“Anch’io sono Rom”: un’azione urbana contro gli stereotipi

attivisti rom e sintiIndossano uno stereotipo e un sacco dell’immondizia. Con lo sfondo del Colosseo raccontano la loro storia, poi si liberano degli abiti di plastica nera e mostrano magliette colorate con la scritta: “Anch’io sono Rom”. Sono i dieci ragazzi che hanno partecipato al corso di attivismo pensato per diffondere una maggiore consapevolezza dei diritti umani nelle comunità Rom e Sinti. Ad organizzarlo l’Associazione 21 luglio che sta portando avanti la campagna Stop all’apartheid dei Rom. L’azione urbana organizzata in collaborazione con il Teatro Valle ha concluso Italiaromanì, un convegno sull’inclusione che si è tenuto dal 3 al 5 aprile all’Università Roma Tre.

A turno si raccontano e stravolgono le convinzioni comuni col paradosso. “Io voglio essere nomade” è la scritta che porta addosso Andrea. È il primo a parlare: “Era una serata bellissima, poi due figure vestite di blu interruppero la nostra cena. Tutti fuori, urlarono, e ci obbligarono ad andare via. Era una serata bellissima. Altre mille volte si è ripetuta quella storia, altre mille città, altre mille amici abbandonati”.

Io non mi voglio curare”. Sabrina ha 24 anni e vive in un campo in provincia di Oristano. Racconta di una sera in cui sua sorella è stata male e lei ha chiamato la guardia medica. Fa una lunga pausa: “Non si incammini da sola, le ho detto, aspetti la guardia giurata. Ma venga”. Hanno atteso a lungo e invano che un medico arrivasse.

Ivana frequenta l’università di Torino. “Sono in Italia da più di vent’anni, io e la mia famiglia siamo fuggiti dalla guerra nei Balcani. Pur essendo cresciuta in Italia e pur avendo tutti i documenti in regola io qui sono straniera”.

Attivisti rom e sintiNon voglio lavorare” è lo stereotipo di Sead. “Vengo dal veneto, ho un lavoro che mi permette di avere una casa e faccio il rappresentante sindacale, rappresento i diritti dei lavoratori. Ma loro mi chiedono sempre perché lavori? Come mai hai una casa? Perché rappresenti i nostri diritti?”.

Fabiola, 20 anni, sul petto porta la scritta: “Sono illegale”. “Frequento l’ultimo anno di superiori, in cinque anni non sono mai riuscita a fare un viaggio perché io voglio essere illegale, non voglio partecipare alla vita sociale, alle gite ma quando termino gli studi voglio fare l’avvocato”.

No alla casa” si legge sul vestito color spazzatura di Naomi, “Ho 18 anni e non voglio vivere in casa. Ma chi vorrebbe una vita come un randagio? Chi vorrebbe dare un futuro così ai proprio figli? Eppure dopo tanti sacrifici per essere ascoltata quel posto sulla strada rimane la mia casa”.

“Considerate se questo è un uomo”, Andrea conclude la performance con le parole di Primo Levi. Gli spettatori aiutano i ragazzi a liberarsi dai sacchi dell’immondizia, insieme ballano e gli stereotipi lasciano il posto ai colori.

Rosy D’Elia
(07 aprile 2014)

 

Guarda tutte le foto in alta risoluzione su Flickr, oppure scoprile nella galleria qui sotto

[fsg_gallery id=”17″]

 

Leggi anche: