“Affiancamento e integrazione sono due concetti molto diversi. Fuori dall’Italia locali e migranti vivono spesso divisi in comunità separate: si pensi alle banlieues francesi. Noi non dobbiamo fare lo stesso, ma imparare a stare insieme, non affiancati, integrati.”.
Il Moderatore Eugenio Bernardini, la più alta carica della chiesa valdese, ha un teono di voce calmo e sicuro e va dritto al punto, senza giri di parole. Quando lo incontro racconta l’attività della chiesa valdese per il sostegno ai migranti, sa bene di cosa parla: il suo impegno è diretto, come è nella filosofia dei valdesi. “Negli anni ’90 facevamo da garanti per permettere ai migranti di affittare alloggi: spiegavamo come sarebbero stati usati e da chi”, racconta. Oggi, che fare da intermediari per gli alloggi non è più necessario, la chiesa valdese è impegnata sul campo per l’integrazione nella società, partendo da un assunto: “non può esserci accoglienza senza assistenza linguistica”.
Il coordinamento delle attività per i migranti, nel caso della chiesa valdese, parte dalla Capitale: “esiste un servizio centralizzato che nasce dalla Federazione delle Chiese Evangeliche, che ha attivato anche uno sportello di ascolto”. Migranti tra cui, cifre alla mano, ci sono almeno 10.000 valdesi nella sola Roma. Presto arriveranno le nuove statistiche e, assicura Bernardini, “i risultati potrebbero essere sorprendenti”.
Ci si impegna per l’assistenza linguistica, si diceva, perché le chiese evangeliche fanno parte di quella Rete Scuolemigranti che i lettori di Piuculture hanno imparato a conoscere. Ma non solo: con un numero così elevato di presenze di stranieri nella comunità valdese sarebbe impossibile non prevedere anche un programma pastorale ad hoc. Ecco come è nato il progetto Essere chiesa insieme, che lavora all’interno della comunità valdese per l’integrazione dei migranti che condividono gli stessi principi. Tante presenze: ghanesi, nigeriani, congolesi, camerunensi, filippini, coreani, che imparano a conoscersi tra di loro e a conoscere una cultura – quella italiana – a volte radicalmente diversa dalla propria.
“La scuola domenicale dei bambini è in italiano, lingua che utilizzano quotidianamente a scuola e su cui non hanno difficoltà. Per gli adulti invece organizziamo riunioni di preghiera in italiano ma con traduzione”, racconta il Moderatore. Per gli adulti l’integrazione linguistica è sempre più complessa, come raccontavamo già nell’esperienza di Cidis Onlus: “si pensi alle fabbriche del nord Italia: gli uomini lavorano, mentre le donne restano in casa. In entrambi i casi si trovano a fare comunità con i connazionali, e l’italiano resta marginale”. Ma l’attività pastorale aiuta, specie se è interculturale: “crediamo molto nella potenza del racconto” spiega Bernardini “e basiamo i nostri incontri sullo scambio di esperienze. Un ghanese, ad esempio, racconta agli altri il modo in cui in Ghana vengono concepiti i rapporti fra uomo e donna, la famiglia, l’educazione dei figli…e gli altri fanno lo stesso”. Non sempre è semplice: “quando parliamo di apertura verso l’omosessualità o le coppie di fatto molti si allontanano, dicendo che siamo strani: nella loro cultura ci sono peccati considerati intollerabili. Ma molti altri restano”, ed è lì che inizia il vero processo di integrazione.
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Veronica Adriani
(18 febbraio 2014)
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