[S]oggetti migranti, essere come valigie aperte

Una valigia aperta esposta nella sezione Fuori dal museo, la vita reale

Il Pigorini, storico museo etnografico di Roma, cerca di uscire dalla preistoria per avvicinarsi alla storia attuale: con [S]oggetti migrantiin mostra fino al 2 aprile 2013 – i suoi oggetti misteriosi per la prima volta rivivono attraverso i soggetti per i quali tutte quelle cose sono familiari, legate a veri ricordi e storie di vita. “Trasformare il patrimonio, da qualcosa di passato e ‘inutile’, a un insieme di valori che oggi possono unirci”.
“Ci si era chiesti: può un museo etnografico aiutare l’integrazione?”, dice il soprintendente del museo, Luigi La Rocca. La mostra è stata infatti realizzata grazie alla “partecipazione attiva di viaggiatori contemporanei”, i rappresentanti delle grandi comunità diasporiche di Roma: Cina, Perù, Messico e Africa. È dagli inizi degli anni ’90 che infatti non si considera più solo quello ebraico, “popolo della diaspora”; oggi la diaspora, la “dispersione migratoria” per cause contingenti, è caratteristica di moltissime comunità del mondo. Hanno così partecipato attivamente al progetto Marco Wong di Associna, Beatriz Ochante della CPR – Comunidad Peruana de Roma, Sandra Joyce Bellia della Comunidad catolica mexicana de Roma, Ndjock Ngana di Kel’Lam Onlus (Camerun) e Godefroy Sankara di Buudu Africa (Burkina Faso).
Durante la mostra girano tra gli avventori spiegando oggetti per loro importanti, Njock mostra un’anfora, descrivendola come “l’antenata della valigia”: scavata una buca nel terreno si inseriva dentro, “in modo da poter conservare al fresco tutte le nostre cose più deperibili”. Beatriz mostra invece borse e ponchos, sottolineando l’importanza di una mostra del genere perché parla della terra da dove tutti abbiamo origine: “dalla madre terra nasce l’integrazione”.

Un’altra installazione presente nella sezione Fuori dal museo, la vita reale. Valigie/cassetti.

La mostra si inserisce all’interno del progetto europeo READ-ME – Rete europea delle Associazioni della Diaspora & Musei di Etnografia – al suo quinto anno di vita: avviato nel 2007 nell’Africa centrale del Belgio, ovvero per iniziativa del Musée Royal de l’Afrique Centrale di Tervuren (Bruxelles), in collaborazione con il Musée du quai Branly di Parigi, l’Etnografiska Museet di Stoccolma e il Museo Nazionale Preistorico Etnografico “L. Pigorini”, il progetto READ-ME è stato rilanciato nel 2009 con il programma [S]oggetti migranti. Vito Lattanzi, etnoantropologo, ne è il coordinatore: “volevamo creare un collegamento tra i musei di etnologia e le associazioni della diaspora che raccolgono gli interessi e i problemi dei migranti. Una rete che cerca di essere una risposta alla crisi generale dei musei. Prevediamo sicuramente un terzo progetto, un READ-ME3”.
“Crediamo ancora che la democrazia sia partecipazione, e con READ-ME il museo può essere uno strumento di democrazia, un bene comune. L’oggetto della conoscenza che nel museo etnografico è l’oggetto d’altri spesso legato a situazioni drammatiche, oggi cambia prospettiva, diventando un’opera collettiva per un’autorialità corale. Oggetti che scoprono nuove identità”.
A fianco all’esposizione di oggetti del passato, allestiti per l’occasione da una scenografa teatrale, il Pigorini si è finalmente aperto al contemporaneo: in preparazione alla mostra un concorso per Installazioni / Performances / Incontri dal titolo Idee Migranti, ha infatti raccolto circa 60 adesioni da artisti, cineasti, collettivi, ricercatori, studenti, associazioni e centri di ricerca. “Nei sei mesi di esposizione le opere saranno alternate per rendere il museo più dinamico. In preparazione anche una rassegna filmica sulle migrazioni. Abbiamo un gran bisogno di riportare le giovani generazioni dentro i musei, per lo stesso motivo abbiamo abbracciato un’arte ancora controversa, la street art: un writer uruguaiano ha partecipato all’allestimento…” si chiama Siglo, e il suo murales campeggia nella sezione Fuori dal museo, la vita reale.

Le valigie/cassetti e sullo sfondo il murales di Siglo

Dalle storie di migrazione del Novecento agli sbarchi contemporanei a Lampedusa, le due installazioni presenti all’inaugurazione, in cima alle scale, risultano molto suggestive, una, Viaggio, racconta la storia di Boris, un adolescente ebreo-polacco che nel 1939 scappa da Varsavia, per sfuggire ai nazisti, attraverso una “cascata” di scarpe di fronte a una serie di valigie ammassate una sull’altra – sono scarpe e valigie migranti e alcune riportano nomi; l’altra, La parola è bussola – di Giacomo Sferlazzo e Costanza Ferrini in collaborazione con l’associazione Askavusa di Lampedusa – espone in cerchio “oggetti, vestiti, libri, scarpe, foto, lettere, utensili appartenuti ai migranti, legni di barche recuperati sulle spiagge di Lampedusa provenienti dalle imbarcazioni arrivate, ma anche da quelle mai approdate”.
La prima sezione, Strappi – Le ragioni della migrazione, riporta: “migranti si nasce, anche per il solo fatto di venire al mondo, ma per sopportarne la condizione bisogna mettersi in viaggio e oltrepassare i confini del proprio mondo”. Sankara ne conferma l’importanza: “emigrare, fare l’esperienza della migrazione, è un passaggio. Partire dal proprio paese per lavorare in un altro luogo è una delle “prove” che la persona deve compiere per entrare nell’età adulta. In Burkina Faso, per sposarsi, l’uomo deve fare questo ‘rito dell’immigrato’ che torna a casa con i soldi, la bici, la radio, gli occhiali… dal Burkina Faso si emigrava in Costa D’Avorio o in Ghana… coloro che partivano tornavano con lo statuto di adulto”.

