Il Ramadan, il mese che unisce le donne musulmane alla Moschea

La fede e le tentazioni. In attesa dell’Eid ul-Fitr, la chiusura del mese lunare del Ramadan, le donne musulmane si recano alla Grande Moschea, per pregare e per l’iftar – l’interruzione del digiuno – dopo una faticosa giornata di caldo. Nei ultimi giorni di Ramadan, aspettando la luna piena, si sentivano più deboli fisicamente, e solo con la fede e la forza della preghiera sono riuscite ad arrivare fino alla fine con la coscienza a posto. Durante la preghiera le donne stanno dietro gli uomini, in uno spazio dove loro vedono i maschi, ma quest’ultimi non possono guardare le femmine per evitare le tentazioni durante la cerimonia, dove il pensiero dovrebbe essere rivolto soltanto a Dio. “Alcune signore vengono profumate, si intravedono le loro caviglie. C’è l’ignoranza tra le persone e la donna attira l’attenzione. Lo sguardo attira il saluto, poi un appuntamento. Basta un solo sguardo per muovere i meccanismi del corpo”, spiega Fatiha, che segue con dedizione il Ramadan. “Per esempio, in certi ambienti e con certe persone, come con mio fratello, io mi tolgo il velo. Ma con le altre devo essere coperta, per non scatenare un’attrazione fisica”.

Fatiha, originaria del Marocco, ha studiato nel suo paese scienze sperimentali, ma in Italia non ha potuto proseguire, fino al 1994 ha fatto dei lavori umili, in quell’anno sposa un italiano che ha scelto di diventare musulmano dopo il matrimonio, dopo aver studiato l’Islam. Il marito ha voluto che lei faccesse la casalinga: “La cosa più bella è stare a casa, dare l’amore ai figli e a me quando torno da lavoro”, le ha detto lui. I tre figli sono italiani e marocchini: con la madre parlano arabo, con il padre italiano, a scuola studiano inglese e spagnolo: “E’giusto che s’imparino anche le tradizioni della madre. Quando c’è rispetto su tutto, si vive molto bene in famiglia e la religione unisce.” Il suo ricordo meno gradevole del Ramadan è il caldo. La mette in difficoltà nel seguire i comandamenti in un paese dove tutti mangiano e ci sono tentazioni: “In Marocco era diverso, tutti facevano la stessa cosa, per strada trovavi i negozi chiusi e la gente rispettava la tradizione. Qui ti senti un pesce fuori d’acqua”. Anche sua figlia Jasmin, 14 anni, rispetta il Ramadan con gioia, insieme alle sorelle ha imparato la fede da piccola: “Non puoi impedire ai bambini di mangiare senza spiegare perché lo devono fare”.

L’interruzione del digiuno. La sala dove sono allestiti dei tavoli già apparecchiati con il cibo è divisa in 2 parti: in quella più ampia prendono posto gli uomini, che sono entrati da una porta separata. Solo un muretto di un metro e mezzo divide il loro spazio da quello più piccolo che pian piano si riempia di donne con bambini. La zuppa di fagioli, la pasta con la carne, dei datteri – questo è il menu della serata. Solo che i posti non bastano, nemmeno le porzioni. Fatiha cede il suo piatto a un ospite più affamato. A quelle rimaste senza cibo si offre un panino con la carne. “La cosa più bella è mangiare insieme con delle persone di lingue e nazioni diverse, scambiare le esperienze. Alla Moschea vedi un mondo intero senza viaggiare, tramite la lingua italiana che ci unisce, senza differenze tra noi”, continua Fatiha. Poi ognuno va a casa e cucina a modo suo quello che preferisce: qui vengono africani, pachistani, europei e indiani.

I matrimoni misti, una fede diversa. Anche Fatima è sposata con un italiano, ma il marito è cristiano, non ha voluto cambiare fede. Nel periodo del Ramadan, per resistere nel fare il digiuno, dopo aver cucinato trascorre quasi tutto il giorno alla Moschea: “Mi fa male il fatto che nessuno dei tre figli mi abbia seguito nella fede. Loro vanno in chiesa, mentre io preferisco portarli alla Moschea. Quando erano piccoli venivano con me a pregare, da quando sono cresciuti mi dicono: “Ma’ che vengo a fa’ alla Moschea?!” Fatima spera che quando diventeranno maggiorenni scelgano la religione materna.

Raisa Ambros(22 agosto 2012)