storico israeliano, antisionista e socialista (docente e direttore del Centro europeo Studi Palestina – Università Exeter), espone nel suo ultimo libro La fine di Israele, Fazi Ed.
È il momento — egli sostiene — di prendere decisioni strategiche da parte di tutti i Palestinesi, della società ebraica in Israele e nel mondo, dei gruppi cristiani; e dovranno rivedere le loro posizioni anche le industrie militari e le istituzioni finanziarie. Il collasso di Israele non è una posizione politica: è un processo oggettivo già cominciato. La preoccupazione per la sorte dei Palestinesi è oggi più che giustificata, ma nel lungo periodo sarà la sorte degli ebrei della Palestina storica la questione da risolvere.
L’imposizione dell’Occidente, Gran Bretagna in testa, di uno Stato ebraico in terra araba ha prodotto dei colonizzatori, oggi di seconda e terza generazione, che devono usare la forza violenta per imporsi ai Palestinesi indigeni, i quali non hanno mai rinunciato all’autodeterminazione.

La riconciliazione è la strada per il futuro

La speranza per il futuro degli ebrei è la disponibilità a vivere da cittadini con pari diritti in una Palestina liberata e decolonizzata. Anche perché nelle società coloniali di insediamento non c’è una madrepatria cui tornare.
Nel delineare un possibile futuro Pappé immagina un processo di lunga durata, gestito dai Palestinesi, per i quali sarà attuato il “diritto al ritorno”, e che si ispira all’esempio del Sudafrica di Mandela e Desmond Tutu, dove la riconciliazione è stata praticata con le modalità della giustizia riparativa.

La speranza nelle giovani generazioni che sfida anche noi

Oggi come oggi i Palestinesi non hanno la forza per farsi ascoltare, anche perché dopo la Nakba sono divisi nei campi profughi in Israele, Giordania, Egitto, nelle comunità della diaspora nel mondo arabo (Arabia Saudita, Golfo Persico, Nordafrica), in California e Cile, oltre agli sfollati nella striscia di Gaza. Però i giovani attivisti palestinesi sono motivo di speranza, insieme ai giovani delle manifestazioni in Europa e negli Usa di queste settimane. Spetterà alla prossima generazione costruire la Palestina del dopo-Nakba, ma “chiunque resiste e sopravvive ha riabilitato le centinaia di migliaia di persone che hanno perso la vita, i milioni che hanno perso la casa e ogni speranza”.
Giovani e costruzione dal basso: un binomio che riguarda anche noi.

Luciana Scarcia
17 ottobre 2025

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