Oltre alla classica dicitura ce n’è un’altra. Come in ogni mostra che si rispetto ogni oggetto riporta la dicitura che ne spiega il nome, l’origine, il tempo e il significato. Ma a fianco potrete trovarne un’altra, segnata con la [S], ed è quella che dà nuova anima all’oggetto. Come nel caso di un tamburo dalla Somalia del XIX secolo: “La musica in Africa è un sistema di comunicazione e un linguaggio simbolico. Il tamburo, il cui suono è considerato la voce della creazione è diffuso nei contesti culturali più diversi”. E a fianco: “[S]i è parlato dello spleen, si è parlato del blues, la speranza del migrante è qualcosa che si trova tra uno strappo interiore e la speranza riparatrice. È come se fosse un tamburo a due pelli il cui suonatore spera sempre che almeno una rimanga intatta per poter essere suonata. Questo oggetto rappresenta lo stato d’animo del migrante che pensa sempre, anche nei momenti di disperazione a ciò che riporta il proverbio: Non c’è fango su tutti e due i lati del fiume” (proverbio del Camerun).

Viaggio
’39 / ’49 / 15.000k varsaviacortina
a cura del Museo Ettore Guatelli di Ozzano Taro

Dall’emigrazione… Una sala racconta l’emigrazione italiana in America, mescolata ai dati nudi e crudi che sanno comunque raccontare l’immigrazione in Italia. Un pannello recita: “l’arrivo negli Stati Uniti era caratterizzato dal trauma dei controlli medici e amministrativi durissimi, specialmente ad Ellis Island, isolotto alla foce del fiume Hudson nel baia di New York. In quella che gli italiani chiamarono l’Isola delle Lacrime e che oggi ospita il Museo dell’Immigrazione, il vademecum destinato ai nuovi arrivati recitava: i vecchi, i deformi, i ciechi, i sordomuti e tutti coloro che soffrono di malattie contagiose, aberrazioni mentali e qualsiasi altra infermità sono inesorabilmente esclusi dal suolo americano”. A fianco una Relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso Americano sugli Immigrati Italiani negli Stati Uniti, datata ottobre 1912: “vi invito a controllare i documenti di provenienza e rimpatriare i più. Propongo al limite che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti, ma disposti più di altri a lavorare”…
…all’immigrazione. “Il 2011 è stato l’anno record degli arrivi sulle coste italiane: 62mila. Le comunità maggiormente rappresentate nel nostro Paese provengono da: Romania, Albania, Marocco, Cina, Ucraina, Filippine, India, Polonia, Moldova, Tunisia, Macedonia, Perù, Ecuador, Egitto, Sri Lanka, Bangladesh, per un totale di 192 nazioni. Nel 2011 nei primi 6 mesi dell’anno, sono state oltre 10.800 le richieste d’asilo: il 102% in più rispetto allo stesso periodo del 2010. Dal 1988 a oggi sono almeno 23.000 i morti in mare lungo le rotte che dalle coste settentrionali dell’Africa vanno verso l’Europa, la Turchia e lo stretto di Gibilterra. Da gennaio agli inizi di agosto 2011, i migranti morti nel Canale di Sicilia sono 1.699, di cui 1.486 in arrivo dalla costa libica. Il numero di acquisizioni di cittadinanza nel 2010 è stato di 65.938 (21.630 a seguito di matrimonio). Per il 2050 si prevede che il numero di cittadini stranieri sarà di 12,4 milioni, pari al 18,5% dell’intera popolazione italiana. I minori figli di immigrati che vivono oggi nel nostro Paese sono 760mila. 450mila sono nati in Italia. Nel 2010 sono nati circa 78mila “bambini stranieri”. I figli degli immigrati iscritti a scuola nell’a.s. 2010-11 erano 709.826, il 7,9% della popolazione scolastica. Al 1° gennaio 2011 gli stranieri residenti in Italia erano 4.570.317, sul totale di una popolazione di 60.624.442 abitanti (7,5%). Oltre il 60% risiede al Nord, il 25% al Centro, il 3,5% al Sud. Con il 5,8% della popolazione totale, l’Italia è oggi il quinto paese d’Europa per il numero di cittadini stranieri, dopo Germania, Spagna, Regno Unito e Francia.

Tamburo
     Africa orientale, Somalia, Somali, XIX secolo                           [S] …il migrante è come un tamburo a due pelli…

Per il resto basta perdervi tra la collezione di mocassini, scettri, gioielli, oggetti da cucina, catene e statuine curiose – come l’Hei Tiki dalla Polinesia, la rappresentazione, secondo i Maori, di un essere che veniva dalle stelle, piccolo, piedi palmati e grandi occhi rotondi – per lasciarvi presupporre che molte cose stupefacenti accadono nella storia. Tutto sta a scoprirle, come dice Sankara: “la valigia rappresenta il movimento e quello che c’è dentro siamo noi”.

Alice Rinaldi
(20 settembre 2012)